IV. La conquista del rispetto, approdare al Contratto Sociale
3. La capacità cognitiva che permette di diventare uomini e cittadini Per rendersi virtuoso l’uomo deve compiere un cammino di osservazione e con-
fronto dei fatti che avvengono attorno a lui136; la virtù non si incontra per caso, è grazie allo studio dei rapporti che si giunge alla conoscenza del bene e all’inseparabile volontà di compierlo. Il paragone con l’altro, a cui siamo spinti dalla costituzione dell’amor- proprio, si rivela quale condizione epistemica e etica del bene stesso. Se Émile imparerà a compararsi agli altri secondo una conoscenza oggettiva dei rapporti, e non tramite una semplice opinione, allora il suo amor-proprio sarà giusto e gli consentirà di realizzare quel secondo tipo di pietà che implica in sé la conoscenza della giustizia e la volontà di fare il bene. Quando Émile diventerà cittadino saprà identificare il suo bene con quello della comunità e in questo senso ciò a cui farà riferimento nel compiere quest’operazione non sarà l’amor di sé, ma il suo amor-proprio: non dovrà espandere il suo sé, ma attuare una contrazione di esso al fine di comprendere ciò che di essenzial- mente umano c’è in lui, per poi allargare tale concetto a tutti gli altri. L’amour de soi sembrerebbe invece espandere l’io anche al di sopra degli altri esseri umani, facendoci percepire la nostra presenza in loro, considerandoli dunque quali appendici del proprio sé. Ecco la fondamentale differenza fra l’attaccamento spontaneo a chi contribuisce alla nostra conservazione e l’amore verso l’altro: nel primo caso consideriamo chi ci sta di fronte esclusivamente in rapporto alla nostra sopravvivenza, mentre nel secondo caso non lo pensiamo in funzione del nostro io, ma lo amiamo proprio in quanto altro. La passione che nasce assieme all’uomo, ci dice Rousseau, è l’amor di sé e riguarda la con-
136 A questa conclusione giunge anche S. Charbonnier nel suo articolo “L’éducation de l’amour-propre
chez Rousseau: un dialogue avec Sénèque?”, op. cit., pp.357-360, là dove mette in evidenza l’influenza che il pensiero di Seneca può aver esercitato su quello di Rousseau. Anche Seneca nelle Lettere a Lucilio fonda la sua educazione morale sul ruolo necessario della comparazione: attraverso il mezzo dell’analogia lo spirito conosce la nozione di bene e onestà.
servazione di sé, compito a cui si rivolge senza sosta e che per essere svolto appieno ri- chiede che l’uomo ami se stesso più di ogni altra cosa e, per conseguenza immediata, che ami tutto ciò che gli permette di conservarsi137. Stiamo parlando dunque di un puro istinto, di un attaccamento meccanico, che per diventare sentimento, e quindi amore, deve essere trasformato dalla conoscenza dell’intenzione che causa le azioni di chi si in- teressa a noi. Gli esseri che si avvicinano a noi solo per un impulso ricevuto non ci inte- ressano più, mentre coloro che, per disposizione interiore o per volontà, agiscono libe- ramente ci ispirano reali sentimenti. Allora ciò che ci serve lo cerchiamo, ma ciò che ci vuole servire lo amiamo; così come ciò che ci nuoce lo evitiamo, mentre ciò che ha l’intenzione di farci del male lo odiamo. L’attaccamento si trasforma in amore, l’avversione in odio, e questo procedimento necessita di esperienza e di tempo: si ama solo dopo aver giudicato e si accorda una preferenza a qualcuno solo dopo averlo para- gonato ad altri. Questo processo è sintetizzato da Rousseau nel comportamento del bambino: il suo primo sentimento è amare se stesso e il secondo, che si sviluppa a parti- re dal primo, è quello di amare chi gli si avvicina perché, non potendo essere ancora au- tosufficiente, riconosce le persone soltanto in funzione delle cure che riceve da esse. Il bambino cerca allora la madre o la nutrice solo perché ha bisogno di loro, si tratta di una riconoscenza basata sulla loro utilità. Solo col tempo egli sarà in grado di capire che es- se non solo gli sono utili, ma vogliono anche esserlo, sono intenzionate a fare del bene nei suoi confronti, non è un fatto accidentale, si stanno interessando alla sua persona. Il bambino apprende così l’abitudine di un sentimento favorevole alla specie umana, e man mano che allarga la sua cerchia di relazioni, sviluppa il sentimento dei rapporti con gli altri e delle preferenze. Da ora in poi il bambino, passato ormai alla pubertà, si farà
guidare dall’amore in modo quasi cieco perché esso sarà in grado di vedere connessioni che lui non potrà percepire138.
