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Il desiderio di riconoscimento: il cuore primitivo dell’amour-propre

II. La riflessione psicologica e morale di Rousseau, amour de soi e amour-propre

2. Il desiderio di riconoscimento: il cuore primitivo dell’amour-propre

«Giovani di sesso diverso abitano capanne vicine; il passeggero rapporto imposto dalla natura ne fa sorgere presto un altro non meno dolce e più durevole con il reciproco frequentarsi. Ci si abitua a esaminare oggetti diversi e a fare dei paragoni; si acquistano insensibilmente idee di merito e di bellezza che producono sentimenti di preferenza.»35

L’abitudine dell’incontro si concretizza ben presto in un vero e proprio bisogno, nasce un sentimento tenero e allo stesso tempo capace di forte impetuosità: l’amore, subito af- fiancato dalla gelosia e dunque dalla discordia. I giovani si ritrovano e istituiscono un forte legame che scatena la nascita dell’amour-propre: sentimento artificiale che trae origine proprio dal confronto, dal momento in cui l’io comincia a pensarsi come uno fra molti e affida la consapevolezza di sé agli altri io. Nel rapporto biunivoco fra natura e individuo si intromette l’intersoggettività che introduce la mediazione e fa della rifles- sione l’organo privilegiato della conoscenza di sé: confrontarsi con gli altri diventa allo- ra inevitabile e la coscienza si definirà d’ ora in poi solo in maniera relativa. L’uomo de- riverà la certezza della sua esistenza solo dall’interesse che sarà in grado di suscitare agli occhi degli altri individui, li renderà allora giudici dei suoi comportamenti e dispen- satori della sua felicità. I desideri vengono sviati verso obiettivi estranei alla loro desti-

nazione naturale e determinati invece da quel soggetto informe e impersonale che è l’opinion. Essa attribuisce un valore che non si basa sull’utilità o sull’autoconservazione, ma si rivela artificiale e distorto. La primitiva innocenza è irrimediabilmente minacciata da questa distorsione che spezza la simbiosi diretta fra uomo e natura e la devia verso l’alterità, facendole dimenticare il vero fine in un’infinità di rimandi, trovandosi ad af- frontare continuamente un mediatore del desiderio originale.

La preziosa nota XV del Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza

tra gli uomini chiarisce perfettamente la differenza fra amour de soi e amour-propre36:

«Non bisogna confondere l’amor proprio con l’amore di se stessi; due pas- sioni molto differenti per la loro natura e per i loro effetti. L’amore di se stesso è un sentimento naturale, che porta ogni animale ad aver cura della propria conservazio- ne e che, diretto nell’uomo dalla ragione e modificato dalla pietà, produce l’umanità e la virtù. L’amor-proprio non è che un sentimento contingente, artificio- so e nato nella società; esso porta ogni individuo a tener conto più di se stesso che di ogni altro, ispira agli uomini tutti i mali che si fanno reciprocamente ed è la vera origine dell’onore.»37

La nota prosegue ribadendo che nello stato originario l’amor-proprio non esiste perché ogni uomo si considera ancora come il solo spettatore che lo osservi, come il solo essere nell’universo che possa suscitare il suo interesse, come il solo giudice del proprio valore. Ma nell’incontro fra i giovani che abitano capanne vicine vediamo il moltiplicarsi degli sguardi e l’inizio di quella contesa per la supremazia dell’anima fra amor di sé e amor-

36

Sul rapporto fra le amor di sé e amor-proprio si vedano: M. E. Scribano, “Amour de soi” e “amour-

propre” nel secondo “Discours” di Rousseau, in “Rivista di filosofia”, 69, 1978, pp. 487-498; N. J. H.

Dent, Rousseau. An Introduction to his Psychological, Social, and Political Theory, Blackwell, Oxford 1988; F. Neuhouser, Rousseau’s Theodicy of Self-Love: Evil, Rationality and the Drive for Recognition, Oxford University Press, USA 2010.

proprio, le due passioni che racchiudono tutto l’orizzonte psicologico e morale di Rous- seau.

