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Capitolo II Studiare il lavoro che cambia

2.1 Il «sindacato nuovo»

2.1.1 La CISL e il CNP

La sincera adesione al progetto produttivista dei dirigenti cislini e i solidi legami che si instaurarono con il CNP facevano parte di un progetto che, a partire dalla scissione, avrebbe caratterizzato la CISL per l’equidistanza dal sindacalismo marxista e dalla Democrazia Cristiana, anche se il secondo obiettivo venne perseguito con maggiori difficoltà.

Nel 1952 Giulio Pastore dalle pagine della rivista del CNP, “Produttività”, affermava che gli interessi del sindacato si identificavano «con quelli della maggiore parte dei consumatori e dei cittadini in generale»10: significava prendere atto di una nuova concezione del lavoro, in cui la produttività avrebbe giocato il ruolo di promotore in prima istanza di un benessere diffuso a condizione che questo passasse per una migliore retribuzione e una collaborazione aziendale effettiva.

Pastore gettava un ponte tra mondo cattolico più tradizionale e la concezione che il

productivity drive si sforzava di imporre, quella di un mercato basato su alta

produttività e diffusione dei consumi di massa: «è noto come l’interesse al problema della produttività nasca per il sindacato dalla considerazione che un reale miglioramento del potere di acquisto dei salariati non può derivare altro che dalla possibilità di disporre di una maggiore quantità di beni, la cui produzione richieda un

8 A. Carera, Progresso tecnico e organizzazione del lavoro nell’industria italiana (1950-1960) in “Annali della Fondazione Pastore”, XXII, 1993, p. 35.

9 A. Accornero, Per una nuova fase di studi sul movimento sindacale in A. Accornero (a cura di), Problemi del movimento sindacale, cit.

minore impiego di fattori, non può derivare che dalla possibilità di impiegare più produttivamente questi fattori»11.

All’interno delle aziende il sindacato avrebbe promosso le politiche produttiviste mediando tra lavoratori e direzione, puntando a garantire alle relazioni umane, recente introduzione nel dibattito italiano, un ruolo fondamentale per instaurare un nuovo clima di cooperazione: «si tratta di dare atto del senso di responsabilità che il sindacato dimostra controllando una politica di richieste salariali entro i limiti degli accertati aumenti di produttività di azienda o, ove sia possibile, di settore, riconoscendo in principio e nei fatti, la necessità che i lavoratori traggono benefici immediati da un constatato incremento della produttività, con una maggiore retribuzione loro direttamente attribuita»12. Per garantire la partecipazione dei lavoratori al benessere prodotto, il sindacato si sarebbe assunto l’incarico di puntare su strumenti quali la consultazione mista, le comunicazioni bilaterali, l’assunzione di parte delle responsabilità produttive: «è nostra opinione che soltanto quando nell’ambito aziendale si dà il modo al lavoratore di conoscere il quadro in cui le sue eventuali richieste si vengono ad inserire si può pensare che il lavoratore formuli queste sue richieste in modo tale da perseguire effettivamente il vantaggio suo e quello dell’azienda»13.

Ancora nel 1956 Pastore ritornava sulla questione delle relazioni umane e dell’organizzazione scientifica del lavoro che, in aziende pilota inserite nei distretti dimostrativi la CISL promuoveva dal 1953. Pastore, consapevole della diffusa ostilità da parte imprenditoriale nei confronti di tali pratiche, rilanciava la sfida proponendo la loro maggiore diffusione anche in altri impianti: «se “chiediamo” l’applicazione nelle aziende dimostrative del CNP di un “premio aziendale di produttività” [...] lo chiediamo in funzione di un suggerimento tecnico in ordine alla stessa esigenza»14. Il segretario era supportato dall’esperienza impostata fin dai primi anni Cinquanta riguardo alle tecniche sociologiche e psicologiche, invocandone la diffusione in nome della loro efficacia e scientificità: «quando chiediamo che si portino i lavoratori nelle aziende a partecipare alle responsabilità dell’organizzazione produttiva [...] riteniamo solo di suggerire un buon metodo di organizzazione, quello – suffragato da molte esperienze di studio psicologiche e sociologiche – che pone accanto al sistema gerarchico il sistema della autorità spontanea dei gruppi sociali»15.

