III. Dissolvere il mito della trasparenza nella società
4. Un’autobiografia impossibile, fra riconoscimento e risentimento
La grande capacità introspettiva di Rousseau gli permette di conoscersi in un unico atto intuitivo che si rivela come un’immediata presenza a sé: «So leggere nel mio cuore […]» 102 . Al pieno possesso dell’evidenza interiore corrisponde in lui un’incapacità di non lasciar trasparire all’esterno questo io così forte ed emotivo: tutti i suoi moti affettivi possono essere letti sul suo volto, le emozioni non rimangono mai racchiuse nei meandri della sua anima, ma affiorano spontaneamente in superficie: «[…] per la totale impossibilità in cui mi trovo, a causa del carattere, di tener celato qualcosa di ciò che sento e che penso»103.
«S’è visto in tutto il corso della mia vita che il mio cuore, trasparente come il cristallo, non seppe mai nascondere per un minuto di seguito un sentimento ap- pena vivo che vi fosse rifugiato.»104
Questo mostrarsi senza ostacoli di fronte agli altri si traduce all’interno dell’opera lette- raria di Rousseau nella scelta dell’autobiografia: consegna sincera e fedele dell’io agli altri, narrazione minuta di momenti vissuti in successione al fine di far emergere al me- glio la legge secondo la quale si compone il carattere di chi li ha vissuti. Tramite l’introspezione si ha pieno accesso a sé, niente rimane nell’oscurità in seguito a un esa- me approfondito delle proprie intenzioni e azioni105; la confessione acquista nel passeg- giatore solitario Jean-Jacques un carattere quasi terapeutico fornendo, con la sola narra- zione, cittadinanza nel mondo dell’io perfino agli atti più insoliti.
102 J.-J. Rousseau, Confessioni, trad. it. F. Filippini, introduzione di R. Guiducci, BUR, Milano 2006,
Libro Primo, p.23.
103
Ivi, Libro Dodicesimo, p.652.
104
Ivi, Libro Nono, p. 478.
105Come accade nel corso della Sesta Passeggiata che si apre con una dichiarazione di incertezza riguardo
ai primi e veri motivi delle proprie azioni, ma che abbandona ben presto questo tono di mancanza di chiarezza approdando, in seguito all’analisi interiore, a una delucidazione dei bisogni primari di Jean- Jacques, come quello della libertà di potersi astenere da ciò che non gli piace fare. (Cfr. J.-J. Rousseau, Le
Si ha però come l’impressione che questa trasparenza si produca invano, in quanto offrire la pura immagine di sé agli altri non basta affinché essi la accettino e la interpretino nel modo giusto; Rousseau infatti sarà vittima di questa mancanza di rico- noscimento della propria natura da parte dei suoi contemporanei, che travieranno tutto ciò che egli consegnerà loro:
«[…] dal modo in cui quanti credono di conoscermi interpretano le mie azioni e la mia condotta, vedo che in realtà non ne conoscono un bel niente.»106
Anche le persone a lui più vicine attribuiscono le sue azioni a motivi del tutto diversi da quelli che le hanno realmente prodotte. L’errore è nello sguardo degli altri e rivela la problematicità della traduzione della coscienza di sé in un riconoscimento esterno: le Confessioni saranno allora un tentativo di rettificare l’errore altrui, più che un esercizio di introspezione. Una sorta di apologia personale diventa necessaria affinché Rousseau possa ottenere la risposta esterna che tanto desidera dal momento che la chia- rezza interiore non sembra essere sufficiente. Lo stato d’animo della trasparenza per es- sere completo deve essere anche espresso all’esterno, è come se l’autore dovesse ag- giungere ulteriore evidenza a quella che già spontaneamente proviene dal suo cuore. La ricerca del riconoscimento appare di nuovo fra i bisogni necessari all’uomo per rag- giungere uno stato di completezza: finché la chiarezza interiore rimane solitaria, non è condivisa con altri, è semplicemente potenziale e rimane intrappolata nell’impossibilità di trasparire. La trasparenza ha bisogno di uno spettatore per essere davvero tale e Rousseau cercherà in tutti i modi di rendersi trasparente agli occhi dei suoi lettori, illu- minando sotto ogni luce la sua anima al fine di mostrarla più chiaramente possibile e in ogni suo movimento.
