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Il mito della trasparenza e la critica della società

III. Dissolvere il mito della trasparenza nella società

1. Il mito della trasparenza e la critica della società

L’incomunicabilità con gli altri, conseguenza diretta dell’alienazione, è vissuta in prima persona da Jean-Jacques nello sperimentare la scissione fra essere e apparenza, nello scontro con gli ostacoli, prodotti artificiali di istituzioni sociali improprie, interpo- sti al raggiungimento della felicità. Il male sembra dunque essere prodotto dalla storia e dalla società: l’uomo in sé non ha colpe relativamente al pericolo di alienazione, a cui viene sottoposto soltanto dai rapporti che instaura col mondo esterno. Ciò che corrompe l’uomo si configura come un offuscamento artificiale, identificato con l’umana, ma ec- cessiva passione per ciò che è esterno, per il possesso di beni materiali, per l’apparenza e l’onore. Tuttavia, Rousseau ci ricorda che se il movimento della storia conduce alla corruzione morale e alla degenerazione, permane comunque nell’essenza dell’uomo un’innocenza originaria: la natura primitiva persiste ancora sotto gli apporti esterni che tentano di nasconderla62.

Come ci racconta nella sesta passeggiata63, Rousseau stesso è stato travolto dal cambiamento, ma ha cercato in tutti i modi di resistere, di affermare con tutta la sua for- za la propria identità, respingendo ogni responsabilità al di fuori di sé. Sono stati gli altri a imporgli una maschera, sotto la quale però lui ha continuato ad essere il solito Jean- Jacques. Nella profondità dell’io egli ritrova i tratti originari dell’uomo dello stato di na- tura: l’essenza che sembrava perduta completamente, in realtà si è solo occultata, rifu- giandosi nell’interiorità. Ecco che l’abitudine alla riflessione e la ricerca della solitudine si rivelano di straordinaria efficacia nel riappropriarsi della trasparenza originaria; Jean-

62 «Simile alla statua di Glauco, che il tempo, il mare e le tempeste avevano talmente sfigurato da renderla

più simile a quella di una bestia feroce che a quella di un Dio, l’anima umana alterata in seno alla società da mille cause che sempre si rinnovano, con l’acquisizione di una quantità di conoscenze e di errori, con i cambiamenti subiti dalla struttura fisica, e con lo scontro continuo delle passioni, ha, si può dire, cambiato aspetto al punto da divenire quasi irriconoscibile […]». (J.-J. Rousseau, Discorso sull’origine e i

fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, op. cit., p. 87).

63 J.-J. Rousseau, Le fantasticherie del passeggiatore solitario, trad. it. N. Cappelletti Nucci, introduzione

Jacques, immune dai pregiudizi e dalla corruzione delle passioni, sa lasciarsi andare alla fantasticheria e alla contemplazione che gli permettono di accedere a quell’essenza ori- ginaria che saprà poi descrivere abilmente nella veste di storico.

La permanenza dell’innocenza originaria dell’uomo va di pari passo con l’idea del cambiamento collettivo che conduce alla corruzione: due movimenti paralleli, o me- glio, un movimento esterno e continuo verso il male e una “buona” trasparenza che si mantiene intatta e statica nell’interiorità. Collettività e individuo vanno incontro a due processi completamente diversi: la prima è responsabile della nascita di una società cor- rotta, mentre il secondo si trova a subire tale corruzione, anche se non gli appartiene. Come riconquistare il bene perduto? Opponendosi al progresso della storia, in particolar modo alla storia attuale, alla società in cui viviamo in questo momento.

