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III. Dissolvere il mito della trasparenza nella società

2. Discours sur les sciences et les arts

Proprio nel primo Discorso, in cui si trova a rispondere al problema posto dall’Accademia di Digione: «se il rinascimento delle scienze e delle arti abbia contribui- to a migliorare i costumi»77, Rousseau dichiara di affrontare uno dei problemi più belli e

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Cfr. J.-J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti, in “Scritti politici”, Volume Primo, a cura di M. Garin, Editori Laterza, Bari 1971, pp. 25-27.

77 La lettura del quesito posto dall’Accademia, presente sul “Mercure de France”, susciterà la famosa

illuminazione di Vincennes, raccontata da Rousseau nella lettera del 12 gennaio 1762 a monsieur de Malesherbes: «Andavo a trovare Diderot allora prigioniero a Vincennes; avevo in tasca un Mercure de

France che mi misi a sfogliare lungo il cammino. Mi cade lo sguardo sul quesito dell’Accademia di

Digione che ha dato origine al mio primo scritto. Se mai qualcosa è stato simile a una ispirazione improvvisa, tale fu il moto che si produsse in me a quella lettura. D’improvviso mi sento lo spirito come abbagliato da mille luci; torme di idee vive si presentarono ad esso con una forza e con una confusione tali che mi gettarono in uno scompiglio indescrivibile.» (J.-J. Rousseau, Lettere Morali, op. cit., p. 200).

importanti che siano mai stati presi in considerazione («qui si tratta di una di quelle ve- rità da cui dipende la felicità del genere umano»78). E il filosofo ginevrino tratterà l’argomento a modo suo, attaccando tutto ciò che riscuote l’ammirazione degli uomini a lui contemporanei; nonostante sia difficile biasimare le scienze di fronte a uno dei più dotti consessi d’Europa, egli saprà conciliare il disprezzo per lo studio con il rispetto per i veri sapienti. L’intento, a differenza di quello che può sembrare ad una prima lettura superficiale del Discorso, non è quello di denigrare la scienza, ma di difendere la virtù davanti a uomini virtuosi, quali i componenti dell’Accademia di Digione. Rousseau per raggiungere questo scopo seguirà soltanto il «partito della verità» e, sicuro della sua fe- deltà ad esso, non considererà nemmeno un suo possibile insuccesso nel concorso poi- ché l’unico vero premio che desidera è quello che troverà in fondo al suo cuore79

. Il tema della trasparenza è presente anche qui nella critica alla società attuale, dove domina fra gli uomini la capacità di dissimulare, che si manifesta attraverso l’uso di un linguaggio controllato delle nostre passioni, insegnatoci dall’arte. Prima, nello sta- to precedente alla creazione della società, la natura umana non era migliore, ma era si- curamente priva di molti vizi grazie alla facile penetrazione reciproca esistente fra gli uomini. Oggi invece regna soltanto un’ingannevole uniformità per cui nessuno osa più mostrarsi quale è e tende a dissimulare la sua natura all’altro. Con il perfezionarsi delle scienze e delle arti le anime si sono progressivamente corrotte. Questo fenomeno, se- condo Rousseau, si può osservare in tutti i luoghi e in tutti i tempi: ad esempio in Grecia finché le lettere nascenti non si sono consolidate, la nazione è riuscita a sconfiggere per due volte l’Asia, ma non appena il progresso delle arti ha raggiunto il suo apice, sono seguite la dissoluzione dei costumi e il giogo macedone. Di contro ad Atene vediamo l’esempio positivo di Sparta che ha saputo bandire dalle sue mura le arti e le scienze, educando i propri abitanti alla virtù e alle azioni eroiche. Per istruire gli uomini nel mo-

78 J.-J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti, op. cit., prefazione p. 3. 79 Ivi, p. 4.

do giusto è dunque necessario educarli all’esempio e alla memoria della virtù, così come fece Socrate, citato da Rousseau come il più saggio degli uomini a giudizio degli dei e il più sapiente degli Ateniesi secondo l’intera Grecia. Si ricorda allora il passo dell’Apologia di Socrate dove egli elogia l’ignoranza, a dispetto di poeti e artisti che vantano una sapienza che in realtà non possiedono80.