L’amor-proprio non spinge Émile a seguire il bene collettivo esclusivamente in vista della promessa della stima sociale, ma soprattutto in funzione della conquista del rispetto. Un cittadino non dovrebbe muoversi soltanto per guadagnare l’onore di aver compiuto un’azione straordinaria; l’appartenere a una comunità e partecipare alla sua vita civica dovrebbe essere già motivo di orgoglio per lui. L’essenza dell’essere cittadini non risiede nella capacità di distinguersi, semmai in quella di identificarsi come membri di un gruppo sociale al quale rivolgiamo la massima stima. L’identità di cittadino è da conquistarsi quotidianamente nella dimostrazione della propria aderenza alle norme ci- viche che sono riconosciute nel loro più alto valore. Gli individui che sviluppano la pro- pria personalità in questa direzione soddisfano il loro desiderio di riconoscimento nel seguire un’identità pratica quali membri di un gruppo sociale più ampio. Pensarsi come uno degli appartenenti alla comunità, assumere la posizione di ciascuno, non significa allargare l’amor di sé per sentirsi presente in ognuno e desiderare la propria conserva- zione in ogni luogo dove si percepisce la propria esistenza; più che fare riferimento agli individui reali, si tratta di assumere il punto di vista della deliberazione razionale nell’approdare a un ideale astratto.
Émile onora se stesso nell’assoggettare la sua volontà alla ragione e ama gli uo- mini nella misura in cui gli assomigliano nel giudizio morale che possiedono. Egli si sentirà gratificato quando approvato in ogni cosa connessa con un buon carattere, non sarà felice semplicemente perché riconosciuto dagli altri, ma perché essi riconosceranno che le sue azioni sono giuste. A Émile non basterà sapere che il riconoscimento attribui- togli è stato emesso liberamente, vorrà anche che si basi su giuste cause, e, affinché
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«La scelta che si mette in opposizione con la ragione proviene proprio dalla ragione: abbiamo reso l’amore cieco perché ha occhi migliori dei nostri, e vede connessioni che noi non possiamo percepire.» (Ivi, p.269).
questo accada, dovrà egli stesso possedere una buona opinione di chi lo giudica: i suoi stimatori dovranno condividere con lui lo stesso status di essere morale, di giudici com- petenti sul bene umano. Soddisfare il desiderio di riconoscimento richiede reciprocità fra esseri umani che possiedono uno stesso tipo di giudizio morale, che va al di là dell’appartenenza a un determinato luogo o a una determinata epoca, e che afferisce in- vece a ideali etici validi per l’umanità in generale. Dunque la comunità di cui Émile si sentirà parte non sarà temporale o definita territorialmente, ma includerà tutti gli indivi- dui che sapranno agire in accordo con una concezione del bene che trascenderà conside- razioni utilitaristiche e che farà invece riferimento all’idea di cosa è giusto o onorabile, in contrasto con ciò che è meramente vantaggioso.
