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Se Agostino Gemelli rappresentava la continuità tra studi sul lavoro prima e dopo la guerra nonché la rideclinazione delle relazioni umane sulla base di una dottrina neocorporativista, Camillo Pellizzi, unico cattedratico di sociologia in Italia fino al 1960, fu il tramite tra i vecchi e i nuovi interessi sociologici. Con la pubblicazione di

Una rivoluzione mancata150, e l’introduzione in Italia dell’opera di James Burnham,

The managerial revolution l’intellettuale fascista, ma sempre attento al dibattito

anglosassone, fu tra i primi ex-aderenti al regime a tentare di rielaborare criticamente le scienze sociali fasciste e il corporativismo. Se negli anni trenta in Francia, negli Stati uniti e in Gran Bretagna la sociologia aveva elaborato possibili vie d’uscita alla crisi economica e sociale, in Italia, secondo Pellizzi, la risposta era stata sbagliata, ma ciò non poteva giustificare l’assenza di un riesame. Questo avrebbe dovuto portare alla formazione di una nuova classe dirigente in grado di affrontare la conflittualità sociale poiché «l’incendio da cui era nato il fascismo non era affatto spento [...] anzi era ancora vivo in tutto il mondo industriale e lo sarebbe rimasto a lungo»151.

La definitiva riabilitazione di Pellizzi, epurato subito dopo la guerra ma già nel 1950 reintegrato alla Facoltà di Scienze politiche di Firenze, avvenne soprattutto grazie alla collaborazione con le ricerche promosse, a livello europeo, da Oece e Unesco, alle quali ebbe modo di avvicinarsi grazie ad una rete internazionale di rapporti, in particolare con il francese Georges Friedmann.

Divenuto dal 1953 consulente a tutti gli effetti dell’EPA alla sezione “fattore umano”152, Pellizzi nel 1955 organizzò a Firenze, in collaborazione con il Comitato Italiano di Rappresentanza Internazionale per la Organizzazione del Lavoro (CIRIOL), un convegno che ribadiva lo stretto legame tra relazioni umane e sociologia “produttivista”153.

150

C. Pellizzi, 1948.

151

Come osserva Mariuccia Salvati, il testo di Burnham, che Pellizzi aveva avuto modo di commentare già prima della guerra, venne accolto con una certa freddezza per la diffusa ostilità nei confronti della sociologia, ma anche per la pesante eredità delle scienze sociali fasciste. In Una rivoluzione mancata Pellizzi imputava al fascismo l’aver promesso una rivoluzione del sistema politico ed economico, fallita fin dai primi anni venti, cfr. M. Salvati, Introduzione a C. Pellizzi, Una rivoluzione mancata, Bologna, Il Mulino, uscita prevista per l’estate 2009.

152

Ne assumerà la guida nel 1956 cfr. D. Breschi, G. Longo, 2003, p. 267.

153

Il rapporto finale fu redatto e pubblicato da R. Clemens, Les relations humaines au cours du ttravail: entretiens de Florence, 13-22 avril 1955, Paris, OECE, 1955.

Vi parteciparono rappresentanti di dieci paesi, tra i quali, per l’Italia, oltre a Pellizzi, lo psicologo Alberto Marzi; per la Francia Y. Delamotte, G. Friedmann e G. Daval; per gli Stati Uniti G. Argyris, A. Bavelas, G. Fox, H. Muller, R. Likert, L.P. Bradfrod e L. Butler154.

I lavori, che occuparono dieci giornate di studio, dal 12 al 23 aprile 1955, furono suddivisi fra tre gruppi di discussione (A, B e C) con temi diversi. I risultati furono discussi nelle giornate dal 20 al 23 aprile.

Il congresso testimoniò l’esigenza di una codificazione e di un indirizzo condiviso per le scienze umane legate al lavoro così come erano emersi alla metà del decennio Cinquanta. Abbiamo già visto come anche in Italia il 1955 segnasse l’apice dell’interesse per le relazioni umane che trovarono una diffusione e un successo notevoli per poi entrare in una lenta fase di declino e di successivo abbandono.