La natura ha provato a salvaguardare l’uomo dalla scienza, come una madre che strappa un’arma pericolosa dalle mani del suo bambino, ma tutto è stato vano. Secondo quest’ottica dunque l’essere umano nasce buono, ma subisce poi la corruzione di un si- stema sociale ingiusto:

«[…] se mai avessi potuto scrivere un quarto di quello che ho visto e senti- to sotto quell’albero, con quale chiarezza avrei fatto vedere tutte le contraddizioni del sistema sociale, con quale forza avrei esposto tutte le ingiustizie delle nostre istituzioni, con quale semplicità avrei dimostrato che l’uomo è buono per natura e che è solo per via di queste istituzioni che gli uomini diventano cattivi.»81

Qui, nella lettera a monsieur de Malesherbes del 12 gennaio 1762, Rousseau, ricordando la celebre illuminazione di Vincennes, ribadisce la verità fondamentale che lo ha spinto a scrivere il Discorso sulle scienze e le arti, il Discorso sull’origine e i fondamenti

dell’ineguaglianza tra gli uomini e l’ Émile, definiti qui come i suoi tre scritti principali.

«Gli uomini sono malvagi, ma sarebbero anche peggiori se per loro sfortuna fos- sero nati sapienti»82, Rousseau insiste sul divario fra l’uomo naturale e l’uomo civile, reso peggiore dall’apporto delle arti e delle scienze. Analizzandole, egli nota infatti che

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«Noi non sappiamo, né i sofisti, né i poeti, né gli oratori, né gli artisti, né io che cos’è il vero, il bene, il bello; ma c’è una differenza tra noi: costoro, pur non sapendo nulla, credono tutti di sapere qualcosa, mentre io, se anche non so nulla, per lo meno non ho dubbi in proposito. Dimodoché tutta la superiore saggezza attribuitami dall’Oracolo si riduce soltanto alla mia salda convinzione di non sapere ciò che non so.» (Ivi, p.12, libera trascrizione dall’Apologia di Socrate, 21a - 23b).

81 J.-J. Rousseau, Lettere Morali, op. cit., p. 200

la loro origine è nei vizi, tutte nascono dalla superbia umana e questo difetto di nascita si manifesta visibilmente anche nei loro oggetti: le arti sono nutrite dal lusso, la giuri- sprudenza dalle colpe degli uomini e la storia dai tiranni e dalle guerre. Nella ricerca scientifica si percorrono poi molte strade sbagliate, senza nemmeno raggiungere la veri- tà, e, anche nella remota possibilità che essa potesse essere scoperta da qualcuno, si por- rà l’importante problema di farne buon uso. Le scienze sono dunque vane nei fini che si propongono, ma anche negli effetti che producono: alimentano l’ozio e la perdita di tempo. Rousseau ci invita allora a soffermarci e a riflettere: senza tutta la sublime cono- scenza donataci dai filosofi saremmo «meno ben governati, meno temibili, meno fioren- ti o più perversi?»83.

Altro male che accompagna sempre le scienze e le arti è il lusso, accomunato a queste dalla nascita dall’ozio e dalla vanità degli uomini, esso si rivela quale tipica espressione dell’apparire in confronto all’essere.

«Il lusso è un rimedio molto peggiore del male che esso pretende di guarire; o piuttosto, è proprio esso il peggiore di tutti i mali in qualunque Stato, grande o piccolo che sia; […] Dalla società e dal lusso che essa genera nascono le arti libera- li e meccaniche, il commercio, le lettere e tutte quelle futilità che fanno fiorire l’industria e arricchiscono e perdono lo Stato.»84

Anche nei Frammenti Politici85 è presente un’analisi, simile a quella svolta nel Discorso sulle scienze e le arti, che ricollega la questione del lusso al commercio e alle arti: gli

antichi lo hanno sempre considerato come un segno di corruzione nei costumi e di debo- lezza nel governo, e a tale disprezzo si accompagnava quello per il commercio, che i

83

Ivi, p.16.

84 J.-J. Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, op. cit., nota IX,

p. 185.

85

J.-J. Rousseau, Frammenti politici in “Scritti politici”, Volume Secondo, a cura di M. Garin, Editori Laterza, Bari 1971, pp.268-276.