Per come è stato educato, il giovane Émile sentirà che il conseguimento della stima degli altri non potrà essere lo scopo esclusivo della sua azione virtuosa, semmai sarà una semplice gratifica in più per aver agito bene; la reale soddisfazione gli verrà dal sapere di aver compiuto un’azione buona e questo sarà per lui sufficiente. Vediamo dunque come Émile rappresenti la personificazione dell’ideale dell’uomo di ragione: egli, nell’obbedire alla legge morale, prova una sensazione di auto-soddisfazione che si rivela cruciale per il raggiungimento dell’interesse pratico nella moralità. Il precettore ha preso tutte le precauzioni necessarie affinché, una volta solo nel mondo, il giovane possa continuare ad agire in aderenza ai suoi doveri e all’idea di giustizia che gli è stata insegnata. Se prima il precettore doveva esercitare la sua autorità su Émile perché anco- ra debole e inesperto, adesso è proprio quest’ultimo a richiedere il suo intervento volon- tariamente perché ha interiorizzato le norme che gli sono state fornite e desidera essere virtuoso, anche quando non si trova sotto l’occhio vigile del proprio maestro. Questa capacità di rendere interiori alla propria coscienza le richieste di un’autorità esterna di- pende dall’amour-propre: la soddisfazione provata da Émile nel sottomettersi alla legge morale è una riconfigurazione del desiderio di essere buoni e amabili agli occhi di un
altro soggetto, rappresentato in questo caso dal tanto amato precettore. Onorare se stessi nel seguire una condotta razionale è possibile solo una volta che si è interiorizzato il punto di vista di un’autorità originariamente esterna e ai cui occhi desideriamo apparire degni di stima e virtuosi.
Quando il giovane avrà sviluppato propriamente il suo amor-proprio potrà en- trare in società quale cittadino:
«Émile non è fatto per restare sempre solo. Membro della società deve adempiere ai doveri. Fatto per vivere con gli uomini, deve conoscerli. Conosce l’uomo in generale: gli restano da conoscere gli individui. Sa cosa si fa nel mondo: gli resta da vedere come ci si vive. È tempo di mostrargli l’aspetto esteriore di quel grande spettacolo di cui conosce già tutti i giochi nascosti.»139
L’arte più necessaria all’uomo e al cittadino è allora quella di saper vivere coi propri simili, Rousseau fa così coincidere il suo progetto morale e pedagogico con una filosofia politica. La teoria non può dunque decidere da sola: l’obbligazione razionale a seguire la norma morale non ha un’unica fonte, non si può garantire a priori l’autorità da seguire in caso di conflitto fra l’opinione pubblica e la mia singola motivazione. L’autosufficienza nel giudizio e nel seguire la ragione si rivela un importante scopo pe- dagogico durante tutta l’adolescenza di Émile, ma tale fine va stemperato una volta che egli si trova a vivere in mezzo agli altri uomini nel mondo sociale delle relazioni. Le in- dicazioni del precettore lo hanno reso autosufficiente, gli hanno insegnato a fare riferi- mento alla sua razionalità, a ricercare la stima solo presso coloro che stimava a sua volta, non per farne un uomo perfettamente autonomo, ma per fornirgli le risorse interne ne- cessarie a fronteggiare la pericolosità data dalla dipendenza dagli altri nell’amore, nel lavoro e nell’essere cittadino. Le capacità acquisite grazie al tutore permettono infatti al
giovane di essere virtuoso anche quando lo sguardo della folla non è posato su di lui, di poter partecipare alla pubblica deliberazione e di saper giudicare autonomamente le opinioni altrui. Émile è adesso capace di cedere l’autorità dovuta agli altri, dando peso alle loro valutazioni, senza correre il rischio di perdere la sua integrità e libertà: prima è stato necessario educarlo ad essere uomo, ora è possibile renderlo cittadino. L’autosufficienza completa non è dunque realizzabile, ma, del resto, nemmeno auspica- bile: priverebbe l’uomo dell’unica forma di felicità possibile e della realizzazione del suo nobile potenziale. L’amour-propre esercita un ruolo determinante nella formazione dell’uomo e del cittadino: innanzitutto perché psicologicamente è difficile riuscire ad acquisire e mantenere lo status di uomo virtuoso in sé, basandosi solo su motivazioni in- terne alla propria coscienza; e poi perché nessuno riesce a determinare la propria volon- tà, in obbedienza alla ragione, senza tenere conto di ciò che gli altri pensano sia il cam- mino giusto da seguire per obbedire alle leggi stabilite.
