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Il ruolo dell’amor-proprio nella formazione del soggetto razionale L’uomo diviene tale quando, riconoscendosi negli altri, si sceglie quale essere

IV. La conquista del rispetto, approdare al Contratto Sociale

1. Il ruolo dell’amor-proprio nella formazione del soggetto razionale L’uomo diviene tale quando, riconoscendosi negli altri, si sceglie quale essere

sociale: scegliendo un rapporto inter-soggettivo egli attua lo scarto fondamentale che lo separa dagli altri animali, la sua libertà di scelta è anche la sua caratteristica principale. L’uomo possiede la ragione per conoscere quello che è il suo bene, la coscienza per amarlo e la libertà per sceglierlo, rivela il Vicario Savoiardo nel corso della sua profes- sione di fede114. L’homme naturel diventa l’homme de l’homme scegliendo la vita mora- le e intellettuale: la dignità sociale deriva proprio dalla volontà della persona. Razionali- tà, moralità, soggettività e libertà sarebbero però impossibili senza l’apporto dell’amour-propre; esso non ne è la fonte diretta, ma nella ricerca della sua soddisfazio- ne si va necessariamente incontro alla relazione con l’altro che ha l’effetto di sviluppare in noi le capacità cognitive che danno accesso alla sfera della ragione, della morale e dell’auto-determinazione.

Senza l’esercizio della riflessione non potrebbero esistere virtù e libertà in quan- to in questi ambiti, secondo Rousseau, è richiesta l’adozione del punto di vista della ra- gione e la capacità di essere da essa spinti ad agire. Per comprendere meglio cosa inten- de il filosofo ginevrino con ragione possiamo seguire la linea interpretativa di F. Neu- houser115, che propone di studiarne il significato analizzando i principi che guidano la volontà generale, così come descritta nel Contratto Sociale: si dovranno allora osservare i cittadini, in opposizione agli uomini di natura, quando sono guidati dalla ragione, ov- vero nel momento in cui adottano la forma mentale essenziale per legiferare in accordo con la volontà generale. Studiando il tipo di razionalità che Rousseau può avere in men-

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J.-J. Rousseau, Émile o Dell’Educazione, op. cit., p. 374.

115 Vedi F. Neuhouser, Rousseau’s Theodicy of Self-Love: Evil, Rationality and the Drive for Recognition,

te si scopre anche quanto essa sia influenzata dall’amour-propre, il suo ruolo formativo delle capacità e delle disposizioni dell’individuo che partecipa a un ordine sociale legit- timo e razionale sviluppando così il più alto potenziale umano. Il passaggio dallo stato di natura allo stato civile è contrassegnato proprio dall’attivazione della ragione nell’uomo, che riconosce nei principi di questa l’autorità a cui sottomettersi per agire in nome della giustizia e non più dell’istinto.

«Tale passaggio dallo stato di natura allo stato sociale produce nell’uomo un mutamento molto notevole sostituendo nella sua condotta la giustizia all’istinto, e conferendo alle sue azioni dei rapporti morali di cui prima mancavano. Solo a questo punto, succedendo la voce del dovere all’impulso fisico e il diritto all’appetito, l’uomo, che fin qui aveva guardato a se stesso e basta, si vede costretto ad agire in base ad altri princìpi e a consultare la ragione prima di ascoltare le in- clinazioni.»116

Innanzitutto la volontà generale si configura come una volontà che dirige un corpo collettivo, un sé (moi), che esiste là dove gli individui, non ancora associati, ac- consentano ad essere governati dal contratto sociale. La comunità politica che si forma da questo punto in poi è un’entità la cui unità è data dal riconoscimento di se stessa qua- le essere distinto e che persiste nel tempo, e dalla consapevolezza di sapere quale possa essere il suo bene e il modo di realizzarlo concretamente. Per conoscere dunque quale sia il suo bene il corpo collettivo deve sapere che tipo di essere è e indirizzare le sue forze al fine di raggiungere lo scopo per il quale è stato istituito: esso è una forma di as- sociazione che si occupa di difendere e proteggere le persone associate e i loro beni, provvedendo alla soddisfazione sistematica dei bisogni fondamentali di tutti gli indivi- dui. Proprio in vista di questo tipo di soddisfazione deve agire anche chi si pone nella

116 J.-J. Rousseau, Manoscritto di Ginevra in “Scritti politici”, Volume Secondo, op. cit., Libro I, cap. II,

veste di legislatore, egli deve chiedersi infatti se la proposta di legge a cui sta pensando è conforme gli interessi fondamentali di tutti i cittadini, inclusi i suoi; quindi si chiederà come questa legge potrà influenzare la libertà e le condizioni di tutti quelli che saranno governati da essa. Nell’assumere questo punto di vista il legislatore non può seguire semplicemente una voce interna o la sua pietà, ma deve mettere a tacere le sue passioni per effettuare una momentanea separazione dai desideri personali al fine di guardare alla specie umana in generale e a quei doveri non apparentemente connessi con se stesso.