Il gruppo A affrontò una delle problematiche che maggiormente interferivano con il lavoro dei ricercatori, cioè la diffidenza che la disciplina riscontrava sul campo. Si espresse con forza la necessità di modificare l’approccio con il mondo del lavoro poiché «il concetto di Relazioni Umane […] genera la diffidenza […] degli ambienti operai, che lo considerano come una specie di paternalismo psicologico e una manipolazione degli individui al servizio degli interessi privati»155.

I sociologi riuniti nel gruppo A sapevano che troppe volte si erano commessi abusi in nome delle relazioni umane, mentre invece queste avrebbero dovuto essere al servizio della comunità dei lavoratori, per cui proponevano «l’affermazione più completa possibile della personalità del lavoratore, […] il miglioramento della produttività»156. Lo studio delle relazioni umane si doveva basare anche sull’analisi delle relazioni che intercorrevano tra individui al lavoro e gruppi di cui facevano parte, partendo dal presupposto che non vi fosse «contrasto tra relazioni umane e relazioni industriali, dato che queste hanno per oggetto gli stessi problemi considerati sul piano delle organizzazioni professionali dei datori di lavoro e dei lavoratori»157.

154

Erano presenti inoltre R. Clemens e A. Doucy per il Belgio, K. Svalastoga per la Danimarca, Neuloch per la Germania, C.B. Frisby e H.N.C. Stevenson per la Gran Bretagna, F. Koekebakker per l’Olanda, T. Segerstedt per la Svezia e R. Girod per la Svizzera. Inoltre presero parte ai lavori i rappresentanti dell’UNESCO (Philips), dell’OIT, del Consiglio delle Federazioni Industriali Europee e Cassirigny, Masteier e Vauterin per l’ERP-TUAC (Commissione sindacale consultiva dell’ERP): cfr. CIRIOL, Le relazioni umane nel lavoro, Documentazione sul seminario internazionale di sociologia svoltosi a Firenze su iniziativa dell’agenzia Europea per la Produttività (E.P.A.), 12-23 aprile 1955, p. 3.

155

CIRIOL, Le relazioni umane, cit., p. 4.

156

Ivi, p. 7.

157

La ricerca sociologica si sarebbe dovuta dividere in ricerca pura («che mira esclusivamente all’accrescimento della conoscenza scientifica, indipendentemente dal giudizio di valore. A questo stadio il ricercatore raccoglie i dati che consentiranno delle generalizzazioni, constatando obbiettivamente l’esistenza di valori, ma astenendosi di portare dei giudizi al riguardo»158); ricerca applicata («che si propone di fornire ai rappresentanti degli ambienti interessati gli elementi che consentiranno di risolvere, in determinate situazioni, determinati problemi»159); e infine nell’azione, ossia nell’analisi dei dati raccolti (il ricercatore «agisce allora non tanto come ricercatore propriamente detto, ma quale consigliere delle parti interessate dalla decisione e dalla realizzazione dell’azione»160).

Il gruppo A elencò i fattori interni all’azienda che ogni inchiesta avrebbe dovuto prendere in considerazione per fare delle relazioni umane un motore di crescita della produttività. Il morale era il primo, seguito dall’importanza del gruppo, dalla divisione dei compiti (nel momento in cui generava la perdita di interesse per il proprio lavoro da parte dell’operaio), dai sistemi di gestione del personale (democratico-consultivi o autoritari). Infine si ribadiva la necessità di analizzare l’equità nella ripartizione dei benefici derivati dall’accresciuta produttività tra tutti i soggetti dell’impresa.

Il 20 aprile si tenne la discussione conclusiva dei lavori del gruppo A, presieduta dal prof. T. Segrestedt.