11 Ibidem. 12 Ibidem. 13 Ivi, p. 301.

14 G. Pastore, Una fondata speranza per i lavoratori in “Produttività”, n. 2, 1956, p. 142. 15 Ivi, p. 143.

Pastore inoltre si dimostrava consapevole dell’equivoco in cui la CISL sarebbe potuta incorrere e faceva notare la differenza che intercorreva tra relazioni umane e il paternalismo al quale molti le associavano: «qualsiasi tentativo di diretto contatto della direzione aziendale con i lavoratori, anche utilizzando le più moderne e spregiudicate tecniche di psicologia e sociologia del lavoro, è destinato ad essere interpretato iniziativa paternalistica se non si trattano i lavoratori nella loro dignità di “persone che possono accettare o respingere le iniziative padronali”, cioè come liberi soggetti contrattuali»16.

L’orientamento del CNP era favorevole allo sviluppo della mediazione sindacale come garanzia della pace sociale; la struttura sindacale avrebbe dovuto implementare la formazione dei propri quadri per garantire il pieno raggiungimento degli obiettivi produttivistici: «se la produttività fosse semplicemente la misura del rapporto tra il prodotto e l’utilizzazione di determinati fattori, o una tecnica di direzione aziendale, essa sarebbe un puro oggetto di scienza (scienza naturalmente anche psicologica e sociale in quanto uno dei fattori della produzione è appunto il fattore umano); ed anche in questa fase scientifica sarebbe utile la presenza di esperti delle organizzazioni sindacali delle due parti»17.

L’Ufficio studi e formazione della CISL18 confermava l’importanza attribuita alle relazioni umane come perno delle vertenze interne all’azienda. L’automatismo, e i nuovi problemi che esso imponeva all’agenda sindacale quali l’aumento della fatica nervosa e l’incidenza delle pratiche organizzative doveva essere affrontato con un’analisi dello sviluppo che partiva dalla fabbrica per cogliere le implicazioni che il lavoro operaio rifletteva sulla società tenendo conto dell’«aumento di efficienza e di reddito, conseguente all’aumento della produttività del lavoro accompagnato dalla partecipazione dei lavoratori ai benefici relativi»19.

Il nuovo sindacalista avrebbe dovuto lottare per il miglioramento degli ambienti di lavoro e negoziare, oltre che le retribuzioni, anche i tempi e i metodi; suo principale compito sarebbe stato quello di responsabilizzare il lavoratore così da scongiurare gli effetti negative di pratiche quali l’esame attitudinale e il Training Within Industry (TWI) «affinché tali applicazioni non si ispirino alla credenza pseudo-scientifica, così diffusa agli inizi degli studi psico-tecnici [...] che pretende di effettuare una diagnosi

16 Ibidem.

17 G. Sacco, Sindacati e collaborazione nell’impresa in “Produttività” n. 10, 1953, p. 947. 18 Ufficio studi e formazione CISL, Il sindacato e l’organizzazione di fabbrica, Roma, 1955. 19 Ufficio studi e formazione CISL, Le relazioni umane e sociali nelle azienda, Roma, 1957, p. 12.

definitiva e infallibile delle abilità individuali, predestinando un uomo ad una occupazione vita natural durante»20.

Con una panoramica che guardava all’Europa, il dirigente Remigio Pesso illustrava l’esperienza sindacale tedesca che si era dotata di un centro studi sindacali. In Germania, dove la cogestione era istituita per legge erano attivi tre istituti per l’insegnamento teorico di discipline economiche e politiche a livello universitario, diciotto scuole permanenti per corsi mensili su politica sindacale e organizzazione del lavoro. A Colonia era stato creato l’Istituto Sindacale della Ricerca Industriale e il Circolo per lo studio del lavoro presso il quale erano studiati la valutazione del rendimento, la valutazione dei compiti, l’MTM, il problema del lavoro femminile. Grazie alla formazione dei quadri in istituti sindacali «il movimento sindacale contribuisce all’incremento della produttività, al cui sviluppo il lavoratore parteciperà ove senta di apportare volontariamente il proprio contributo, come un collaboratore dell’impresa, ed abbia la sicurezza di ottenere una equa parte del profitto»21.

L’autore ribadiva l’importanza della responsabilizzazione dei lavoratori e di un loro coinvolgimento in un progetto che travalicasse i confini dell’azienda e venisse considerato un apporto al benessere comune: «tale completa aderenza del personale presuppone due fondamentali cambiamenti nell’atteggiamento dell’operaio, cambiamenti che i perfezionati “rapporti industriali” da soli non possono effettuare e che gli interventi istituzionali solo in parte realizzano: la consapevolezza di lavorare non solo per il profitto di pochi [...], la partecipazione alle responsabilità della direzione»22.