La critica alla società nasce in seno alla presa di coscienza che essa è contro na- tura, ovvero contraria alla trasparenza naturale: essa nega infatti tutta la positività insita nell’uomo64

. L’accusa alla società si articola attorno alla separazione che essa instaura fra gli uomini, annullando ogni tipo di fiducia reciproca, istituendo fra loro una falsa comunicazione: l’individuo si trincera dietro un’apparenza ingannevole indossando la maschera disegnata dall’amor-proprio e non consegnandosi mai agli altri quale è real- mente. Fra le coscienze si intromettono le cose, non vi è più scambio diretto, ma soltan- to mediato; ciò che rappresenta l’interesse dell’uomo non è più la propria esistenza, ma l’oggetto che si è frapposto fra lui e gli altri, che si crede adesso unica fonte di felicità. L’alienazione nelle cose materiali si sviluppa in parallelo alla perdita della trasparenza: ecco perché nel Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini

64 «Dal momento in cui fui in grado di osservare gli uomini, li guardai fare e li ascoltai parlare; vedendo

poi che le loro azioni non assomigliavano affatto ai loro discorsi, cercai la ragione di questa

dissomiglianza, e scopersi che, poiché essere e sembrare sono due cose tanto differenti quanto agire e parlare, quest’ultima differenza era la causa dell’altra, ed aveva essa stessa una causa che mi restava ancora da cercare. La trovai nel nostro ordine sociale che, contrario in ogni cosa alla natura che non può essere distrutta da nulla, la tiranneggia tuttavia incessantemente e le fa in continuazione reclamare i suoi propri diritti. Seguii questa contraddizione nelle sue conseguenze, e vidi che, da sola, spiegava tutti i vizi degli uomini e tutti i mali della società.» (J.-J. Rousseau, Jean-Jacques Rousseau, cittadino di Ginevra, a

lo sviluppo della civiltà è descritto come negazione del dato naturale e perdita dell’innocenza originaria. Il passaggio dalla pura innocenza alla prima forma di corru- zione è segnato proprio dall’invenzione di utensili di cui l’uomo si serve per dominare la natura: lenza e amo, arco e frecce, più efficaci di rami e pietre, permettono all’uomo primitivo di sentirsi superiore agli altri animali nella lotta per la sopravvivenza e questo ben presto lo condurrà al «primo moto di orgoglio». L’armonia creata dalla sola sensa- zione viene spezzata dalla riflessione e dall’orgoglio, gli uomini si allontanano dalla condivisione completa dello stato di natura e la società nasce proprio dalla separazione fra mio e tuo, in seno alla frattura fra essere e apparire. L’uomo sociale, alienato nell’apparenza, si ritrova a vivere in relazione ad altri e in mezzo a desideri che da solo non riesce più a soddisfare. È necessario allora possedere qualcosa in più per dominare e imporsi sulle altre coscienze: la ricchezza materiale e il prestigio che consegue dal suo possesso diventano mete ambite nel gioco della stima. L’uomo della società si ritrova ad essere schiavo e padrone degli altri, anche l’uomo più ricco, infatti, non può fare a meno del lavoro dei suoi servi e dell’opinione che essi si costruiscono di lui; egli cercherà in tutti i modi di farli interessare alla sua sorte, facendoli credere che il loro bene coincide unicamente col suo bene65. Così vediamo quanto il bisogno di riconoscimento influisca nel comportamento: a seconda di chi si troverà di fronte, l’uomo dovrà imparare ad es- sere imbroglione e ipocrita con alcuni, duro e imperioso con altri; se poi non riuscirà a farsi temere o a rendersi utile nel servire, si troverà nella condizione di dover ingannare tutti coloro di cui ha bisogno.

L’ambizione divoratrice spinge a voler ottenere sempre di più, senza che questo corrisponda ad un reale bisogno, ma semplicemente per porsi in una posizione di supe- riorità rispetto ai propri simili. Si insinua allora nell’animo umano il desiderio di guada-

65 «D’altra parte, l’uomo, da libero e indipendente quale prima era, eccolo, da una quantità di nuovi

bisogni asservito per così dire a tutta la natura, e soprattutto ai suoi simili di cui in un certo senso diviene schiavo, anche quando ne diviene padrone: ricco, ha bisogno dei loro servigi; povero, ha bisogno del loro aiuto, e neppure la mediocrità lo mette in condizione di poter fare a meno di loro.» (J.-J. Rousseau,