Quando i miei concittadini riconoscono le mie azioni come attinenti alle leggi fissate dalla volontà generale, quando accettano le mie proposte legislative quali inter- pretazioni appropriate dei principi condivisi, essi riconoscono in me non un esempio as- soluto di virtù che si staglia al di sopra di loro, ma qualcuno che, applicando i concetti normativi nella giusta misura, ha dimostrato di essere uno di loro. Il bisogno di ricono- scimento è stato sublimato nel desiderio di essere approvato quale membro eguale della comunità. Il passaggio decisivo nello sviluppo dell’uomo e del cittadino è dunque la tra- sformazione della ricerca di stima, che agita così tanto chi è in preda al desiderio di ap- parire agli occhi degli altri, in una ricerca diversa che vuole conseguire primariamente il rispetto. La stima viene assegnata per specifiche qualità, si tratta di un’ammirazione che include l’approvazione positiva di una particolarità dell’individuo; mentre il rispetto è una forma morale con cui giudichiamo le persone, assegnando loro lo status di essere umano uguale a noi, degno degli stessi diritti che reclamiamo per noi stessi. Si stima
qualcuno per un’eccellenza, per il modo in cui si differenzia dagli altri suscitando am- mirazione per i motivi più vari: aver compiuto un’azione fuori dal comune, possedere abilità naturali, aver coltivato il proprio talento o semplicemente avere una caratteristica fisica innata che lo rende amabili. Se la stima si accorda soltanto ad alcuni, il rispetto è dovuto a tutti in quanto ne dobbiamo riconoscere la caratteristica principale e condivisa di essere umani; in questo senso può anche capitare di avere rispetto per persone che non stimiamo affatto. Il desiderio di essere ammirati per una particolare eccellenza è una manifestazione primitiva dell’amor-proprio, sicuramente precedente allo sviluppo della richiesta di rispetto. Abbiamo infatti visto come nel Discorso sull’origine e i fon-
damenti dell’ineguaglianza tra gli uomini l’uomo sviluppa inizialmente il suo amor-
proprio desiderando essere riconosciuto come il migliore nel canto e nella danza, il più forte o il più abile. I compiti della civiltà richiedono però concetti più sofisticati della pratica associata al semplice desiderio di essere visto come il più bello o il più forte. La pratica del rispetto presuppone non solo l’idea morale di cosa una persona possa richie- dere all’altra, ma anche l’abilità di pensarsi astrattamente, come una persona che condi- vide una natura fondamentale e gli stessi diritti di tutte le altre, nonostante ci siano par- ticolari qualità che le differenziano. Approdare al rispetto non significa però abbandona- re completamente la richiesta di stima pubblica, essa continua a giocare un suo ruolo nel motivare l’uomo a sviluppare e migliorare i suoi talenti, ma cessa di essere la spinta de- terminante ad agire. Per essere psicologicamente soddisfatti dobbiamo dunque ricevere sia rispetto che stima, quest’ultima ha valore perché è insito in noi il desiderio di essere riconosciuti anche nella nostra particolarità, oltre che nella nostra appartenenza al gene- re umano.
La promessa della stima sociale non è dunque l’unico motivo che spinge a servi- re il bene collettivo, in quest’azione sentiamo anche una ricompensa personale che si si- tua nel piacere di aver fatto qualcosa di giusto. Donando agli altri, non domando loro
niente in cambio perché possiedo già in me una parte della comprensione di essere stato giusto: offro allora a chi mi sta di fronte un secondo beneficio, oltre a quello di aver agi- to rettamente in vista degli interessi di tutti, insito nello spettacolo del mio piacere au- mentato grazie all’azione compiuta. L’altro, posto davanti alla mia felicità, si sentirà al- lora in parte causa di essa: nelle relazioni di questo tipo, basate sui principi condivisi da tutti e che danno risalto al valore del rispetto per gli altri, è possibile vedere come l’amor-proprio possa servire da supporto nel creare una gioia reciproca. L’altro diventa donatore di senso della mia esistenza, qui è all’opera una razionalità che ha fiducia nella risposta che riceverà, nella reciprocità dell’azione. Dietro a questa spinta a seguire gli interessi collettivi non c’è il desiderio di apparire come migliore, ma quello di essere ri- conosciuto quale essere dotato di quella dignità umana comune a tutti. L’altro non si configura come un rivale, come un nemico nella corsa al riconoscimento, ma come una parte mancante del proprio io.
