3.6
Cammini ottici
Una volta iniettati e stabilizzati sulla frequenza opportuna, i laser di trappola e collimazione attraversano tutta una serie di elementi ottici necessari alla realizza- zione dell’esperimento: in questa sezione riassumiamo i cammini ottici dei vari laser. Come possiamo vedere in figura 3.8, lo slave MOT, dopo aver attraversato l’isolatore ottico, raggiunge una lamina λ /2 e un cubo polarizzatore, dove si so- vrappone con la radiazione di ripompa: i due fasci laser così sovrapposti passano poi attraverso una lamina λ /4, che trasforma la polarizzazione da lineare a circo- lare σ−, e un telescopio sferico. Quest’ultimo è necessario per allargare lo spot dei fasci fino a dimensioni trasverse di circa 3.8 cm, in modo da illuminare effica- cemente l’interno della piramide; si noti che il waist dei due fasci è leggermente minore rispetto al lato della piramide, in modo da evitare scattering sui bordi di questa.
Figura 3.8: Cammini ottici dello slave MOT e della ripompa: i due fasci vengono sovrapposti, allargati mediante un telescopio e inviati sulla piramide
zatore e inviato perpendicolarmente sul fascio atomico da due direzioni ortogonali fra loro, disposte a 45° rispetto al piano orizzontale, in modo da realizzare una me- lassa ottica bidimensionale, come illustrato schematicamente in figura 3.9. Dopo aver attraversato l’isolatore ottico, il fascio di collimazione attraversa una lamina λ /2 e un telescopio con lenti cilindriche, prima di giungere sul cubo: la lamina viene regolata in modo che la potenza trasmessa nei due rami della collimazione sia esattamente la stessa, per evitare deflessioni del fascio dall’asse della camera a vuoto. Il telescopio inoltre espande la sezione del fascio laser rendendola ellittica, con un asse minore di 0.5 cm e un’asse maggiore di circa 4 cm, orientato oriz- zontalmente: in questo modo lo spot del laser di collimazione è allungato nella direzione di propagazione del fascio atomico, in modo da aumentare il tempo di interazione tra quest’ultimo e la radiazione e di conseguenza rendere il processo di collimazione più efficiente. I fasci nei due rami entrano poi nella camera di collimazione attraverso apposite finestre e vengono retroriflessi; la presenza di ul- teriori lamine λ /4 consente di realizzare una configurazione σ+σ− che permette di raffreddare il fascio atomico fino a temperature trasverse di poche decine di µK (o inferiori), considerevolmente minori rispetto al limite Doppler.
3.6. CAMMINI OTTICI
Figura 3.9: Cammini ottici dei fasci di collimazione
I cammini ottici dei rimanenti laser, ovvero slave di eccitazione, sonda e ionizza- zione, non sono mantenuti in una configurazione fissata ma vengono cambiati a seconda del tipo di misura che vogliamo effettuare: essi saranno pertanto descritti dettagliatamente nel prossimo capitolo, in relazione alle varie misure effettuate.
Fotoionizzazione del fascio atomico
Questo capitolo è dedicato alla descrizione di alcune misure sperimentali effettua- te per analizzare la fotoionizzazione del fascio atomico, verificando in particolare la dipendenza del numero di ioni raccolti dalla tensione di alimentazione della placca situata di fronte al rivelatore e dalle potenze dei laser utilizzati. Inoltre, all’inizio del capitolo viene presentata una misura basata sulla fluorescenza, effet- tuata in una fase dell’esperimento in cui non erano ancora disponibili la camera di ionizzazione e il rivelatore di cariche.
4.1
Misure di fluorescenza sul fascio atomico
Lo scopo di queste prime misure è quello di verificare l’avvenuta ionizzazione del fascio atomico mediante misure di fluorescenza. L’idea è molto semplice e consi- ste nel confrontare il segnale di fluorescenza emesso dal fascio atomico impertur- bato col segnale emesso dal fascio in presenza del laser di ionizzazione: a causa di questo, infatti, una determinata frazione di atomi del fascio viene persa, non è più in grado di emettere radiazione, e di conseguenza il segnale di fluorescenza risulta più debole. Questa misura rientra quindi nella categoria delle spettroscopie “di perdita”; infatti la fotoionizzazione apre un canale di perdita nei confronti della fluorescenza. Misure di questo tipo sono state riportate in precedenza in lettera- tura. Ad esempio, questa è la tecnica usata in [31], dove la fluorescenza di una
4.1. MISURE DI FLUORESCENZA SUL FASCIO ATOMICO
MOT di Cesio era analizzata in funzione della lunghezza d’onda del laser di fo- toionizzazione in un apparato in cui non erano presenti sistemi per la rivelazione della carica. È ovvio che, quando l’apparato lo consente, è di gran lunga preferi- bile misurare direttamente le cariche prodotte, dato che la spettroscopia di perdita, basata sulla misura della piccola variazione di un segnale, quello di fluorescenza, tipicamente debole (affermazione particolarmente vera nel caso del nostro esperi- mento, vista la densità relativamente bassa del fascio atomico) e affetto da rumore, è inerentemente poco sensibile. Si riportano ugualmente alcuni risultati, soprat- tutto perchè la loro descrizione consente di mettere in luce dettagli sperimentali comuni anche al resto dell’esperimento.