«In effetti nessuno potrà fare a meno di riconoscere che la volontà generale è in ciascuno un atto della pura intelligenza intenta a ragionare, mentre tacciono le passioni, su ciò che il suo simile ha diritto di esigere da lui. Ma dove lo troviamo un uomo capace di separare a questo modo se stesso da sé? E se la cura della pro- pria conservazione è il primo precetto della natura, si può costringerlo a guardare così alla specie in generale per imporre a se stesso dei doveri di cui non coglie il nesso con la propria particolare costituzione?»117

In questo arduo compito sarà la ragione ad aiutare l’uomo, di fronte al problema della generalizzazione delle idee, permettendogli di adottare il punto di vista di ogni singolo membro della sua società. Non si tratterà allora di porsi nella prospettiva della comunità, considerata quale intero, ma di pensarsi come un singolo astratto, rappresen- tante di ognuno118. La preferenza che accordiamo a noi stessi, inerente sia all’amour de

soi che all’amour-propre, deve essere superata nell’attribuire priorità agli interessi degli

altri piuttosto che ai nostri. Per compiere questo passo è necessario pensarsi quale essere umano in possesso di desideri fondamentali che hanno esattamente lo stesso status di

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Ivi, Libro I, cap. II, p.9.

118 “Gli impegni che ci legano al corpo sociale sono obbligatori solo in quanto sono reciproci; e la loro

natura è tale che, adempiendoli, non si può lavorare per gli altri senza lavorare anche per sé. Per quale ragione la volontà generale è sempre giusta, e tutti vogliono costantemente la felicità di ciascuno, se non perché non c’è nessuno che non faccia propria la parola “ciascuno” e che nel votare per tutti non pensi a se stesso?” (J.-J. Rousseau, Il Contratto Sociale, op. cit., Libro Secondo, IV, p. 45).

quelli degli altri esseri; da questa uguaglianza deriva poi la consapevolezza che gli inte- ressi fondamentali e imprescindibili di tutti sono da preferirsi rispetto a quelli particolari del singolo: il cittadino deve essere capace di appoggiare anche quelle leggi che colpi- scono in qualche modo i suoi desideri ma che salvaguardano quelli sostanziali di tutti. L’interesse particolare si configura allora come quello che tende a soddisfare soltanto il vantaggio privato del singolo, mentre dove è in gioco la vita e la libertà del cittadino si può parlare di caratteristiche fondamentali dell’identità di ciascuno e dunque di princi- pali interessi. La difesa della vita e della libertà rappresentano le condizioni di valore di tutti gli altri beni a cui l’uomo può avere accesso e quindi ciò che di essenziale e comu- ne c’è in ogni essere umano. Il cittadino che si pone nel ruolo di legislatore deve saper riconoscere che l’umanità degli altri vale quanto la sua, attribuendo ad ognuno la stessa condizione morale: se i suoi beni maggiori risiedono nella propria vita e libertà, qualità che condivide con tutti, dovrà comprendere che esse hanno la stessa importanza anche negli altri.

La concezione di Rousseau assume la capacità degli individui di occupare e ve- dere il mondo da una prospettiva universale all’interno della quale essi possiedono un’autorità fondamentale che li forma come esseri autonomi, obbligati ad obbedire sol- tanto a quelle leggi che riconoscono come valide e giustificate. Tuttavia la ragione del singolo non può essere l’unico arbitro di quelli che devono essere i suoi doveri, ma deve sempre far riferimento alla volontà generale: quando viene proposta una legge all’interno dell’assemblea, ai cittadini è richiesto se essa sia conforme o meno alla loro volontà generale, e non semplicemente se desiderino approvarla o rifiutarla. Ed infatti se il singolo vede la propria opinione contraddetta dalla volontà generale, deve saper rico- noscere che si è sbagliato, che ha confuso il contenuto di ciò che essa poteva essere.