gnare a spese degli altri, nascondendo dietro la maschera della benevolenza l’intenzione di nuocersi reciprocamente. L’uguaglianza viene sostituita da uno “spaventoso disordine” dove i più potenti fanno della propria forza una specie di diritto al bene altrui e la pietà naturale è annullata totalmente nelle usurpazioni dei ricchi e nella criminalità dei poveri. Ma ben presto questa situazione di guerra perpetua non si rivela la situazione ideale, so- prattutto per i più ricchi, i cui beni sono continuamente a rischio: conquistati con la sola forza, senza alcun diritto alle loro spalle, essi possono essere strappati dalle loro mani da un momento all’altro. Incapaci di difendersi, poiché soli contro tutti e senza la possibili- tà di allearsi fra loro a causa delle continue gelosie, i ricchi decidono di sostituire nuovi principi al diritto naturale, che era loro contrario. Facendo finta di agire nell’interesse dei più deboli, chiedono loro di unirsi per assicurare ad ognuno il possesso di ciò che gli spetta, tramite l’istituzione di regolamenti di giustizia ai quali tutti devono sottostare, da adesso in poi, nel nome di doveri reciproci. «[…] sufficientemente forniti di ragione per capire i vantaggi di una stabilizzazione politica, non avevano abbastanza esperienza per prevederne i pericoli; i più capaci a presentirne gli abusi erano proprio quelli che conta- vano di approfittarne, ed anche i saggi videro che bisognava decidersi a sacrificare una parte della propria libertà per difendere l’altra, come un ferito si fa amputare il braccio per salvare il resto del corpo.»66. Queste le parole di Rousseau per descrivere l’origine della società, da cui si evince facilmente la critica al meccanismo che nasconde dietro alla legge l’usurpazione dei più ricchi.

Dunque per il filosofo ginevrino l’attuale società politica non risale alla conqui- sta del più forte o all’unione dei più deboli, ma alle istituzioni create ad hoc dai più ric- chi. Prima dell’istituzione di tali leggi infatti non ha senso per Rousseau parlare di forte e debole, poiché questi termini corrispondono semplicemente a ricco e povero: un uomo non aveva altro modo di assoggettare l’altro se non attaccando i suoi beni o permetten-

dogli di usare i propri. I poveri del resto non avrebbero avuto nessun interesse a creare delle leggi che toglievano loro l’unico bene di cui erano in possesso: la libertà. Proprio sull’amore per la libertà i politici costruiscono i loro sofismi e assoggettano i popoli che hanno perso il gusto per essa: così come accade per l’innocenza e la virtù di cui si com- prende il valore solo quando si possiedono, mentre se ne perde il gusto appena non si hanno più.

Rousseau disprezza i popoli asserviti che accettano senza riserve il giogo della società, essi, a suo parere, non tengono conto del valore della libertà per la quale, invece, gli uomini dello stato di natura sanno combattere anche a costo della vita: il filosofo gi- nevrino chiama allora in causa per avvalorare la sua tesi i racconti dei viaggi che descri- vono i selvaggi nell’atto di sfidare la fame, il fuoco e il ferro piuttosto che accettare le raffinatezze europee in nome della loro indipendenza67.

Tuttavia, la costituzione del nuovo governo è sancita tramite l’uso di un contrat- to tra il popolo e i capi in cui si stabilisce l’obbligo reciproco delle due parti ad osserva- re le leggi stipulate e i vincoli della loro unione. Essenza dello stato sono dunque le leg- gi, le quali mantengono il popolo sotto il governo dei magistrati, resi legittimi dall’istituzione del patto iniziale. Dato questa forma generale del governo, poi Rousseau ce ne descrive le forme particolari che sembrano dipendere dal solo caso: a seconda del- le differenze, esistenti al momento dell’istituzione fra i vari individui, assistiamo alla nascita di una monarchia se c’è un uomo eminente per ricchezza e potere; vediamo sor- gere un’aristocrazia se un gruppo di persone, pressappoco eguali fra loro, prevale sul popolo; infine, da individui che si sono mantenuti abbastanza vicini alla condizione del- lo stato di natura si sviluppa una democrazia. Le magistrature erano inizialmente, in tut- te e tre le forme di governo, elettive e vedevano prevalere gli uomini più ricchi, quelli che sapevano accattivarsi la preferenza grazie a virtù quali esperienza negli affari, con-

67 Cfr. J.-J. Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, op. cit., nota

ferita dall’età, e fermezza nelle decisioni. Ma l’elezione di uomini in età avanzata con- duceva necessariamente a elezioni sempre più frequenti e questo portava a facili scontri fra le varie parti politiche. Si decise allora di rendere ereditaria la carica di magistrato, evento funesto per Rousseau poiché permette ai capi di considerare lo stato come una loro proprietà, trattando così i concittadini come schiavi.