Iniziano le riunioni davanti alle capanne o intorno a un grande albero che vedono protagonisti il canto e la danza, figli dell’amore e dell’ozio, compiuti per impiegare quel tempo libero passato in compagnia. Ognuno inizia ad osservare gli altri e a pretendere di ricevere lo stesso sguardo, ecco che subentra la stima pubblica: chi canta o danza me- glio, il più bello, il più forte, il più abile, il più eloquente, diventa il più apprezzato; da questa prima preferenza nasce per Rousseau un insieme di vizi dannosi per l’innocenza e la felicità umane. Si sviluppa una strana dialettica caratterizzata dalla pretesa alla pub- blica considerazione, si esige un riconoscimento, si vuole essere osservati sotto la stessa luce con cui ci si osserva in prima persona: il giovane abitante delle capanne pretende di essere amato con la stessa passione e lo stesso vigore con cui egli ama se stesso. Preferi- re se stessi agli altri richiede la stessa attestazione di preferenza da parte di chi ci cir- conda, richiesta che però si rivela impossibile da soddisfare e che crea conflitti e deside- ri frustrati fra gli uomini. Anche nella remota possibilità di poter accedere a quella supe- riorità riconosciuta esternamente dalle altre coscienze, il mantenerla richiede un grande sforzo che ci fa irrimediabilmente perdere il piacere intrinseco che essa dovrebbe porta- re con sé. Il desiderio di riconoscimento si configura come insoddisfatto per sua essenza, ci sarà infatti sempre una mancata corrispondenza fra ciò che io penso sia il mio valore e quello che invece un altro mi attribuisce: anche nel caso fortunato in cui io ottenga l’approvazione di una coscienza diversa dalla mia, questa sarà sempre esposta al rischio di non eguagliare l’approvazione che io do a me stessa. L’insoddisfazione dell’amor- proprio porta la più dolce delle passioni umane a compiere sacrifici di sangue, diventa ispirazione per atti di crudeltà e violenza prima imprevisti. Le prime preferenze fanno nascere la vanità e il disprezzo, la vergogna e l’invidia, sentimenti la cui forza conduce facilmente al conflitto.

Per comprendere appieno il cambiamento avvenuto nell’interiorità dell’uomo è utile affiancare l’immagine del Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza

tra gli uomini con quella speculare presente nel Saggio sull’origine delle lingue che la

arricchisce con elementi molto suggestivi dal punto di vista scenografico e sonoro. La musica del primo linguaggio vocale che sta nascendo, il suono dell’acqua che scorre dalle trasparenti fontane, l’ombra delle grandi querce: tutto contribuisce a ricreare un’atmosfera di perfetta armonia in cui il tempo sembra essere sospeso. Ed infatti nella figura descritta nel Saggio manca il riferimento al lato negativo della vita in comune, aspetto invece inscindibile dalla descrizione dell’amour propre presente nel Discorso.

«[…] Ma nei luoghi aridi, ove si poteva avere l’acqua soltanto dai pozzi, fu necessario riunirsi per scavarli, o almeno accordarsi per il loro uso. Tale dovette es- sere l’origine delle società e delle lingue nei paesi caldi. Là si formarono i primi le- gami fra le famiglie, là avvennero i primi appuntamenti fra i due sessi. Le fanciulle venivano a cercare l’acqua per la casa, i giovani venivano ad abbeverare le mandrie. Là gli occhi, abituati dall’infanzia agli stessi oggetti, cominciarono a vederne di più dolci. Il cuore si commosse a questi nuovi oggetti, un’attrazione sconosciuta lo rese meno selvaggio, sentì il piacere di non essere solo. L’acqua divenne, inavvertita- mente, più necessaria, il bestiame ebbe sete più spesso; si arrivava in fretta e si ri- partiva a malincuore.»38

La vista coglie la presenza dell’altro e fa percepire che non si è fatti per vivere soli. Em- blema di questa nuova età felice, lo sguardo si lascia sedurre dalla novità, da ciò a cui non era abituato fino al momento dell’incontro con l’altro sesso alle fontane. Qui manca però il lato oscuro della nuova percezione: la paura di non essere riconosciuto, la parte

38 J.-J. Rousseau, Saggio sull’origine delle lingue. Dove si parla della melodia e dell’imitazione musicale,

passiva dello sguardo, che, oltre ad essere proiettato attivamente all’esterno, si configura anche come subìto.