Girod e Friedmann si rammaricarono del mancato approfondimento di temi legati alle relazioni umane in senso più lato, come i rapporti interindividuali, mentre Stevenson auspicò un maggior impegno dell’Europa volto ad ampliare le esperienze condotte negli studi sulle relazioni umane.

Pellizzi sottolineò che il convegno aveva raggiunto lo scopo della chiarezza terminologica in materia di relazioni umane. Si augurava pertanto che da parte sindacale provenisse con maggior insistenza una domanda di studi concreti sui gruppi al lavoro, studi che dovevano essere considerati come un vantaggio per i lavoratori e non come uno strumento di manipolazione: «in tal senso le osservazioni e le critiche sono, per gli studiosi, sprono alla ricerca e monito che investe l’uomo di scienza cui è demandato il compito di convalidare teorie impegnative e destinate alla diretta applicazione»161.

158 Ibidem. 159 Ibidem. 160 Ibidem. 161 Ivi, p. 12.

Il belga Clemens auspicava una maggiore diffusione anche in Europa delle relazioni umane, a condizione di un superamento delle resistenze culturali e di una stretta collaborazione tra sindacati operai e padronali: «negli Stati Uniti, invece, i termini del problema si pongono su basi prettamente psicologiche, più aderenti al clima dottrinale e concettuale delle Relazioni Umane; ciò favorisce lo sviluppo delle applicazioni pratiche che il mondo del lavoro accoglie con crescente interesse, attraverso una stretta collaborazione in atto fra industria e università»162.

Ancora una volta, dunque, si affermava lo stretto legame che doveva intercorrere tra mondo delle imprese, sindacati e istituzioni dedite alla ricerca scientifica. Solo ottenendo una sinergia tra questi tre soggetti si sarebbe potuto avere uno sviluppo della sociologia del lavoro positivamente utile alla crescita della produttività.

Il gruppo B si occupò degli aspetti pratici che una ricerca sociologica avrebbe dovuto rispettare. Si stabilì che, per ottenere dei risultati soddisfacenti, era fondamentale l’appoggio di direzione e sindacati, rispondendo a tutte le domande e fugando i dubbi da essi posti. Sarebbe stato compito della direzione e dei sindacati mettere al corrente gli operai dei fini delle inchieste dal momento che era «di primaria importanza far conoscere agli interessati che lo scopo delle ricerche è quello di definire le condizioni di una migliore esecuzione del lavoro, e non quello di fare una specie di controllo sul lavoro di ciascuno»163. Si dovevano inoltre garantire la dimensione confidenziale dei risultati e l’anonimato delle risposte.

Le preoccupazioni espresse dal congresso dei sociologi europei testimoniano come la ricerca fosse stata fino ad allora ostacolata dalla diffidenza manifestata da tutte le parti interessate. I ricercatori, infatti, si erano trovati di fronte all’ostilità operaia, alla diffidenza sindacale e allo scetticismo delle imprese, il cui ostruzionismo aveva in più occasioni impedito loro l’ingresso nelle fabbriche.

Il mondo della ricerca, da parte sua, doveva «servirsi delle inchieste per i tirocini dei giovani»164 ma allo stesso tempo «evitare di lasciar effettuare le ricerche a persone insufficientemente preparate» il che presupponeva «che datori di lavoro e sindacalisti (avrebbero dovuto favorire) la formazione di studiosi»165.

162 Ivi, p. 13. 163 Ivi, p. 22. 164 Ivi, p. 23. 165 Ibidem.

Per quanto riguardava i mezzi da impiegare, il colloquio, strumento di base poteva essere comandato o non comandato, e doveva toccare i seguenti punti: generalità dell’interrogato, atteggiamenti, anamnesi, aspettative, comportamento, motivi. Lo schema elaborativo da seguire era preciso: presa di contatto con le organizzazioni per ottenerne la collaborazione; impegnare gli studiosi; porre il problema; scegliere i dati e gli obiettivi; campionare; formulare il questionario; provarlo; fare il colloquio; codificare i risultati in tabelle; analizzare quantitativamente e qualitativamente; controllare le ipotesi; fare rapporto ai datori di lavoro e ai sindacati; scrivere su riviste scientifiche.