L’autobiografia nasce in Jean-Jacques dal desiderio di riscattare l’immagine di sé così mal interpretata da chi ha avuto modi di esserne spettatore, egli è stato giudicato per quello che non è e cerca di giustificarsi per ribaltare il verdetto già pronunciato sul suo conto e mostrarsi innocente. Il riconoscimento si configura a questo punto della sua vita come una vera e propria riabilitazione che possa dare ulteriore valore alla sua esi- stenza, proclamando definitivamente la sua autenticità. Le quattro lettere a Malesherbes, datate gennaio 1762, identificabili come il primo testo autobiografico di Rousseau, por- tano infatti il titolo “Quattro lettere al presidente Malesherbes contenenti l’esatto quadro del mio carattere e i veri motivi di tutto il mio comportamento”. Così ad esempio viene spiegata la scelta della solitudine, che era stata causa dell’accusa di misantropia: egli in realtà ama l’umanità a tal punto che non può non rimanere ferito di fronte alla sua cor- ruzione o al duro giudizio che gli viene imposto da chi male interpreta la sua disposi- zione alla benevolenza e al bisogno dell’altro. L’opera autobiografica viene intrapresa dunque per proclamare la propria innocenza, ma anche per dichiarare l’importanza del- la propria vita interiore: come nota Starobinski107, negli abbozzi e nella prefazione della prima edizione delle Confessioni Rousseau si rende conto di non avere lo stesso diritto che poteva possedere Agostino, fornito del titolo di vescovo, o Montaigne, gentiluomo, a formulare il progetto di raccontare la propria vita. La vita di Jean-Jacques non ha avu- to niente a che fare con la vita di corte o quella militare, egli è un pover’uomo di estra- zione borghese senza nessun diritto a richiamare l’attenzione su di sé. Ma ecco la sco- perta: egli può reclamare tale diritto proprio in quanto uomo i cui sentimenti non dipen- dono né dallo stato di nascita, né dalla ricchezza attuale, e poiché si accinge a raccontare la storia del suo stato d’animo, questa potrà rivelarsi degna di nota nel momento in cui Jean-Jacques dimostrerà di aver pensato più e meglio di un re. Il valore di un uomo ri- siede nel suo sentimento, non nel privilegio sociale che gli viene assegnato in base alla
classe di appartenenza. La richiesta di riconoscimento si fonda allora sulla sua essenza di uomo semplice dal cuore puro: Jean-Jacques vuol essere riconosciuto non solo quale anima eccezionale, ma anche come un uomo che dalla sua condizione di semplicità po- trà trarre una maggiore capacità nel restituire un’immagine di sé che più si avvicina a quella dell’uomo, inteso universalmente.
Benché Rousseau dichiari di essere il primo ad offrire un autentico ritratto di sé, questa capacità di introspezione, di cogliere la vera essenza interiore, è alla portata di tutti, quello che impedisce poi di mostrarsi all’esterno è una cattiva volontà, un rifiuto a lasciarsi conoscere per come si è. L’autobiografia si configura come il solo mezzo in grado di restituire un’immagine autentica del sé, mentre qualunque descrizione fatta dall’altro, da un essere ad esso esterno, inficia la validità della trasparenza. Questo ac- cade perché ciò che si vede all’esterno è soltanto una minima di parte di ciò che è celato all’interno, l’apparenza di un effetto la cui causa resta nascosta: chi ci osserva può sol- tanto intuire i nostri veri moventi. Nell’errore dell’arbitrarietà può cadere anche chi si accinge a dipingere un autoritratto, egli infatti può dissimulare l’immagine di sé co- struendone una più consona da offrire agli altri; proprio per questo Rousseau dichiarerà di essere il primo a fornire un completo ritratto di sé, fedele ai suoi moti interiori. È co- me se il filosofo ginevrino ci stesse dicendo che è stato l’unico ad aver superato la dop- pia illusione creata dall’amor-proprio, esso infatti fa giudicare gli altri in base a noi stes- si e impedisce di accettare la conoscenza di qualcuno che sia altro da noi. Gli altri sono stati e sono tuttora incapaci di giudicare: non riescono ad aprirsi all’altro perché non co- noscono nessuno all’infuori di se stessi. Realizzare un confronto con l’altro segna allora il passaggio decisivo per accedere alla conoscenza di sé e per non restare in uno stadio primitivo dell’umanità. Rousseau descrive così questo passaggio nel Discorso