«Quando si propone una legge nell’assemblea del popolo, ciò che si do- manda ai cittadini non è precisamente se essi approvino la proposta oppure la re- spingano, ma se essa è conforme o no alla volontà generale, che è la loro: ciascuno dando il suo voto esprime il suo parere; e dal calcolo dei voti si trae la dichiarazio- ne delle volontà generale. Quando dunque prevale il parere contrario al mio, ciò non significa altro se non che mi ero ingannato, e che ciò che credevo essere la vo- lontà generale non era tale. Se il mio parere particolare avesse prevalso, avrei fatto una cosa diversa da quella che volevo; e allora non sarei stato libero.»119

L’autorità finale del diritto risiede nella pubblica ragione, il giudizio del singolo può scontrarsi con la maggioranza e in tal caso deve riconoscerne l’autorità superiore, che le è stata conferita in precedenza dal consenso unanime al contratto sociale. Il libero scambio di opinioni all’interno dell’assemblea è rappresentato dalla pubblica delibera- zione, che è in grado di apportare maggiore consapevolezza e saggezza alla singola opi- nione del cittadino, che, se riceve il consenso collettivo, acquista il potere di obbligare tutti alla sua osservanza. Il soggetto razionale ammette l’oggettività dell’opinione domi- nante perché riconosce che essa rappresenta ciò che più si avvicina a un criterio empiri- co per vagliare la verità, attraverso l’uso della ragione, nel campo del diritto. Il consenso fornito dall’assemblea a una proposta di legge ritrae il punto di vista condiviso colletti- vamente da agenti competenti moralmente che vi giungono tramite un libero scambio di opinioni, da cui nessuno è escluso, e che rimane il miglior tentativo di avvicinarsi alla verità sulla giustizia che la comunità possieda. Una convinzione morale può dunque di- ventare oggettiva qualora ci siano ragioni sufficienti a convincere tutte le persone ragio- nevoli della sua correttezza e validità. Questo consenso fornito dalla maggioranza è in grado di obbligare l’intera comunità, e quindi di rappresentare un reale indicatore della sua volontà generale, soltanto se all’interno di essa troviamo un pieno accesso alle in-

formazioni rilevanti, un libero scambio di opinioni, diritti di partecipazione alla vita po- litica uguali per tutti e misure restrittive che impediscano l’influenza esclusiva degli in- teressi di un gruppo minoritario.

Possiamo a questo punto osservare come il riconoscimento giochi un ruolo cen- trale nello stabilire il contenuto della giustizia: sottomettersi all’autorità della ragione implica il lasciarsi governare da principi, che considerando egualmente importanti gli interessi di tutti, accordano implicitamente ad ognuno la posizione di eguale dal punto di vista morale. Quando il cittadino lascia che le sue azioni siano governate dai principi della giustizia attua un’istanza di riconoscimento del valore degli altri esseri umani che lo circondano. Allo stesso modo, se tutti i cittadini osservano le stesse leggi in relazione al singolo, le loro azioni costituiscono il riconoscimento del suo status di soggetto de- gno di rispetto. La giustizia universale che scaturisce dalla ragione per entrare davvero nel mondo degli uomini deve dunque ancorarsi alle richieste del riconoscimento, deve basarsi sulla reciprocità120. Inoltre quando mi trovo nella posizione del legislatore all’interno dell’assemblea accordo una certa autorità non solo alle mie opinioni, ma an- che a quelle degli altri membri, riconoscendo loro la stessa autorità legislativa in quanto esseri razionali. Riconosco così sia una parte attiva della loro razionalità (la mia stessa capacità di proporre una legge che potrebbe obbligare tutti, qualora andasse incontro al consenso collettivo) e una parte passiva insita nell’essere degni di quel rispetto che io stesso pretendo da loro nel momento in cui desidero essere preso in considerazione qua- le eguale morale nelle decisioni. L’autorità della ragione dunque non risiede completa- mente né nella mia singola coscienza, né esclusivamente in quella della collettività, piuttosto possiamo ritrovarla in una rete di relazioni costituite dal riconoscimento reci-

