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Capacitare l’innovazione

6. La teoria delle capacitazioni nei contesti di innovazione

6.2 Capacitare l’innovazione

Per i motivi appena evidenziati, questa trattazione propone la lettura della teoria delle capacitazioni come un modello che sembra funzionare in contesti di lavoro innovativi come quelli costituiti dalla nuova rivoluzione digitale. L’esempio di Alstom, significativo per riuscire a delineare le caratteristiche di organizzazione interna, conduce verso la comprensione di come siano i luoghi di lavoro stessi a richiedere ai lavoratori nuove e diverse competenze. Il compito della pedagogia del lavoro è quello di fare in modo che i lavoratori siano mentalmente pronti ad operare all’interno di fabbriche che richiedono particolari set di competenze, riuscendo altresì ad indagare la “dimensione valoriale del lavoro.” (Costa, 2011, pag.19). A tal proposito le parole di Costa (2011) sono molto chiare: «la pedagogia del lavoro dovrà riuscire ad indagare la dimensione valoriale del lavoro, in cui il valore viene prodotto

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più dall’esplorazione che dalle routine, più dalla generazione di nuove conoscenze e metodologie che dall’ottimizzazione di quelle già note e collaudate» (pag. 19). La citazione appena riportata, permettere di comprendere da un lato quanto le modalità organizzative e formative di Alstom siano conformi a questo modello, e dall’altro spiega in un’efficace battuta qual è il compito della formazione in un momento in cui le viene riconosciuto un profondo contattato con la prassi lavorativa.

È importante precisare che utilizzando la parola “formazione” ciò che si intende oltrepassa la semplice concezione che accosta il termine all’insegnamento utile per qualcosa. Con questo non si vuole escludere dall’apprendimento una visione funzionalistica, ma la si vuole porre accanto a qualcosa dal respiro molto più ampio e complesso. Per comprendere più da vicino cosa significhi “formazione” nella sua totalità sono importanti le parole di Costa (2011):

la formazione è un modo di lavorare in cui la produzione di valore non avviene tramite l’applicazione di un sapere precedentemente appreso che ci si limita a replicare o usare, ma richiede una sua rielaborazione più attiva, una trasformazione generativa. (pag. 19).

Oltre che ad essere un mezzo per la trasmissione di conoscenze, per vivere al meglio il cambiamento che i nuovi contesti di lavoro impongono, la formazione deve riuscire anche ad attivare nel soggetto che ne fruisce una trasformazione generativa. Detto altrimenti: la formazione dirige gli adulti verso una costante revisione dei loro schemi di significato di modo che essi siano in grado di «riorganizzare costantemente se stessi, la propria storia ed i propri obiettivi» (Costa M., 2016, pag. 210). Le caratteristiche appartenenti ad una formazione così strutturata pongono l’accento su temi derivanti dal discorso pedagogico. Si tratta infatti di elaborare un’esperienza formativa che:

si risolve non solo e non tanto nella misura di quanto si è appreso, ma in particolare nelle caratteristiche dei processi cognitivi attivati, nella rilevanza delle modificazioni del rapporto coi saperi, nella partecipazione al processo di costruzione dei significati. (Margiotta U., 2015, pag. 251).

La dimensione pedagogica-formativa diventa allora portavoce dei concetti di «riflessività, trasformazione, centralità del soggetto, attribuzione di significato» (Margiotta U., 2015, pag. 251) in un momento in cui in gioco vi sono anche cambiamenti sociali (dei quali si ha già avuto modo di parlare) tanto rilevanti perché portatori di continua evoluzione al punto che: «fattore ormai indispensabile per le organizzazioni è certamente la capacità di rispondere in

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maniera reattiva e proattiva ai cambiamenti e di essere agenti di cambiamento e innovazione» (Costa M., 2016, pag. 21).