I principali problemi da affrontare sarebbero stati, riguardo all’organizzazione: «1. Com’è possibile creare un’organizzazione tale da consentire agli individui un optimum di soddisfazione compatibile con l’optimum di soddisfazione dell’azienda, relativamente alle esigenze e agli scopi?

2. In quali condizioni agisce l’organizzazione formale per adattare l’individuo all’azienda creando una organizzazione formativa? In quali circostanze l’organizzazione formativa favorisce od ostacola il buon funzionamento dell’azienda?

3. Come funzionano i piccoli gruppi in un’azienda? In quali condizioni portano ausilio o nocumento alla produttività morale?

4. Qual è l’optimum di comunicazioni in un’organizzazione? Ed in quali condizioni possiamo avere troppe o troppo poche comunicazioni? Come possiamo creare questo optimum di comunicazioni?

5. Che rapporto sussiste tra l’importanza dell’azienda e lo stato delle relazioni Umane?

6. In quali condizioni si possono centralizzare o decentralizzare i servizi in un’azienda?

7. Che rapporti sussistono tra i servizi di produzione ed i servizi funzionali? Come operare la diagnosi dei problemi? Come può risolverli un cambiamento nella struttura organica o nelle relazioni inter-personali? »166.

Riguardo all’adattamento dell’individuo:

«1. Qual è l’influsso, positivo o negativo, della natura dell’organizzazione sull’individuo?

2. Quali sono gli effetti positivi o negativi dei sistemi di controllo […] sulle relazioni interpersonali in un’azienda?

3. Qual è l’approccio, positivo o negativo, tra l’elevazione del livello tecnologico della razionalizzazione del lavoro e lo sviluppo dell’individuo?

4. Qual è il rapporto tra la salute mentale e l’occupazione, da una parte, e le condizioni di lavoro, dall’altra?

5.quali sono i fattori che influenzano lo statuto di un individuo in un’azienda? E come tale statuto influenza la produttività ed il morale?

[…]

7. Quando in un’azienda giovani e vecchi lavorano insieme, quali sono i problemi di Relazioni Umane che si pongono?

8. Quali sono le cause dell’opposizione ai cambiamenti?[…]

10. Quale è la relazione tra l’individuo ed il morale del gruppo? Tra l’individuo e la produttività, da una parte, ed il morale del gruppo , dall’altra? »167.

166

Ivi, p. 26.

167

L’ultimo punto raccomandava alla sociologia del lavoro di occuparsi dei problemi relativi ai rapporti tra management e sindacati e delle relazioni umane all’interno dei sindacati stessi.

Veniva espresso il rammarico per uno scarso sviluppo delle ricerche nelle relazioni umane in Europa, sviluppo che avrebbe consentito maggiori generalizzazioni e uno spettro di analisi più ampio di quello possibile. Era sottolineata anche la necessità di dotarsi di sistemi valutativi delle ricerche su un piano internazionale.

L’ampliamento degli interessi della sociologia del lavoro doveva prendere in considerazione la struttura sempre più industrializzata della società, per cui veniva fatta notare l’«utilità dello studio delle relazioni Umane in una grande varietà di situazioni industriali al fine di allargare la conoscenza generale e di precisare le […] “intuizioni” nei problemi particolari delle organizzazioni industriali: scuole, ospedali, gruppi dell’esercito, uffici governativi»168.

L’obiettivo dei lavori del gruppo C era volto alla comprensione di come rendere l’industria più aperta nei confronti della ricerca sociologica, dei problemi che essa poteva comportare nel rapporto con i soggetti economici, e delle difficoltà che potevano emergere nella formazione dei ricercatori sul campo.