La disuguaglianza nasce allora assieme alla società e si articola in tre passaggi fondamentali: la fondazione della legge (che autorizza la distinzione fra ricchi e poveri), l’istituzione della magistratura che sancisce chi è il debole e chi il forte, e il cambiamen- to della natura delle cariche, che passano da elettive a ereditarie, istituzionalizzando di fatto i termini di padrone e schiavo. Per Rousseau le distinzioni politiche sono anche si- nonimo di distinzioni civili: è allora inevitabile che l’ineguaglianza fra popolo e capi si riversi anche nella vita privata modificandosi sotto l’influsso delle passioni, le quali ri- sulteranno sempre più forti delle leggi, che si limitano a frenare gli uomini, senza cam- biarli definitivamente. Il filosofo ginevrino ricorda a questo punto la causa della passiva accettazione del giogo della società e della perdita di libertà da parte dei cittadini: essi sono tutti spinti da una cieca ambizione che fa rivolgere il loro sguardo soltanto verso coloro che possono assoggettare, piuttosto che nella direzione di chi li sta assoggettando. Il dominio subìto è allora gradito perché permette a sua volta un altro dominio su chi si trova su un gradino inferiore. Ecco che tutto si riconduce al desiderio universale di sti- ma, onori e distinzioni che divora tutti gli esseri umani moltiplicando passioni e renden- do tutti rivali e nemici. «Mostrerei come è proprio a questa smania di far parlare di sé, a questa furia di distinguerci che ci fa stare quasi sempre fuori di noi stessi, che noi dob- biamo ciò che c’è di meglio e di peggio tra gli uomini, le nostre virtù e i nostri vizi, le nostre scienze e i nostri errori, i nostri conquistatori e i nostri filosofi, cioè una gran quantità di cose negative contro un piccolo numero di positive.»68.

Dall’estrema ineguaglianza di condizioni e passioni derivano poi tutta una serie di pregiudizi del tutto avversi alla ragione e alla virtù, e proprio su questo faranno perno i capi per fomentare le divisioni in seno al popolo, opponendo interessi e diritti per man- tenere il potere che lo tiene a freno. «È dal seno di questi disordini e di queste rivoluzio- ni che il dispotismo, alzando a poco a poco il suo orrido capo e divorando tutto ciò che potrà scorgere di buono e di sano in ogni parte dello Stato, riuscirà infine a calpestare le leggi e il popolo e a stabilirsi sulle rovine della repubblica. […] (il dispotismo) non tol- lera nessun altro padrone; appena esso parla non c’è da ascoltare né probità né dovere, e la più cieca obbedienza è la sola virtù che rimane agli schiavi.»69. Siamo giunti al grado ultimo di ineguaglianza che ci riconduce al punto di partenza, gli individui non sono più niente e ridiventano eguali venendo meno anche la nozione di giustizia, poiché la legge è dettata esclusivamente dal volere del despota. Se nello stato di natura l’uguaglianza era nell’autonomia e nell’indipendenza totale, nella società la ritroviamo grazie al dispo- tismo, nella sottomissione universale e nell’annullamento individuale. La vera ugua- glianza dovrebbe però essere istituita nella libertà civile, piuttosto che nel solco della comune schiavitù70. L’uomo, schiavo di un suo simile e dei suoi bisogni, sembra non avere possibilità di espiazione dalla degradazione morale a cui lo conduce la società e il progresso intellettuale.