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«Vi è certo una giustizia universale concepita dalla sola ragione; ma questa giustizia, per essere ammessa tra noi, deve essere reciproca. A considerare le cose umanamente, le leggi della giustizia, ove manchi una sanzione naturale, sono vane tra gli uomini; esse non fanno che il bene del malvagio e il male del giusto, quando quest’ultimo le osservi con tutti senza che nessuno le osservi con lui. Occorrono dunque convenzioni e leggi per unire i diritti ai doveri e ricondurre la giustizia al suo oggetto.» (J.-J. Rousseau, Il Contratto Sociale, op. cit., Libro Secondo, VI, p. 52).

proco fra i vari soggetti. Per Rousseau il potere razionale si esplica solo intersoggetti- vamente in un gioco continuo in cui la ragione di ognuno assume la sovranità e la su- bordinazione rispetto all’intero rappresentato dalla comunità.

Riepilogando, per acquisire il punto di vista della ragione è necessario fare un passo indietro rispetto a quelli che sono i propri desideri e interessi al fine di adottare una prospettiva universale; riconoscere che gli interessi fondamentali di tutti hanno un’importanza maggiore rispetto ai propri particolari, soprattutto quando ci si trova a pensare a una legge che sia giusta e valida per la collettività; ed infine capire la necessi- tà di sottomettersi alla volontà generale che risiede nelle opinioni prevalenti dell’assemblea di cui si è parte. All’interno di questo percorso è possibile vedere come l’amour-propre formi il soggetto razionale, figurando quale condizione necessaria, ma non sufficiente, al suo sviluppo (anche la pitié e l’amour de soi si rivelano infatti impor- tanti nel fornire un’educazione appropriata allo sviluppo della capacità razionale). Il bi- sogno di anticipare il modo in cui una legge potrà andare ad influenzare i bisogni e gli interessi altrui si basa sul meccanismo tipico dell’amour-propre: per soddisfare quest’ultimo l’individuo deve imparare a prevedere i desideri degli altri in modo tale da indirizzare la sua azione al fine di ottenere il loro riconoscimento. Questa passione per- mette all’uomo di ampliare la propria prospettiva: interpretando il desiderio continuo di riuscire ad ottenere, sul proprio conto, un buon giudizio dagli altri, essa sviluppa una capacità cognitiva che altrimenti resterebbe sopita, ovvero l’abilità di assumere più pro- spettive sul mondo, anche diverse dalla propria. Conoscere le vere relazioni che esisto- no fra gli uomini e ordinare le proprie passioni in accordo con esse rappresenta il nucleo della saggezza umana nell’uso delle passioni.

«Lo studio adatto all’uomo è quello dei rapporti umani. Fino a quando egli si riconosce solo come essere fisico, si deve studiare attraverso i suoi rapporti con

le cose, ed è l’occupazione dell’infanzia. Quando comincia a sentire il suo essere morale, si deve studiare attraverso i suoi rapporti con gli uomini, ed è l’occupazione di tutta la vita, […]»121

. L’abilità di comparare è proprio quella di cui si serve la ragione nel guidare, at- traverso l’uso dell’idea astratta di umanità, sentimenti come la pietà, che altrimenti re- sterebbe una cieca preferenza rivolta soltanto alle persone più vicine a noi. Grazie alla capacità di istituire paragoni, sviluppata dall’amour-propre, l’uomo impara anche a giu- dicare se stesso da un punto di vista esterno, a vedersi oggetto dello sguardo dell’altro generalizzato: questo meccanismo è quello che ritroviamo nel riconoscimento del ruolo attivo dell’altro nel processo di istituzione della legge. Il riconoscimento fornito dall’altro rappresenta una pubblica conferma del proprio valore e l’uomo deve imparare a rispondere alle richieste che provengono dall’esterno in modo tale da ricreare un’immagine di sé che possa compiacerlo, si tratta allora di accordare un’autorità nor- mativa alle opinioni altrui. Il desiderio di rendere le proprie azioni conformi alle opinio- ni degli altri è semplicemente la forma originaria dell’assoggettarsi a norme la cui vali- dità dipende da qualcosa che vale di più dei propri interessi. L’amour-propre non si li- mita a insegnare agli uomini a giudicarsi sulla base di una prospettiva che trascenda i propri particolari desideri, ma rende anche le opinioni degli altri soggetti la fonte dell’autorità di questa stessa prospettiva. Diventa così possibile ascrivere la supremazia ai dettami della volontà generale attraverso una modificazione dell’inclinazione a cerca- re conferma del proprio valore nell’esporsi al giudizio degli altri.