«La coscienza è dunque annullata nell’uomo che non ha fatto alcun con- fronto e che non ha visto alcuna relazione tra se stesso e gli altri. In questo primo stato l’uomo non conosce che se stesso. […] limitato ai soli istinti fisici egli non è nulla, è come una bestia: ecco quel che ho fatto vedere nel mio Discorso sull’ineguaglianza. Quando, con uno sviluppo di cui ho mostrato il processo, gli uomini cominciano a volgere lo sguardo verso i propri simili, essi cominciano an- che a vedere i rapporti tra loro stessi e i rapporti tra le cose; si formano per la prima volta in loro le idee di convenienza, di giustizia e di ordine; il bello morale comin- cia a palesarsi loro e la coscienza a funzionare.»108
Rousseau si ritrae ancora nell’unicità: offre agli altri un modello da imitare, essi potranno apprendere da lui la verità e l’importanza di conoscerlo per conoscersi meglio; egli sarà dunque l’altro di cui hanno bisogno perché l’unico in grado di offrirsi comple- tamente. Ma l’atto con cui Jean-Jacques parla di sé al mondo non sarà semplice e im- mediato, non è facile infatti trovare un linguaggio efficace che possa tradurre l’evidenza intuitiva del sentimento in un atto di riconoscimento. Fra il sentimento con cui mi per- cepisco e il giudizio finale a cui gli altri mi sottoporranno scorrono numerose parole che corrono il rischio di non saper ritrarre un’immagine veritiera del mio carattere. Rous- seau allora tenta con l’autobiografia di rispondere a questa disparità raccontando tutta la storia della sua vita, affidando a chi legge il compito di ricostruire la legge fondamenta- le che in lui tiene tutto assieme. Non si tratta di enunciare una sentenza definitiva sulla propria natura, ma semplicemente di raccontare i momenti che ha vissuto la cui unità dovrà essere ricostruita dal lettore. La narrazione minuziosa della sua vita, rispetto a un’affermazione definitiva del proprio carattere, sembra poter trovare uno spazio mag- giore fra la comprensione del suo pubblico: una sintesi precostituita potrebbe insospetti-
108 J.-J. Rousseau, Jean-Jacques Rousseau, cittadino di Ginevra, a Christophe de Beaumont, arcivescovo
re, mentre in questo modo i lettori stessi saranno autori di una sentenza alla quale crede- ranno senz’altro perché proveniente dal loro giudizio.
«Non ho promesso d’offrire al pubblico un gran personaggio; ho promesso di dipingermi quale sono […] Vorrei potere, in un certo senso, render trasparente la mia anima agli occhi del lettore, e cerco quindi di mostrargliela sotto ogni lato, di chiarirgliela sotto tutte le luci, di fare in modo che nulla vi avvenga senza ch’egli possa controllarlo e giudicare da sé il principio che produce ogni impulso. Se mi assumessi il risultato e gli dicessi: «Tale è il mio carattere», potrebbe credere, se non addirittura che lo inganno, almeno che mi inganno. Ma raccontandogli partico- lareggiamente quanto m’è occorso, quanto ho fatto, tutto ciò che ho pensato, tutto ciò che ho sentito, non posso indurlo in errore, a meno che non lo voglia; […] Sta in lui di riunire quegli elementi e di determinare l’essere che compongono: il risul- tato sarà l’opera sua; e se allora s’ingannerà, tutto lo sbaglio sarà suo.»109
Il problema adesso è quello di come affrontare un’autobiografia che dica tutto della propria vita, di ogni singolo momento vissuto, senza omettere niente per non com- promettere l’immagine dell’io che deve emergere. Man mano che procede nella stesura delle Confessioni Rousseau attribuisce ai suoi contemporanei una volontà maligna a non volerlo ascoltare, anzi, a impedirgli di scrivere: a questo punto il progetto di svelare tut- to e di scrivere si trasforma in una risposta all’ostilità del mondo, una sfida in vista di un’accoglienza futura presso un pubblico più comprensivo110
. Oltre al rischio di una possibile non accoglienza del suo racconto, Rousseau affronta la difficoltà di sperimen- tare una scrittura in grado di dire le diversità e i dettagli che fanno parte dell’esperienza personale, passaggio che si rivelerà in parte possibile grazie all’adozione del metodo
109 J.-J. Rousseau, Confessioni, op. cit., Libro Quarto, pp. 193-194.
110 “Ma io contavo ancora sull’avvenire, e speravo che una generazione migliore, esaminando meglio il
giudizio che questa fa sul conto mio e la sua condotta verso di me, facilmente metterebbe in luce l’artificio di quanti si sono comportati così, e mi vedrebbe finalmente come realmente sono.” (J.-J. Rousseau, Le fantasticherie del passeggiatore solitario, op. cit., p.201).