Quanto a stabilire una linea di comunicazione tra ricerca e industria sarebbe stato necessario porre «i problemi […] in termini analoghi per l’industria e per la ricerca […] sollevare le condizioni emotive favorevoli all’accostamento intellettuale»169.

I membri del convegno vedevano di fondamentale importanza per avvicinare i ricercatori all’industria l’applicazione di un discorso scientifico alla tematica delle Relazioni Umane:

«non si tratta di chiedere all’industria di far suoi i metodi e le concezioni degli studiosi, e di sopportare le spese, ma di estendere a nuovi problemi uno stato di spirito che essa ha saputo sviluppare con tanta efficacia nel campo tecnico […] dovrebbe essere intrapreso uno sforzo in comune per individuare e formulare, in termini scientifici, alcuni problemi umani nell’industria […] la comunicazione tra l’industria e la ricerca potrà essere favorita anche dalla presenza dentro le aziende industriali di responsabili già iniziati alle tecniche ed ai metodi della ricerca […] sembra augurabile che alcuni “managers”, già da tempo impegnati nella vita industriale, possano raffrontare la propria conoscenza empirica dei problemi con gli accostamenti scientifici che vengono loro suggeriti. In tal caso l’accostamento tra industria e ricerca si effettua, per così dire, in seno all’individuo»170.

168 Ivi, p. 30. 169 Ivi, p. 40. 170 Ibidem.

Per accostare i due campi diventasse i membri del congresso suggerivano ai ricercatori un linguaggio il meno possibile settoriale, magari volgarizzato dalla penna di giornalisti esperti, e scevro da tecnicismi esterni al mondo dell’industria. Inoltre i ricercatori avrebbero dovuto essere prudenti circa l’interpretazione dei dati: «da una parte perché in questo campo non vi è una panacea né una soluzione ideale […] dall’altra perché il ristretto numero ed il medio livello degli specialisti attualmente esistenti in Europa impone una certa prudenza»171.

Il rapporto tra azienda e ricerca era complesso e doveva basarsi su una relazione di fiducia che permettesse di superare le resistenze che il ricercatore doveva affrontare di volta in volta: resistenze che derivavano dal timore nel rapporto con gli uomini di industria; resistenze provocate dal mutamento imprevisto di timing della ricerca. In altri casi esse assumevano la forma di vere e proprie crisi interiori e derivavano da esiti non previsti dell’inchiesta che avrebbero potuto assumere forma di critica nei confronti dell’organizzazione.

Il punto cruciale toccato dal gruppo C fu il problema della formazione dei ricercatori per mezzo della ricerca applicata. Veniva respinta per i ricercatori la definizione di “specialista in Relazioni Umane”, in quanto «la loro preoccupazione permanente dovrebbe essere quella di favorire lo sviluppo dei membri dell’organizzazione; ma per raggiungere questo scopo esistono vie diverse che corrispondono a differenti concezioni di ciò che in ciascuna organizzazione condiziona la qualità delle Relazioni Umane»172.

Il giudizio sul rapporto tra specialisti e industria era chiaro nella direzione di voler mantenere un distacco tra impresa e ricerca che fugasse ogni sospetto di ambiguità: «è augurabile che rimangano al di fuori delle aziende, quali intermediari tra la ricerca e le industrie. Pur tuttavia in alcuni organismi molto bene integrati, che comprendono un gran numero di unità di produzione, tale esigenza di esteriorità sembra minore, o più esattamente gli specialisti appariranno al di fuori delle unità di produzione se dipendono da una sede lontana […] è essenziale che gli specialisti trovino in seno all’azienda dei responsabili capaci di comprendere il senso dei loro suggerimenti, e di curare l’opera che avranno iniziato»173. Managers, responsabili delle risorse umane, e medici del lavoro erano le figure direttamente chiamate in causa per introdurre

171 Ivi, p. 41. 172 Ivi, p. 44. 173 Ibidem.

nell’azienda una buona politica di relazioni umane, che comunque non avrebbe dovuto interagire negativamente nei negoziati collettivi.