La misura viene effettuata con le seguenti modalità: il fascio atomico viene io- nizzato nello stadio di collimazione (vedi capitolo 3), a distanza di circa 5 cm dall’uscita della PMOT, inviando il fascio laser di eccitazione (stabilizzato in fre- quenza sulla transizione iperfine Fg= 4 → Fe = 5) e il fascio del laser violetto (405 nm), preliminarmente sovrapposti, sul fascio atomico a incidenza ortogona- le. I fasci laser entrano nella camera a vuoto attraverso una delle finestre dello stadio di collimazione, disposte a 45° rispetto al piano del tavolo. Per permettere un’agevole operazione ed evitare sovrapposizioni con i fasci laser di collimazione, un ramo dei quali passa per la stessa finestra, i fasci laser di collimazione vengono per questa misura ridotti in dimensione e si fa in modo che la collimazione avven- ga subito prima (a distanza di pochi millimetri) dalla fotoionizzazione. In queste condizioni, avendo ridotto il tempo di interazione per il processo di collimazione, ci aspettiamo una divergenza residua del fascio atomico superiore al valore ripor- tato in tabella 2.1 (una misura grossolana suggerisce che la divergenza è superiore a 10 mrad). Abbiamo ritenuto marginale questo problema ai fini delle misure qui presentate.
La fluorescenza del fascio viene rivelata nello stadio di osservazione, quindi a distanza di circa 9 cm a monte della fotoionizzazione: il fascio laser di sonda, stabilizzato sulla transizione Fg= 4 → Fe= 5 e usato per eccitare la fluorescen- za, viene inviato nella camera in modo da incidere perpendicolarmente sul fascio atomico e viene opportunamento retroriflesso mediante uno specchio posto sulla finestra di fronte a quella di ingresso. La retroriflessione del laser di sonda si rende
necessaria per evitare che il fascio atomico venga deviato dalla forza di pressio- ne di radiazione, fatto che porterebbe ad una drastica diminuzione del segnale di fluorescenza.
La fluorescenza viene analizzata tramite un fotomoltiplicatore (Hamamatsu R955) che osserva la regione di interazione in direzione ortogonale al fascio atomico e al fascio laser di sonda e che sfrutta un’altra finestra dello stadio di osservazione (la distanza tra finestra e zona di interazione è di circa 15 cm). Uno dei problemi principali che occorre affrontare in queste misure è che all’interno della camera è presente una consistente luce spuria, dovuta soprattutto alla presenza di nume- rosi fasci laser (trappola, ripompa, collimazione, eccitazione, ionizzazione) che possono essere riflessi dalle pareti dell’apparato o dare luogo, quando risonanti, a fluorescenza dal fascio atomico. La misura richiede quindi di minimizzare il segnale di fondo visto dal fotomoltiplicatore. A questo scopo abbiamo raccolto la radiazione con un obiettivo da telecamera (zoom 18-108 mm di focale, apertura numerica massima corrispondente a numero f = 2.8, diametro della prima lente 44 mm): agendo sui parametri dell’obiettivo (lunghezza focale, diaframma), sull’al- lineamento e sulla distanza fra fotomoltiplicatore e lente di uscita dell’obiettivo, abbiamo minimizzato il contributo della luce spuria cercando in pratica di foca- lizzare l’obiettivo sulla zona di interazione. Allo stesso scopo, abbiamo anche usato un diaframma circolare di diametro 20 mm posto direttamente sulla finestra e abbiamo inserito un filtro passa banda interferenziale (lunghezza d’onda centrale 850 nm, FWHM = 40 nm, trasmissione di picco 70 %) di fronte al fotomoltipli- catore, in grado di tagliare la luce visibile (luce ambientale e quella proveniente dagli strumenti) e di far passare l’emissione degli atomi di Cesio che avviene a 852 nm. Tipicamente abbiamo raggiunto un rapporto tra segnale di fluorescenza e fondo dell’ordine di 60. Purtroppo, a causa del fatto che il sistema ottico utilizza- to non è ottimizzato per la geometria dell’esperimento, la soppressione del fondo è accompagnata da una generale diminuzione della sensibilità. Di conseguenza abbiamo deciso di impiegare il metodo del fotoconteggio per la misura della fluo- rescenza. Il fotoconteggio, infatti, permette di ottenere maggiore sensibilità per bassi segnali e consente di valutare l’incertezza della misura su basi statistiche, come mostrato nel seguito. Il metodo, concettualmente identico a quello usato per il conteggio degli ioni, si basa sul fatto che il fotomoltiplicatore produce de-
4.1. MISURE DI FLUORESCENZA SUL FASCIO ATOMICO
gli impulsi di fotocorrente in corrispondenza della rivelazione di singoli fotoni (l’efficienza quantica del processo a 852 nm per il fotomoltiplicatore usato è circa 1%). Questi impulsi sono molto simili a quelli prodotti dal rivelatore di cariche (la fisica del processo di moltiplicazione è la stessa), cosa che consente di usare la stessa strumentazione che impiegheremo per la rivelazione degli ioni.