Conclusioni
Il nostro elaborato si è sviluppato attorno a un’interpretazione del testo rousseu- viano che intendeva distaccarsi dalla tradizione interpretativa, in quanto teso a rivelare il potenziale positivo dell’amour-propre. Abbiamo infatti visto come esso possa essere pensato quale base indispensabile per lo sviluppo di tutte le capacità cognitive dell’uomo e dei beni irrinunciabili a cui può avere accesso grazie ad esso, capacità e be- ni che caratterizzano ciò che di più alto l’umanità può raggiungere. La plasticità dell’amour-propre, insita nella sua dipendenza dallo sguardo altrui, può essere sfruttata al fine di ottenere un ordine sociale capace di integrare il desiderio di riconoscimento di tutti.
Abbiamo visto come per Rousseau il sé nasca all’interno del processo di espe- rienza e attività sociale, quale risultato delle relazioni che l’individuo ha con questo pro- cesso nella sua totalità e con gli altri individui all’interno di esso. Appena l’uomo entra in contatto con i suoi simili sviluppa un sentimento che lo porta ad essere interessato a loro e al senso che essi possono attribuire alla sua persona: cerca di porsi dal loro punto di vista per capire come può essere visto dai loro occhi. Questo comportamento si svi- luppa unicamente all’interno di un gruppo sociale e permette all’uomo di diventare og- getto a se stesso, di pensarsi come un’unità. L’individuo ha dunque esperienza di se stesso in quanto tale non direttamente, ma solo in modo indiretto, tramite le particolari opinioni degli altri individui, appartenenti al suo gruppo sociale, o tramite l’opinione generale del gruppo sociale in quanto totalità a cui egli appartiene. Prima di percepirsi come soggetto, l’io deve avere modo di diventare oggetto a se stesso alla stregua di co- me gli altri individui sono per lui, o per la sua esperienza, oggetti. Diventare oggetto a se stesso significa allora che l’io assume verso di sé gli stessi atteggiamenti che gli altri tengono nei suoi confronti. Una volta che questo io si è formato, che, grazie al senti-
mento dell’amor-proprio, è diventato capace di concepirsi in modo riflessivo, può anche pensarsi come isolato, poiché avrà sempre come compagno se stesso, al quale rivolgersi nello stesso modo con cui prima comunicava con gli altri. Inevitabilmente però si conti- nua a cercare un uditorio, come Rousseau stesso fa durante il suo ritiro nelle passeggiate solitarie, si sente incessantemente il bisogno di proiettarsi su qualcuno, di essere ricono- sciuti. Pensare si qualifica come un processo di preparazione all’azione sociale: una conversazione interiore in cui si prepara il discorso che sarà poi rivelato agli altri. Rous- seau si abbandona alla fantasticheria in totale solitudine e decide di trascriverla, tale processo rimane comunque “impigliato” nella rete sociale perché si rivolge implicita- mente ad altri rivolgendosi, allo stesso tempo, al proprio sé; controlla il discorso rivolto ad altri mediante la risposta che ha trovato in se stesso. Questo gioco continuo di reci- procità si esplica nel ruolo stesso che il filosofo ginevrino assume nel momento in cui decide di farsi scrittore: dovrà trovare il tipo adatto di espressione, capace di suscitare negli altri i sentimenti che si svilupperanno man mano in lui.
Lo scarto che l’uomo attua in società rispetto agli altri animali è dovuto al ruolo dell’amour-propre nella sua formazione: egli sa assumere in sé gli atteggiamenti di tutti