La partecipazione dei lavoratori ai destini dell’azienda si sarebbe così inserita in un quadro di obiettivi sul piano produttivo e sociale, al fine di instaurare una democrazia nella quale il sindacato sarebbe stato il principale mediatore. In un opuscolo distribuito presso il distretto dimostrativo di Vicenza, i sindacati, in quanto responsabili del miglioramento delle condizioni dei lavoratori, venivano gravati delle responsabilità di formare i quadri affinchè fossero preparati e capaci di operare in una situazione in costante evoluzione: «i lavoratori hanno perciò interesse a scegliersi accuratamente i propri rappresentanti perché questi saranno i loro portavoce e potranno rendersi interpreti presso i propri sindacati dei suggerimenti adatti a migliorare il loro lavoro e

20 Ivi, p. 23.

21 Ibidem. 22 Ivi, p. 27.

le loro condizioni di vita. Rappresentanti preparati e competenti avranno molte più probabilità di successo»23.

Sul “Bollettino studi e statistiche”, pubblicato dalla CISL, una serie di articoli dedicati alle relazioni umane, da poco introdotte in Italia, chiariva le nuove problematiche alle quali il sindacalista doveva rispondere, non potendo più limitare la sua azione alla gestione delle vertenze contrattuali: «un numero maggiore di ore di sonno e maggiore copia di alimenti non bastano più: si richiede un tipo migliore di abitazioni, maggiori comodità nella vita domestica, nutrizione più razionale, un uso ponderato del tempo libero [...] il movimento sindacale, conscio di queste esigenze, deve orientare la propria azione al loro soddisfacimento»24.

Nei confronti dell’automazione, la CISL raccoglieva senza esitazioni le sfide che questa poneva, ma perché il suo intervento risultasse idoneo era necessaria la collaborazione di esperti competenti nell’impiego di tecniche volte a limitare le conseguenze negative sulla personalità del lavoratore. Il TWI era ritenuto un mezzo adatto a preparare un lavoratore e conferirgli il senso di responsabilità che il lavoro avrebbe rappresentato attraverso una formazione che fosse assieme tecnica e sociale: «la sede dell’attività per lo sviluppo delle capacità professionali del lavoratore deve essere il luogo stesso di lavoro. Il contenuto di quella attività non deve essere tanto tecnico quanto “sociale-organizzativo”, cioè fondato sull’esigenza di valorizzare la posizione sociale del lavoratore nell’azienda»25.

Per quanto riguarda la selezione psicotecnica la CISL, opponendosi ai metodi che definiva pseudo-scientifici, ribadiva la propria idea di umanizzazione dell’impresa come comunità di individui realizzati e non oppressi, cooperanti e non vessati: «non è altro che la trasformazione di una casuale “società” di uomini raccolti insieme per la pressione esterna [...] in una effettiva “comunità” di persone liberamente unite in uno sforzo creativo per la realizzazione di obiettivi valori superindividuali»26.

Una partecipazione democratica alle responsabilità delle aziende sarebbe stata possibile con l’introduzione di tecniche avanzate coniugate con un sindacato in grado di mitigarne gli effetti più nocivi: «la gestione ideale, capace di offrire buon terreno al successo della consultazione mista, è una gestione democratica che esalti lo sviluppo

23 ACPV, Produttività perché?, p. 18.

24 Le relazioni umane e sociali nell’azienda in “Bollettino studi e statistiche” n. 1 1954, p. 4 (100). 25 Ivi, p. 8 (104).

dell’organizzazione del personale e dei sistemi di lavoro secondo criteri moderni, che abbiano a principale fondamento non soltanto il rispetto della piena integrità personale di tutti i soggetti che si incontrano nell’impresa, ma soprattutto la preoccupazione della costante libera espansione della persona umana, adottando un atteggiamento sincero e convinto di collaborazione con i responsabili sindacali»27.

Solo con una preparazione solida e un grande consenso il sindacato avrebbe difeso a un tempo lo sviluppo tecnologico e la personalità del lavoratore, cogliendo l’opportunità di fondare una nuova democrazia industriale: «senza il sindacato sia nell’azienda, sia fuori dell’azienda, non si verifica nessuna difesa e nessuno sviluppo della personalità del lavoratore»28.

Il rapporto privilegiato che la CISL intratteneva con il CNP offrì l’opportunità a decine di sindacalisti di recarsi negli Stati Uniti per visitare di persona impianti e sedi sindacali per confrontarsi con le esperienze del paese più avanzato del mondo. Inoltre i sindacalisti avrebbero potuto constatare di persona e vedere applicate le ricette teoriche proposte dagli esperti di natura tecnica, ma anche organizzativa. Rientrati in Italia, i partecipanti alle missioni29 rendevano conto dell’esperienza svolta diffondendo a loro volta le conoscenze acquisite al fine di generare un processo imitativo virtuoso.