«In questa età felice, ove nulla scandiva le ore, nulla obbligava a contarle; il tempo non aveva altra misura che il divertimento e la noia. All’ombra di vecchie querce, trionfanti degli anni, un’ardente giovinezza dimenticò gradualmente la pro- pria ferocia, ci si familiarizzò a poco a poco gli uni con gli altri; sforzandosi di farsi capire, si imparò a spiegarsi. Qui si fecero le prime feste; i piedi saltellavano di gioia, il gesto sollecito non bastava più, la voce l’accompagnava con toni appassio- nati, il piacere e il desiderio, confusi insieme, si facevano sentire a loro volta. Qui fu insomma la vera culla dei popoli e dal puro cristallo delle fontane scaturirono i primi fuochi dell’amore.»39

La pura trasparenza dell’acqua non sembra essere minacciata dall’opacità, dal rischio in cui ci cala inavvertitamente l’intersoggettività: non c’è separazione fra la nascita dell’amore e il momento della festa, questi si fondono assieme.

Rousseau subisce l’incanto della festa che sorge all’improvviso quale manifesta- zione visibile della gioia che si prova nello stare assieme, caratterizzata dall’apertura dei cuori40. Essa, quale momento di piena presenza a sé e completa felicità41, cela il signifi- cato di un’origine che vorrebbe controllare autonomamente la nascita del sé e del pro- prio discorso, ma non ci riesce perché questo procedimento ricerca sempre la presenza dell’altro. Agli esordi della vita associata gli uomini trovano un naturale strumento di

39 Ivi, pp. 63-64. 40

«[…] l’ebbrezza gioiosa sgorgherà dall’assoluta evidenza di ciascuno: nessun attore mascherato, nessuno spettatore immerso nell’ombra. Ciascuno è attore e spettatore nel medesimo tempo, avendo diritto alla stessa parte di luce, alla stessa quantità di attenzione.» (J. Starobinski, La trasparenza e

l’ostacolo. Saggio su Jean-Jacques Rousseau, trad. it. R. Albertini, Il Mulino, Bologna 1982, p. 155).

Starobinski legge nella festa collettiva una delle epifanie della trasparenza sognate, secondo la sua interpretazione, da Rousseau: le coscienze si aprono all’esterno e si purificano perché hanno saputo creare questa reciprocità. La purezza diventa in questa lettura più una conseguenza che una causa della gioia collettiva.

41 Cfr. interpretazione del pensiero rousseauiano fornita da Jacques Derrida in Della Grammatologia, ed.

comunicazione nel canto e nella danza, dunque il desiderio dell’altro e l’amore che si prova per questo caratterizzano i primi rapporti che qualificano la festa come manifesta- zione dei «primi fuochi dell’amore». Nel Saggio il linguaggio poetico rappresenta allora la prima forma di comunicazione dell’uomo, alla quale corrisponde direttamente il rico- noscimento della festa come forma originaria di incontro con l’altro. Tuttavia Rousseau mantiene sempre l’atteggiamento sostenuto nel Discorso sull’origine e i fondamenti

dell’ineguaglianza tra gli uomini, si muove cioè all’interno di un orizzonte normativo

che tenta di offrire legittimazione alla proposta morale e svolge la funzione di ideale li- mite: ovviamente istituire nel presente una forma di comunicazione immediata come quella qui descritta è compito davvero arduo. Infatti, nella descrizione della vendemmia di Clarens42, presente nella Nuova Eloisa, sembra potersi riproporre il tema della festa che restituisce l’uguaglianza originaria, ma in realtà essa è del tutto illusoria e passegge- ra: non si perpetua sotto forma di istituzione poiché l’ordine naturale è restaurato soltan- to come gioco. Nel mondo strutturato di Clarens non si aboliscono le differenze sociali, ma semplicemente si considerano indifferenti nel momento della festa, al cui centro ri- mane evidente la figura di Julie, quale essere radioso verso cui ogni cosa converge. Il favore dell’anima bella di Julie risveglia allora attorno a sé la gioia collettiva, che non ha niente a che vedere con lo stato d’animo comune, sorto dall’iniziativa di ogni parte- cipante, che si configura, allo stesso tempo, come attore e spettatore. Nella festa della vendemmia di Clarens siamo già troppo lontani dall’originaria uguaglianza e ancora ben distanti dall’ipotesi del contratto sociale che presuppone inizialmente una decisione si- multanea di tutte le volontà, senza la necessità dell’intervento di un demiurgo43.