L’uscita del fotomoltiplicatore è collegata ad un contatore di impulsi munito di discriminatore. Il contatore (modello SR400 della Stanford Research Systems) ha un range dinamico fino a 109 conteggi e accetta in ingresso impulsi negativi (di fotocorrente, in questo caso) di durata minima 5 ns e altezza di picco compresa tra -10 e -300 mV. Il rate massimo di conteggio, determinato prevalentemente dai tempi morti di misura, è di 200 MHz: nell’esperimento abbiamo sempre fatto in modo di tenerci molto al di sotto di questo valore per evitare problemi (saturazione del contatore, arrivo di impulsi nei tempi morti, conteggi multipli, etc.). La soglia del discriminatore viene scelta in funzione della tensione di alimentazione del fotomoltiplicatore (tipicamente -40 mV per alimentazione di 1250 V) in modo da minimizzare i conteggi di rumore: nel caso del fotomoltiplicatore, infatti, è noto che gli impulsi spurii dovuti a fotoni di corpo nero (radiazione termica) e al desorbimento spurio di elettroni dai dinodi (dovuto a effetto termoionico, arrivo di raggi cosmici, o altre fonti di rumore) hanno un’altezza di picco inferiore rispetto a quelli dovuti alla rivelazione di fotoni.
Come in ogni contatore di impulsi, anche nel nostro apparecchio il conteggio è abilitato all’interno di una finestra temporale (gate) selezionabile entro un vasto intervallo (da 5 ns a 1 s), che può essere sincronizzata con un impulso di trigger esterno. Inoltre lo strumento dispone al suo interno di due contatori indipendenti, la cui uscita può essere combinata per formare, ad esempio, una differenza. Dato che la nostra misura si basa proprio su una differenza (vogliamo misurare la dimi- nuzione nel numero di fotoni emessi per fluorescenza quando la fotoionizzazione è attiva), abbiamo modulato l’accensione del laser di fotoionizzazione inviando un’onda quadra prodotta da un generatore di funzioni collegato all’ingresso di modulazione TTL del laser violetto (vedi sezione 3.5) a una frequenza dell’ordine di un centinaio di Hz. Abbiamo quindi inviato la stessa modulazione come trigger al contatore, che è stato programmato per aprire il gate dei due canali di conteggio
A e B per 2 ms. I ritardi (selezionabili dall’utente con risoluzione di 5 ns) delle aperture dei due gate A e B rispetto all’accensione del laser di ionizzazione sono stati impostati a 2 e 6 ms, rispettivamente. Tali ritardi sono stati scelti in modo tale che un canale contasse sempre in presenza del laser di fotoionizzazione e l’altro sempre in sua assenza, ed inoltre in modo che il periodo di conteggio evitasse il transiente successivo all’accensione o spegnimento del laser di ionizzazione.
La figura 4.1 mostra uno schema della sequenza temporale impiegata. Si noti che la figura è costruita usando un oscilloscopio digitale e che la traccia che indica l’accensione e spegnimento del laser (traccia nera) è registrata usando un foto- diodo che intercetta parte della radiazione: poichè per motivi di ingombro è stato usato un fotodiodo in modalità fotovoltaica (non polarizzato), con un tempo di salita piuttosto lento, nella traccia appaiono dei “rimbalzi” di accensione e spe- gnimento che non sono realmente presenti nella potenza del laser. In ogni caso, la durata del gate (traccia rossa) è stata scelta minore del tempo utile per la misura, in modo da evitare problemi legati al transiente di accensione e spegnimento del laser e anche al rumore elettromagnetico eventualmente associato. Per l’esempio di figura 4.1 la frequenza di modulazione è di 100 Hz e la durata del gate di 2 ms.