Romani disdegnavano e i Greci consideravano quale attività per stranieri. Quando poi questi popoli si avviarono verso il loro declino, l’amore per la patria e la virtù venne so- stituito dalla vanità e dal vizio incarnato nel lusso e nel bisogno di denaro per soddisfare il piacere; segno evidente di tale degenerazione è stata allora la fioritura dei commerci e delle arti che, col tempo, condussero alla rovina dello Stato. Inoltre tutte le nazioni, in tutti i tempi, hanno condannato il lusso, pur vivendo il paradosso di abbandonarvisi, comprendendo bene che il commercio e le arti, ad esso associati, introducono un nume- ro più grande di bisogni reali rispetto ai pochi bisogni immaginari che riescono a soddi- sfare. Il problema del lusso, al di là dell’ovvio collegamento con la corruzione morale della società, è anche importante nell’ottica economica di Rousseau, là dove egli privi- legia un abbassamento generale del tenore di vita, sperando in un ritorno all’agricoltura per attenuare la diversità delle fortune, fonte della disuguaglianza. Rousseau condanna quei politici che parlano soltanto di commercio e denaro: la corsa ad arricchirsi ad ogni costo conduce infatti ben lontano dalla virtù. «Si degnino i nostri politici di sospendere i loro calcoli per riflettere a questi esempi, e imparino una volta per sempre che col dana- ro si può avere tutto, eccetto i costumi e i cittadini.»86. Il problema del lusso torna ad es- sere questione fondamentale nel determinare lo scopo di uno Stato: incostante ed effi- mero o duraturo e virtuoso. Ogni artista esprime il suo bisogno di riconoscimento nell’ambizione agli elogi dei suoi contemporanei, che, se falsati da un sistema ingiusto e corrotto, non faranno altro che condurre in basso l’arte. La dissoluzione dei costumi, conseguenza del lusso, comporta allora, a sua volta, la corruzione del gusto. Sembra impossibile per Rousseau non ricordare con rimpianto la semplicità dei tempi antichi a fronte del moltiplicarsi delle comodità attuali e del perfezionamento delle arti che in- fiacchiscono l’animo e le virtù militari. I Romani, nuovamente citati, sapevano bene che la virtù militare aveva iniziato a spegnersi fra loro quando avevano iniziato a coltivare le

belle arti: l’ascesa dei Medici e il rinascimento delle lettere hanno così distrutto inesora- bilmente la fama di nazione guerriera dell’Italia.

Ma dedicarsi alle scienze e alle arti non nuoce soltanto alle qualità proprie di un soldato, nuoce soprattutto a quelle morali. Fin da piccoli siamo sottoposti a un’educazione che corrompe il nostro giudizio, istruendoci in tutto, tranne che ai nostri doveri. Prima ancora che imparino a saper leggere, i bambini si trovano ad osservare con curiosità i capolavori artistici di statue e quadri che raffigurano i traviamenti del cuore e della ragione. Si dovrebbe piuttosto insegnare loro ciò che dovranno fare una volta diventati uomini, altrimenti non conosceranno mai il coraggio, l’umanità e la ma- gnanimità. Un sovvertimento dei valori imperversa nella società criticata da Rousseau: non ci si domanda se un uomo è onesto, ma se possiede ingegno, e ci si interroga se un libro sia scritto bene, piuttosto che sulla sua utilità. Si premiano i bei discorsi e non le belle azioni, si educano i giovani ad intessere argomenti speciosi, ma nulla si dice loro sulla verità. L’opinione pubblica valorizza il talento, ma svilisce la virtù dispensando così riconoscimenti a chi non li merita e instaurando un meccanismo penalizzante per il saggio che, nonostante non corra dietro alla gloria, non è, in quanto essere umano, in- sensibile al riconoscimento, che ritrova invece mal ripartito nella società a cui appartie- ne. Rousseau ammette l’utilità dell’emulazione al fine di stimolare la virtù del saggio a vantaggio della comunità stessa, se egli infatti non vedrà riconosciuta nessuna delle sue qualità, si convincerà che non vale la pena esercitarle. A causa del rinascimento delle scienze e delle arti non ci sono più cittadini perché si è preferito far crescere le capacità gradevoli piuttosto che quelle utili, indirizzando così l’opinione pubblica verso il rico- noscimento di caratteristiche errate.

Lo stesso premio ottenuto dall’Accademia di Digione per il Discorso sulle scien-

ze e le arti fa entrare Rousseau nel circuito sociale dell’opinione: egli è stato premiato

era già instaurata una situazione paradossale nel momento in cui era diventato scrittore per denunciar la menzogna sociale. Col passare del tempo si rafforzerà allora in Rous- seau la convinzione che il suo esordio letterario, che ha inaugurato la sua carriera con un premio, sia stato una specie di condanna.

«Facendosi autore, e soprattutto inaugurando la carriera con un premio d’Accademia, entra nel circuito sociale dell’opinione, del successo, della moda. […] Il solo recupero possibile consiste nel fare pubblico atto di separazione: diventa ne- cessario un distacco, e un isolamento perpetuo servirà da giustificazione.»87

Ecco allora che la scelta della solitudine si rivela un modo per allontanarsi dal male, la cui estensione è pari a quella del mondo sociale, che comunque resterà l’interlocutore privilegiato a cui Rousseau si rivolgerà nei suoi scritti.

3. Il conflitto interiore fra solitudine e comunità, il passeggiatore