Come si può constatare dagli atti del primo convegno dei sindacalisti reduci da un viaggio oltre Atlantico, degli USA venivano magnificate le industrie e lo stile di vita dei lavoratori, distante dai livelli a cui gli europei erano abituati. Le differenze con l’Europa erano ancora più evidenti quando veniva descritto il clima umano osservato negli impianti nordamericani: «in una azienda dello stato dell’Indiana, una acciaieria che, nel corso di un anno, produce tanto acciaio e profilati quanto ne produciamo noi in Italia [...] il suggerimento dell’ultimo lavoratore viene ascoltato»30.

La collaborazione veniva immediatamente collegata al benessere diffuso tra gli operai: «il lavoratore (USA) ha un salario tale, rispetto al costo della vita, che può mantenersi a un tenore di gran lunga superiore di quanto sia possibile all’operaio italiano, livello che auguriamo di poter

27 Le relazioni umane e sociali nell’azienda (seconda parte) in “Bollettino studi e statistiche” n. 2 1954, p. 3 (147). 28 Ibidem.

29

Cfr. D. Barjot (ed.), Catching up with America: productivity missions and the diffusion of economic and technological influence after the second World War, Paris, Presses de l’Université Paris-Sorbonne, 2007 e T.R. Gourvish, N. Tiratsoo, Missionaries and managers: American influences on European management education 1945-60, New York, Manchester University Press, 1998.

elevare attraverso l’introduzione dei criteri di produttività»31.

Il circolo virtuoso produttività-benessere secondo quanto riportato dal giurista Emanuele Levi era legato al sentimento di corresponsabilità che i lavoratori sentivano di avere con la propria azienda: «la collaborazione ad una maggiore produttività da parte dei lavoratori è invece basata non già sugli incentivi ma sul fatto stesso che essendo le trattative a carattere aziendale, maggiore è l’interesse dei lavoratori ad un alto rendimento aziendale per avere sempre più alte paghe»32.

Aldo Orlandini dell’INPS confermava: le missioni negli USA avevano tra gli scopi primari quelli di verificare la effettiva pratica delle relazioni umane. Questo presupponeva un sindacato preparato nei diversi ambiti richiesti dalla collaborazione, per garantire il rispetto dei diritti, ma anche per affermare il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori come esperti e consulenti in materia economica e sociale: «la nostra missione ha avuto particolare riferimento, dato l’argomento che si proponeva, alla tecnica industriale, allo studio dei tempi e movimenti, al comportamento delle parti nella determinazione di nuovi cicli di lavorazione, ed alle funzioni dell’ingegnere industriale [...] che assomma in sé, sia quale funzionario di azienda o di sindacato, sia quale libero professionista di volta in volta chiamato come consulente da una delle parti, compiti di carattere limitato, e più particolarmente tecnico, come ad esempio lo studio dei tempi e dei movimenti di un semplice ciclo di lavorazione [...] fino ai compiti di alto interesse aziendale [...] studio della macchine ed economia politica, elettromeccanica e scienza della finanza, economia e politica, fisica e ragioneria»33.

Lusignoli del Centro Interministeriale per la Ricostruzione aggiungeva come una migliore integrazione e considerazione del fattore umano avrebbe potuto garantire all’azienda un maggior rendimento: «il fattore tecnologico è marginale, perchè ad un altro fattore, trascurato sinora, si dà oggi la massima importanza: il fattore umano. Per fattore umano si deve intendere non soltanto la migliore e consapevole utilizzazione delle energie umane, ma anche il rispetto della personalità umana [...] il lavoratore deve oggi sentirsi parte integrante dell’aggregato aziendale, deve essere consapevole che col suo contributo di lavoro egli partecipa alla vita dell’azienda considerata come complesso di energie materiali e spirituali

31 Ivi, p. 24.

32 Ivi, p. 30. 33 Ivi, p. 46.

tendenti ad un fine d’interesse comune che è di benessere comune»34. Nuove prospettive si aprivano dunque per le discipline in grado di implementare il fattore umano e gli studi che ne valorizzassero l’apporto al lavoro industriale, alla base dell’idea di produttività: «la psicologia, nel suo complesso, applicata la lavoro, è forza tale, che deve dare al lavoro un’impronta nuova alla civiltà moderna»35.