4.1. MISURE DI FLUORESCENZA SUL FASCIO ATOMICO
Figura 4.1: Segnali usati per la sincronizzazione della misura, acquisiti con un oscilloscopio digitale: il segnale nero rappresenta il segnale di un fotodiodo che intercetta parte del fascio laser di fotoionizzazione (asse verticale sinistro), mentre quello rosso rappresenta il segnale che indica la finestra temporale di acquisizio- ne, gate, del contatore (asse verticale destro). Si noti che i due segnali lavorano in logica opposta, per cui il contatore acquisisce soltanto quando il segnale è negati- vo: la figura in alto mostra quindi l’apertura del gate per il contatore che misura quando il laser violetto è acceso, quella in basso quella del contatore per il laser spento
L’uscita del contatore, che riporta i conteggi di fluorescenza con laser di ioniz- zazione spento e acceso ed è calibrata in unità di conteggi al secondo (rate)1, è stata inviata a un computer tramite porta GPIB. La misura è stata quindi fatta su un gran numero di cicli di accensione e spegnimento: per scopi statistici, abbiamo
1Come già notato, abbiamo sempre controllato che il rate di conteggi fosse sempre mol-
to minore del rate massimo accettato dal contatore: tipicamente abbiamo registrato circa 106 conteggi/s.
generalmente registrato nella memoria del contatore i rate su una base di decine di migliaia di cicli, e quindi letto con il computer il contenuto della memoria in modo da costruire grafici in funzione del numero progressivo della misura. Inol- tre abbiamo acquisito e registrato anche il rate di conteggio del canale B (laser spento).
Un esempio dei risultati acquisiti è mostrato in figura 4.2. Le quantità riportate sull’asse verticale sono differenze di conteggi “normalizzate”, che abbiamo defi- nito come (Rion OFF− Rion ON)/Rion OFF dove Rion ON e Rion OFF sono i conteggi ionici per secondo in presenza ed in assenza di laser di ionizzazione, rispetti- vamente. Abbiamo introdotto queste differenze normalizzate ritenendo che esse siano meno prone a fluttuazioni sperimentali, rispetto alle semplici differenze di conteggi. Precisiamo anche che il numero (assoluto) tipico di conteggi è di circa 3000 su un periodo di conteggio di 2 ms, quindi circa 106 conteggi/s. Dal riqua- dro in figura 4.2 si nota come la media delle differenze normalizzate sia positiva, come atteso, tuttavia non in modo netto. Essa corrisponde a una differenza nel rate di conteggio di circa 1 Hz (ovvero 1 conteggio/s), ma la deviazione standard dei conteggi normalizzati, che esce dell’ordine di 10−2, risulta molto maggiore del valore medio, per cui il risultato ha scarsa significatività. Questo è dimostrato anche dall’istogramma in figura 4.3, dove si vede una forma a campana, il cui valor medio, però, è così vicino allo zero da non poter essere apprezzato, e la cui coda si estende significativamente verso valori negativi.
4.1. MISURE DI FLUORESCENZA SUL FASCIO ATOMICO
Figura 4.2: Una serie tipica di differenze normalizzate dei conteggi, definite nel testo. Il valore sulle ascisse è un indice che numera le varie misurazioni effettuate, sulle quali abbiamo calcolato la media che, tenuto conto del rate di conteggio medio, corrisponde a circa 1 conteggio/s. La deviazione standard della differenza di conteggi normalizzati vale 2·10−2
20 15 10 5 0 Frequenze relative 5x10-2 0 -5
Differenze di conteggi normalizzate
Figura 4.3: Istogramma delle differenze normalizzate dei conteggi, mostrate in figura 4.2. L’istogramma è stato normalizzato in modo tale che l’area sottesa sia unitaria. L’estensione del bin è pari a 4·10−3
Abbiamo ripetuto queste misure variando tutti i parametri a nostra disposizione, e ne abbiamo anche eseguite alcune di controllo, ad esempio scambiando tra loro i contatori A e B oppure mantenendo sempre spento il laser di ionizzazione o quello
di eccitazione, oppure mantenendo sempre spento il fascio atomico. Le misure di controllo hanno generalmente fornito valori medi della differenza più vicini allo zero, come atteso, tuttavia per nessuna scelta dei parametri abbiamo ottenuto risultati che permettessero un’analisi quantitativa. Questo indica che il rapporto segnale/rumore della misura è insufficiente. Da un lato ciò è dovuto al fatto che la fotoionizzazione è attesa produrre una piccola diminuzione del numero di fotoni emessi per fluorescenza: usando la sezione d’urto del processo di fotoionizzazione (vedi capitolo 2), tenendo conto dell’intensità del laser violetto e della densità tipica del fascio atomico, una stima grossolana indica che il rapporto tra il rate di fotoionizzazione e quello di fluorescenza per un atomo eccitato è dell’ordine di 10−6, paragonabile a quanto misurato. Evidentemente però, tali differenze sono paragonabili o inferiori alle fluttuazioni (rumore) della misura. Queste fluttuazioni sono ascrivibili soprattutto alle variazioni residue della potenza del laser di sonda e della sua frequenza, nonchè al rumore della luce spuria raccolta dal fototubo.