A questo punto è interessante osservare due tipi di interpretazione che sono sta- ti forniti al fine di scorgere una possibilità di superamento dello stadio, che vede l’umanità al culmine dell’ineguaglianza, così come ci viene descritto alla fine del Di-

69 Ivi, p.160. 70

«[…] non parlo della disuguaglianza delle doti naturali o dei beni di fortuna, ma della disuguaglianza dei diritti, contro cui si scaglia Rousseau. Ma questa disuguaglianza è inseparabile dallo stato di civiltà, perlomeno sino a che si procederà senza un programma ben definito: cosa che è ancora per lungo tempo inevitabile. Certamente a una disuguaglianza di questo genere l’uomo non era stato destinato dalla natura, dal momento che questa gli aveva dato la libertà e insieme la ragione per limitare questa libertà con una legge universale ed esterna, che si chiama diritto civile. L’uomo doveva uscire da se stesso dalla rozzezza delle sue disposizioni naturali e, innalzandosi al di sopra di queste, doveva aver cura di non ricadervi; […]» (I. Kant,Muthmasslicher Anfang der Menschengeschichte (1786) trad. it. C. Solari e G. Vidari Congetture sull’origine della storia in “Scritti politici”, a cura di N. Bobbio, L. Firpo, V. Mathieu, UTET,

scorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini. L’interpretazione di

Engels71 mette in rilievo il valore della rivoluzione attuata dagli uomini che, asserviti al volere del despota, si muovono con lo scopo di privarlo di ogni potere. Ponendo però in continuità il Contratto Sociale con il Discorso Engels incorre forse in un errore: non c’è stato un cambiamento incisivo in realtà per Rousseau, la rivoluzione non ha portato a una giustizia nuova poiché l’uomo è ormai incapace di sfuggire al disordine della vio- lenza. Le rivoluzioni, coinvolte inevitabilmente nella storia quale processo di degrada- zione, continueranno a fondarsi sulle basi di un patto iniquo. Il rinnovamento auspicato da Rousseau è di tutt’altro genere e si struttura attorno a nuovi rapporti. Inoltre il con- tratto sociale sarà istituito nel momento in cui si esce dallo stato di natura e non al cul- mine del degrado morale della società, come sostiene Engels72: Rousseau non ci sta in- fatti descrivendo il passaggio da una società imperfetta a una giusta, in cui la libertà ri- consegni a tutti l’uguaglianza, ma ci ricorda semplicemente a cosa si può andare incon- tro qualora non si ponga alla base della civiltà un patto quale quello descritto nel Con-

tratto Sociale. Dunque la rivoluzione sembra non rappresentare un passaggio necessa-

rio alla giustizia nella società. Niente ci è detto su cosa fare per realizzare il patto, ma soltanto cosa esso rappresenti e come debba essere articolato: le condizioni di realizza- zione dell’ideale politico non vengono fornite né nel Discorso, né nel Contratto Sociale. Possiamo adesso ritornare alla critica della società corrotta con in mano un modello ideale a cui ispirarci per osservare quanto la prima disti da quest’ultimo. Con questa consapevolezza diventa più chiara anche la seconda delle due interpretazioni di Rous- seau, quella fornita da Kant73 e, successivamente, da Cassirer74, che attribuiscono il ruo- lo di conciliazione fra natura e società non alla rivoluzione, bensì all’educazione.

71

F. Engels, Anti-Dühring in K. Marx – F. Engels, Opere Complete, Editori Riuniti, Roma 1974, vol. XXV, pp.133-139.

72 «E così la disuguaglianza si muta a sua volta in eguaglianza, non però nell’antica eguaglianza naturale

degli uomini primitivi privi di linguaggio, ma in quella più elevata del contratto sociale. Gli oppressori divengono oppressi.» (F. Engels, Anti-Dühring, op. cit., p. 134).

La conclusione a cui giungono tutti e tre i filosofi è la stessa: la società può ri- trovare l’accordo con la natura oltrepassando le ingiustizie che necessariamente porta con sé la civilizzazione; anche se poi il mezzo ritenuto essenziale per tale riconciliazio- ne è diverso. Kant difende per primo il progetto razionale di Rousseau intravedendone la continuità all’interno della denuncia del conflitto fra natura e cultura, che si rivela de- cisiva per pensare le condizioni di uno sviluppo dell’essere umano nella sua costituzione morale, senza venire meno a quella che è invece la propria determinazione naturale.