Nel corso della riunione conclusiva, il rappresentante dei sindacati europei affermò che sarebbe stato impegno delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori agire al fine di favorire l’ingresso delle relazioni umane nelle aziende.

Preso atto delle differenze tra Stati Uniti ed Europa date soprattutto dalla facilità di applicazione delle novità negli USA dove non si doveva lottare contro preconcetti e consuetudini millenarie, venne fatto notare come in America non fosse ancora stato possibile convocare un congresso in cui sindacati e sociologi discutessero insieme, mentre in paesi europei come Belgio e Germania questa collaborazione si era già concretizzata.

Lo psicologo Marzi, citando il caso italiano, fece notare come i sociologi fossero ancorati a vecchie concezioni e come l’industria dimostrasse una grande diffidenza nell’introduzione delle relazioni umane, mentre le resistenze da parte operaia erano legate a preconcetti politici. Marzi vedeva nel CNP e nell’ENPI gli unici soggetti in grado di favorire le ricerche e ne auspicava un incoraggiamento, unito all’attiva cooperazione tra mondo del lavoro e studiosi.

Con questi intenti Pellizzi creò a Firenze presso l’Istituto Alfieri il Centro studi sui problemi del lavoro (CSL)174, una delle strutture all’avanguardia in Italia nella formazione dei dirigenti e nella diffusione delle human relations.

Il CSL, inoltre, fu impegnato nel monitoraggio e nella propaganda dei nuovi metodi di formazione professionale. I legami che Pellizzi intratteneva con gli organismi europei preposti all’attuazione del productivity drive garantì al CSL collaborazioni con l’EPA, tra cui ricordiamo il progetto 179, uno studio sugli istituti di formazione professionale della manodopera industriale.

La ricerca aveva per obiettivo quello di capire come queste scuole avrebbero dovuto ricalibrare gli obiettivi in considerazione del fatto che, se nel 1945 la priorità era quella di indirizzare verso il lavoro industriale manodopera proveniente dall’agricoltura, in un contesto di crescente meccanizzazione sarebbe stato invece necessario «favoriser des spécialisations très qualifiées, afin de pourvoir au besoin d’aptitudes artisanales de la

174

«Pellizzi vuole e chiede di essere valutato per la sua produzione scientifica, nella quale si sforza di acquistare una competenza adeguata agli standard internazionali […] si prodiga nella creazione di centri scientifici che possano offrire opportunità di ricerca a studenti e allievi [...] evita accuratamente di confondere le sue idee politiche con le posizioni scientifiche» M. Salvati, Scienza, biografia e politica nel “secolo breve”: il caso di Camillo Pellizzi in “Annali della Fondazione Ugo Spirito” n. XVI-XVII, 2007, p. 42.

plus grande partie de l’industrie; pourvoir au dressage rapide de la main d’oeuvre affectée à des systèmes de production mécanisés»175.

Per l’EPA si trattava di fornire una rassegna dei mezzi e dei programmi messi in pratica nelle diverse industrie dei diversi paesi europei, valutare i metodi di formazione applicati, descrivere i bisogni dell’industria. Il coordinamento internazionale venne conferito al National institut of industrial psychology di Londra diretto da C.B. Frisby. In Italia la collaborazione fu estesa alla Confindustria, a CISL e UIL, alle ACLI, alle Camere di commercio locali, al Ministero del lavoro, alle associazioni per l’istruzione tecnica, all’istituto di pedagogia dell’università di Roma, all’Istituto per la formazione nell’industria di Milano, all’IRI, e al CNP, oltre alle scuole professionali.

L’ipotesi di uno scarto tra preparazione tecnologica istruzione professionale impartita nella