genealogico del Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini che risale alle origini per trovarvi le cause nascoste del presente. Concepire un progetto come quello delle Confessioni pone Rousseau in bilico fra due esigenze, quella della pienezza silenziosa e solitaria di sé e quella del bisogno di riconoscimento; per essere giudicato dagli altri come innocente egli deve mostrarsi interamente per come ha vissuto, ma dire tutto non è quasi mai possibile e allo stesso tempo la parola indirizzata all’esterno interrompe il silenzio della completa felicità. Un possibile duplice fallimento diventa però nella penna di Rousseau una doppia verità: egli si lascerà invadere dal ri- cordo, coniugando lo stato d’animo dell’introspezione alla scrittura in modo tale da ren- dere immediato il passaggio dall’emozione al linguaggio, senza opportunità di distin- zione fra soggetto, emozione e parola. Si tratta a questo punto di raccontare se stessi nell’atto di rivivere la propria storia mentre la si scrive; l’io si esprime proprio nella ri- cerca di se stesso, nel raccontare lo sguardo che rivolge su di sé viene fuori il suo carat- tere, la sua anima trapela dalla sua penna. L’autenticità è ricreata nell’abbandono all’impulso del momento, la causa di tutto è percepibile già nel presente, senza indagare nel passato, la pienezza è sempre da conquistare e la verità dell’esperienza personale è in divenire perché richiede l’assenso del lettore. Il valore dell’autobiografia si rivela a questo punto non nella fedeltà all’io inteso come oggetto, ma nel suo essere traccia vi- vente della ricerca, sempre in atto, di sé: l’io si svela agli altri tramite un discorso auten- tico il cui linguaggio si configura come un’esperienza immediata, testimone dell’azione di introspezione operata dallo scrittore e, allo stesso tempo, del suo bisogno di far fronte a un giudizio universale.
Fra le numerose interpretazioni del testo autobiografico rousseauviano è possibi- le scorgere un punto di vista che capovolge i termini della presa di posizione di Jean- Jacques rispetto a un pubblico che lo disprezza e non comprende la sua pura interiorità:
Nietzsche ha ribaltato l’opposizione assiologica fra autenticità e alienazione. 111 L’autenticità rousseauviana è vista come l’invenzione e la risposta di un io fortemente inautentico che si trova ad essere vittima costante del giogo dell’opinione altrui. In que- sta prospettiva la scelta solitaria di Rousseau non è inquadrata all’interno di una critica della società corrotta al fine di riscattare il proprio io in un modo più immediato e spon- taneo, ma al contrario è vista come una strategia sottile dell’amour-propre per affrancar- si dal suo insuccesso sociale. Sarebbe allora l’uomo sociale a prevalere nella lotta inte- riore che si svolge nell’animo di Rousseau, e non l’uomo naturale, come egli invece vorrebbe farci credere dichiarando di dipingere nient’altro che se stesso per essere rico- nosciuto dagli altri. I desideri alienanti dell’uomo che vive in società, e che da essa de- sidera ardentemente un riconoscimento, sono quelli che Rousseau soddisfa dedicandosi all’autobiografia. Sicuramente l’interpretazione nietzschiana è molto forte, ma si rivela utile per avvicinarsi anche al punto di vista adottato a volte dallo stesso Rousseau: quando confessa di non essersi liberato del tutto dal giogo dell’opinione pubblica e di non riuscire a restare indifferente di fronte al giudizio che gli altri esprimono su di lui.112 La richiesta di riconoscimento può allora provenire da un risentimento interiore: nella valutazione positiva della solitudine possiamo scorgere in questo senso una trasvaluta- zione dei valori della sociabilità, dominanti durante la metà del XVIII secolo113.
Possiamo a questo punto ribaltare anche l’interpretazione tradizionale dell’ordine genetico delle due passioni fondamentali per Rousseau: l’amour de soi di- venta in questa prospettiva un principio compensatorio, una costruzione a posteriori che funge da risarcimento per un amour-propre che non ha avuto successo fra gli uomini. Come se una volta rifiutato dagli altri, l’io fosse costretto a rifugiarsi nella sua interiori- tà illudendosi di poter recidere il legame con essi, ma soffrendo inevitabilmente per il
111 F. W. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, trad. it. F. Masini, nota introduttiva di M. Montinari, Adelphi
Edizioni, Milano 2008, Scorribande di un inattuale, 48, pp.125-127.
112
J.-J. Rousseau, Le fantasticherie del passeggiatore solitario, op. cit., p.
113 Cfr. anche l’interpretazione di B. Carnevali in “La faute à l’amour-propre. Aliénation et authenticité
riconoscimento mancato. Del resto, Rousseau stesso sembra non credere troppo alla conquista di un io più naturale che sfugga completamente all’inautenticità dominante nei rapporti con gli altri quando manifesta il bisogno della loro approvazione. Il risenti- mento lo conduce sicuramente a una riscoperta di sé, a una volontà ancora maggiore di emergere tratteggiandosi quale essere unico e speciale al fine di suscitare lo stupore del suo lettore, ma dietro a questa indignazione intellettuale scorgiamo l’evidenza dell’amour-propre quale sentimento davvero universale in cui tutti gli esseri umani, in quanto esseri sociali, possono riconoscersi.