Per avere dei lavoratori capaci di far fronte alla mutevole dinamicità contemporanea, occorre loro un’adeguata formazione le cui basi si appoggiano su di una riflessione di tipo pedagogico che pone l’uomo e il suo agire lavorativo (e non solo) al centro della questione. La formazione quindi- come progetto che dà forma all’azione- si ritrova ad essere inserita in contesti lavorativi che inglobano molto più dello spazio-lavoro. All’interno delle organizzazioni vi sono i lavoratori che, in accordo con la teoria della capacitazioni, posseggono loro peculiari capacità. Quest’ultime, non solo mettono in risalto la personalità dei singoli, ma anche il loro prezioso -perché unico- contributo all’agire lavorativo. Se sono questi i motivi e la direzione verso cui si muove la pedagogia del lavoro, appare conseguentemente chiaro che i suoi destinatari non sono semplici oggetti passivi ma fruitori attivi; in quanto tali, sono chiamati a stimolare ed esercitare le loro abilità, dando una direzione di senso all’ esperienza che compiono. All’interno dei contesti lavorativi, il compito della formazione è quello di riuscire a definire l’azione lavorativa come un’attività che è importante riempire di significato perché solo in questo modo la si rende carica di valore: «in epoca post-fordista il lavoro assume valore pedagogico nella misura in cui diviene spazio di agire strategico orientato all’attivazione di un senso creativo e generativo che dà valore alla conoscenza.» (Costa M. 2011, pag. 70). La riqualificazione dell’azione lavorativa passa attraverso la formazione dei lavoratori: sviluppando in ogni singola persona una forma mentis capace di comprendere il lavoro ben oltre la definizione di attività finalizzata alla sussistenza, la formazione si riveste di una forte valenza educativa e pedagogica. Conseguentemente, la concezione del lavoro offerta dalla pedagogia è quella di un’azione dallo spessore antropologico perché al suo interno vengono qualificate tutte quelle dimensioni che comprendono le relazioni sociali, i progetti di vita, la dimensione dialogica di sé e il rapporto con gli altri. Pensata in questi termini, la formazione del lavoro implica un approccio tale da «qualificare il lavoro entro progetti di vita implicanti in relazioni sociali significative e capaci di coinvolgere i significati simbolici e culturali del proprio contesto lavorativo» (Costa M., 2016, pag. 207).

Porre la dimensione pedagogica all’interno del paradigma lavorativo significa dunque accettare la concezione di un apprendimento destinato agli adulti lungo il corso di tutta la vita e, conseguentemente, accettare la “teoria delle capacitazioni”, un pensiero che si prefigge il compito di dare vita ad un welfare formativo attento «non tanto alle condizioni di occupabilità delle persone ma anche e soprattutto al presidio delle opportunità di sviluppo delle potenzialità di ciascuno» (Alessandrini G., 2013, pag. 65). Nel caso specifico della

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formazione lavorativa si tratta di poter qualificare la capacità del lavoratore «nel dare direzionalità al proprio sapere, nel definire una propria progettualità che colleghi la sua vita alle sue appartenenze, valorizzando creatività e talento realizzativo a partire dai network professionali.» (Costa M., 2016, pag 27) In questo modo:

il lavoro non è più solo incapsulato nell'azione individuale ma assume una valenza sociale ed etica potenziata della responsabilità della partecipazione, della collaborazione e del riconoscimento del valore dell'atro. La sfida oggi è quella di rielaborare un significato di innovazione sociale ed economica a partire da un nuovo legame tra agire economico ed etica che sappia porre al centro del senso dello sviluppo il valore dell'uomo in connessione con la sua comunità di appartenenza. (pag. 32)

La citazione di M. Costa (2016) riporta tutte quelle caratteristiche richieste ai lavoratori digitali che sono già state tematizzate. Ci si riferisce alla responsabilità, partecipazione consapevole, condivisione…i requisiti appena elencati dimostrano che la formazione conferisce al lavoro una nuova etica: esso non è più costretto entro lo stretto binario di “soggetto-produzione” ma si sposta entro uno scenario più complesso, composto da più variabili collocandosi così entro la dimensione delle soft skills e del long life learning. Ciò che è richiesto alla formazione e -a più largo respiro- all’intera comunità di appartenenza, è la costruzione di un learnfare (Margiotta 2011, 2012) in cui vi sia la valorizzazione e il riconoscimento di ogni singola personalità e, conseguentemente, l’incremento di «una prospettiva di sviluppo del significato di formazione nei contesti di innovazione basata sull’importanza di costruire una pluralità di vie per l’apprendimento.» (Costa, 2014, pag. 51).