Il cambiamento avvenuto è sottolineato dallo stesso Rousseau, con schema si- mile a quello del Discorso, riportando le differenze con lo stato di cose precedente:

42

J.-J. Rousseau, La Nuova Eloisa, trad. it. P. Bianconi, introduzione e commento E. Pulcini, BUR, Milano 1998, V parte, lettera VII.

«[…] c’erano famiglie, ma non c’erano nazioni; c’erano lingue domestiche, ma non c’erano lingue popolari, c’erano matrimoni, ma non c’era amore. Ogni fa- miglia bastava a se stessa e si perpetuava col suo sangue. […] l’istinto teneva il po- sto della passione, l’abitudine teneva il posto della preferenza […]. Non vi era qui nulla di tanto animato da sciogliere la lingua, nulla che potesse strappare così fre- quentemente i toni delle passioni ardenti da volgerli in istituzioni, si può dire altret- tanto dei bisogni rari e poco urgenti che potevano portare qualche uomo a parteci- pare a lavori comuni: uno dava inizio al bacino di una fontana e un altro in seguito lo portava a termine, spesso senza aver avuto bisogno del minimo accordo e qual- che volta senza essersi visti.»44

Nella sua introduzione al Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli

uomini45 Jean Starobinski suddivide la storia che precede la nascita dell’uomo civile in

quattro parti, corrispondenti a quattro stadi diversi dell’evoluzione, scanditi da grandi rivoluzioni. La prima grande crisi è dettata da circonstances extérieures che fanno sco- prire all’uomo la necessità e l’efficacia del lavoro; spinto dal bisogno, egli comincia a tessere collaborazioni occasionali con altri uomini al fine di raggiungere uno scopo co- mune: si tratta di ordini anarchici senza permanenza poiché ancorati nella dispersione primitiva. Il secondo stadio corrisponde a quello appena descritto nel Discorso e nel

Saggio ed è chiamato da Starobinski l’âge patriarcal, durante quest’epoca si costruisco-

no i primi villaggi, ma non esiste ancora la proprietà, dunque si può parlare di un’immagine concreta di felicità, che poi andrà progressivamente perdendosi. La felicità patriarcale è infatti cancellata da un evento funesto, la scoperta dei vantaggi portati dalla divisione del lavoro, che permette di passare da un’economia di sussistenza a una di

44

J.-J. Rousseau, Saggio sull’origine delle lingue, op. cit., p. 64.

45 J. Starobinski, Introductions a le “Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité”, op. cit., pp.

produzione. Agricoltura e metallurgia46 rappresentano la terza grande rivoluzione che porterà alla produzione del superfluo, di ciò che va oltre il bisogno reale, elemento che condurrà a sua volta a una disputa fra gli uomini che desidereranno possederlo e non soltanto usufruirne. La perdita dell’integrità dell’essere tenterà di essere compensata dalla volontà di avere e di conseguenza da quella di difendere la terra che si occupa, di cui ci si vuole appropriare escludendone gli altri, che si connotano adesso quali non- possessori47. Ma ancora la proprietà del terreno non si configura come diritto e dunque rischia di scatenare una guerra di tutti contro tutti48. Eccoci allora giunti al quarto e ul- timo stadio dell’umanità individuato da Starobinski; in esso si rende necessario stabilire un ordine civile, che sarà sancito però da un contratto iniquo, caricatura del vero patto sociale, che pone sì fine all’anarchia, ma sostituendola con un’apparenza di giustizia.

La seconda fase del processo evolutivo si contraddistingue dalle altre perché ne sono protagonisti degli adolescenti (véritable jeunesse du monde), i quali vivono proprio quell’età in cui si sperimenta per la prima volta l’intersoggettività e la nascita delle passioni. L’intuizione di Rousseau coniuga così alla perfezione evoluzione indivi- duale e collettiva: come l’adolescente rompe l’equilibrio simbiotico con il proprio nu- cleo familiare, così il giovane selvaggio spezza il legame con la natura e i corrispettivi bisogni per rivolgersi verso il mondo esterno e demandare la soddisfazione dei suoi de- sideri all’altro e non più a se stesso. Nel IV libro dell’Émile Rousseau descrive la conti- nua agitazione di spirito tipica dell’adolescente mettendo in evidenza il fatto che egli desidera senza sapere perché cominciando a interessarsi agli altri e percependo di non

46 «La metallurgia e l’agricoltura furono le due arti la cui invenzione produsse questa grande rivoluzione.

