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Dall’Italia al mondo anglosassone e ritorno: Giuseppe Bonazzi e Antonio Carbonaro

Capitolo III Il lavoro della sociologia

3.3 Dall’Italia al mondo anglosassone e ritorno: Giuseppe Bonazzi e Antonio Carbonaro

Nel periodo in cui la sociologia «non era ancora insegnata nelle università italiane, non esisteva una comunità di sociologi e se si voleva studiare qualcosa in quel campo bisognava andare all’estero, trovare un maestro personale o rassegnarsi a fare l’autodidatta»95 Giuseppe Bonazzi era uno studente a Torino. Il suo atteggiamento

92 F. Ferrarotti, La “nuova scienza” dell’interconnessione in G. Ceccatelli Guerrieri (a cura di), Le ragioni, cit. p. 162. 93 F. Ferrarotti, Nelle fumose stanze. La stagione politica di un “cane sciolto”, Milano, Guerini e associati, 2006, p.76. 94 F. Ferrarotti, La ricerca, cit., p. 114.

politico non era ben definito, ma rifletteva un disagio e un desiderio di cambiamento che guardava più agli Stati Uniti che all’Europa: «a quel tempo non ero ancora di sinistra, mi sentivo liberale e soprattutto laico, naturaliter di area atlantica sebbene con tutto il fastidio per la cappa cattolica calata sull’Italia con la vittoria democristiana del 18 aprile ‘48»96.

Abbagnano diede modo a Bonazzi di entrare in contatto con la sociologia organizzando un seminario con un sociologo americano impiegato presso l’Olivetti nel 1952. Ma fu l’anno seguente, presso la biblioteca dello United States Information Service (USIS) di Torino, in piazza San Carlo che Bonazzi scoprì il primo libro di sociologia Knowledge for what? Di Robert Lynd. Gli USA del New deal avevano per un giovane studente laico - nel senso più ampio del termine – un forte fascino e rappresentavano il sogno americano democratico in cui gli eccessi del capitalismo erano stati regolati dalle riforme compiute in alleanza con la classe lavoratrice. Il libro di Lynd diceva che «il capitalismo da solo non è sufficiente a garantire questo obiettivo e deve essere integrato da una robusta azione riformatrice del governo. Ritrovavo in Lynd molti temi della sinistra americana che mi erano divenuti familiari dopo mesi di letture per la mia tesi»97.

Fu sotto la direzione del comunista riformista Cominotti98 che Bonazzi, nel frattempo iscrittosi al PSI, iniziò a lavorare per l’Ufficio studi della CGIL di Torino. Lavorando in collaborazione con Bruno Trentin per un sindacato che cercava di riorganizzarsi – anche dal punto di vista teorico, ad esempio con il dibattito sull’automazione – e per reagire all’offensiva a tutto campo di Valletta, che Bonazzi divenne sociologo.

Nel luglio dello 1956 Bonazzi partecipò al congresso “I lavoratori e il progresso tecnico”99 come membro dell’Ufficio Economico della Camera di Commercio di Torino, anche se in realtà iniziò portando i saluti del PSI. Il suo intervento prendeva in esame la fabbrica di pneumatici Michelin di Torino, nello specifico un caso di licenziamenti dovuti all’introduzione di nuovi macchinari. Bonazzi tracciava la storia dei processi di lavorazione e

96 Ivi, p. 15.

97 Ivi, p. 17.

98 Di Cominotti Bonazzi dice «un economista per quei tempi molto spregiudicato, un socialdemocratico in pectore. Fu con Cominotti come maestro che cominciai a leggere Il Sole 24 Ore e il Mondo Economico, che incominciai a capire le statistiche e come si fa un trend e una media» in G. Bonazzi, Le tematiche di confine in L. Visentini (a cura di), Tra mestiere e vocazione, cit., p. 38.

99 G. Bonazzi, Alcune esperienze alla Michelin di Torino in I lavoratori e il progresso tecnico, Roma, Editori Riuniti, 1956, pp. 223-233.

descriveva il funzionamento della catena, proponendo quattro rivendicazioni possibili. Se l’intervento di maggior rilievo del congresso era stato quello di Leonardi, che proponeva una lettura dello sviluppo tecnico e della nuova fabbrica ricalcando lo schema proposto da Touraine, Bonazzi effettuava un’analisi che seguiva l’impostazione classica delle analisi sindacali. Tuttavia la sua presenza al congresso che segnò la svolta nei rapporti che sarebbero intercorsi tra la sociologia del lavoro e il sindacato social-comunista, era significativa. Per la prima volta un’organizzazione rigida e arroccata nelle proprie convinzioni si metteva in gioco e si dimostrava pronta a cogliere le opportunità offerte dalla sociologia per riprendere una lettura delle trasformazioni della fabbrica e della società. La presenza tra gli altri di un giovane Bonazzi, accanto a quella di elementi più conservatori della struttura, più che per i contenuti espressi, testimoniava lo spirito di scommessa e di proposta del congresso.

Del resto Bonazzi nello stesso anno, nel mezzo del dibattito sul rinnovamento della cultura di sinistra, fu autore di un intervento pubblicato da “Opinione” in cui sosteneva con forza la ripresa degli studi sociologici come risposta alla crisi: «si tratta in sostanza di vedere se la cultura di sinistra italiana [...] non possa riconoscere come sua espressione legittima anche altre correnti filosofiche»100. In particolare Bonazzi faceva riferimento ad un costume mentale di tipo anglo-americano, per il quale «nulla è accettabile se non controllato dalla ricerca, nulla è definibile se non in termini di ricerca»101.

Questo non poteva prescindere dalla ripresa di ricerche volte a garantire la democraticità delle relazioni interne al movimento operaio: «solo una visione dinamica, e quindi storicistica, della cultura offre all’uomo la possibilità di essere continuamente a contatto con il nuovo storico»102.

In questo senso il marxismo nel 1956 dimostrava di non aver più mezzi sufficienti a leggere la realtà e per questo avrebbe dovuto aprirsi a nuove discipline: «gli stessi sforzi dei più intelligenti studiosi marxisti di dimostrare la spregiudicata apertura del loro pensiero a strumenti di indagine provenienti da altre culture [...] somigliano stranamente agli sforzi di chi, indossata una camicia stretta, si agiti per dimostrare che egli è ancora in grado di compiere tutti o quasi i movimenti»103.

Un nuovo illuminismo non elitario ma di massa e la ripresa di studi e ricerche in un contesto di accresciuto benessere e progresso tecnologico avrebbero garantito uno

100 G. Bonazzi, La battaglia per un nuovo illuminismo di massa in “Opinione” n. 4, 1957, p. 13. 101 Ivi, p. 14.

102 Ivi, p. 15. 103 Ibidem.