L’oro e l’argento per il poeta, ma per il filosofo sono il ferro e il grano che hanno civilizzato gli uomini e perduto il genere umano.» (J.-J. Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli

uomini, op. cit., p. 141).

47

«È solo il lavoro che, in quanto dà diritto al coltivatore sul prodotto della terra che ha lavorato, gli dà per conseguenza diritto sul fondo, almeno fino al raccolto, e così di anno in anno; e ciò, costituendo un possesso continuativo, si trasforma facilmente in proprietà.» (Ivi, p. 142).

48 «[…] così accadde che le usurpazioni dei ricchi, il brigantaggio dei poveri, le passioni sfrenate di tutti,

soffocando la pietà naturale e la voce ancora debole della giustizia, resero gli uomini avidi, ambiziosi e malvagi. Sorgeva tra il diritto del più forte e il diritto del primo occupante un conflitto perpetuo che si concludeva soltanto con combattimenti e assassini.» (Ivi, p. 145).

essere fatto per vivere solo. Émile in questo stadio ascolterà con più difficoltà la voce del suo precettore; il giovane vorrà uscire dalla dimensione protetta della famiglia, che gli assicura un affetto incondizionato, per esporsi al rischio del riconoscimento, non più sicuro, dei suoi coetanei. Rousseau ha saputo cogliere un aspetto dell’adolescenza rico- nosciuto tipicamente nella modernità: età fragile in cui si sperimenta la prima valutazio- ne di sé, fortemente condizionata dall’approvazione fornita da chi ci circonda; e nell’età delle capanne ritroviamo questa rischiosa prova che vede il giovane alla ricerca di un suo posto in mezzo agli altri e che, a seconda del suo esito, determinerà il valore che egli si attribuirà anche successivamente, entrato ormai nell’età adulta.

Come nota Barbara Carnevali49 c’è ancora un dettaglio in più da sottolineare all’interno di questa seconda età della jeunesse du monde, ovvero l’associazione del ri- conoscimento all’amore romantico. Se Hobbes aveva caratterizzato la lotta per il rico- noscimento come uno scontro all’ultimo sangue, Rousseau la associa alla scelta, al con- cetto di preferenza. In debito sicuramente con la cultura dei salotti parigini, che fa della passione argomento di conversazione quotidiano, il filosofo ginevrino si pone da questo punto di vista privilegiato sull’uomo, capace di scandagliarne gli effetti prodotti nell’interiorità e nella società. L’amour-passion è allora indissociabile dalla scelta del più bello, del più bravo fra chi danza e canta; non si tratta più di un cieco istinto all’accoppiamento fisico con il primo uomo o donna incontrati, ma si esprime un giudi- zio di gusto fra più individui, di cui se ne sceglie soltanto uno, quello più gradito per una serie di qualità personali. Riconoscere l’altro richiede allora l’intervento dell’intelletto sull’indeterminazione tipica dell’istinto per stabilire una comparazione e successivamente esprimere un giudizio, anche inavvertitamente, che porterà alla scelta d’amore50

. Così come di fronte ai primi progressi tecnologici l’uomo si era sentito supe- riore agli altri animali e aveva imposto la sua gerarchia di valore, adesso si orienta allo

49 B. Carnevali, Romanticismo e riconoscimento, op. cit., pp. 94-104. 50 J.-J. Rousseau, Émile o Dell’Educazione, op. cit., libro IV.

stesso modo nel mondo umano imponendo un giudizio artificiale e arbitrario. L’aspetto morale apportato dall’amour-propre fissa il desiderio generico dell’altro sesso su un so- lo soggetto, incanalando tutte le energie e l’interesse verso questo. Proprio quest’aspetto è determinante nella distinzione fra un sentimento quale l’amor-proprio e uno come la pietà: il primo possiede l’abilità di consumare chi affligge, focalizzando la sua attenzio- ne su un solo obiettivo, ovvero la ricerca di stima. Inoltre l’amour-propre è capace di