7. Formare alla riflessività nei contesti di innovazione
7.3 Donald Schön e il professionista riflessivo
Donald Schön parte dell’opera di Dewey per sviluppare un pensiero che si interessa all’ apprendimento e, più nel dettaglio, all’apprendimento nel campo della pratica professionale. Schön (1993) esplora la tematica rimanendo in accordo con quanto sostenuto da Dewey: agire e riflettere non sono due azioni separate ma costituiscono il cuore pulsante del processo riflessivo. Tale pensiero risulta essere lontano dalle dicotomie soggetto conoscente-oggetto conosciuto e conseguentemente, strettamente connesso al contesto. Come si può evincere da quanto appena affermato, l’influenza di Dewey è lampante. L’indagine di Schön circa il pensiero riflessivo comincia con la definizione di quella che l’autore chiama “razionalità tecnica”. Schön nomina in questo modo il processo di indagine all’interno del quale partendo da un problema “x” si deve giungere alla sua soluzione “y”. Il processo di indagine proprio della razionalità tecnica è di tipo lineare, funziona secondo la logica del “problem solving” e dirige l’intera ricerca a strutturarsi secondo un modello in cui vi sono certe conoscenze di partenza utilizzate per arrivare alla decisone finale. Il modello offerto dalla razionalità tecnica, sebbene in alcuni casi possa essere efficace, per Schön manca di una caratteristica rilevante poichè non tiene in conto le variabili determinate dal contesto. Come in Dewey, l’ambiente influenza in modo significativo l’apprendimento del soggetto:
87 A causa della complessità della situazione le azioni del progettista tendono, fortunatamente o sfortunatamente, a produrre conseguenze diverse rispetto a quelle desiderate. Quando questo accade, il progettista può tener conto delle modificazioni non intenzionali che ha prodotto nella situazione generando nuovi apprezzamenti e comprensioni e operando nuove scelte. Egli modella la situazione in conformità con il proprio iniziale apprezzamento di essa, la situazione “replica”, ed egli risponde alla replica impertinente della situazione. In un valido processo progettuale, tale conversazione con la situazione è riflessiva. Il professionista, riflettendo su tale replica, può trovare nella situazione nuovi significati che lo portano ad una nuova ristrutturazione. Così egli giudica l’impostazione di un problema attraverso la qualità e la direzione della conversazione riflessiva cui detta impostazione conduce… questo giudizio si basa, almeno in parte, sulla percezione delle potenzialità di coerenza e congruenza che egli è in grado di percepire attraverso l’ulteriore indagine. (Schön, 1993, pag. 103).
La citazione appena riportata mette a fuoco il complicato intreccio che emerge tra il soggetto e il contesto in cui opera. Tale legame è dovuto al fatto che una teoria dell’apprendimento riflessiva -così come la intendono sia D. Schön che J. Dewey- parte da una realtà esperienziale problematica, dipendete dal contesto e che vede in ogni evento una singolare unicità. In un panorama tale, il paradigma rigoroso e senza sbavature della razionalità tecnica risulta inadeguato perché nella ricerca della soluzione non può essere accantonato il punto di vista del soggetto che vive quella determinata situazione. In questo senso Schön (1993) parla di “intelligenza nell’azione” riferendosi a quella capacità – propria del professionista- di poter instaurare un dialogo con il contesto. Davanti ad un’esperienza problematica infatti, ciò che il soggetto mette in atto non sono le sue conoscenze di tipo accademico ma ad essere valorizzata è la sua pertinenza rispetto alla situazione e, per questo motivo, emergono competenze portavoce di uno status di autonomia e responsabilità.
È all’interno di questa cornice che si incontra il modello che Schön propone in opposizione a quello della razionalità tecnica, quello della “riflessione nel corso dell’azione” (reflection in
action). In quest’ultimo paradigma è radicata la tesi che attraversa l’intera opera di Schön,
ovvero che il nostro conoscere è nella nostra azione. L’apprendimento che mette in atto il professionista in azione non è tanto quello tecnico-strumentale ma è un apprendimento di tipo comunicativo. Mezirow (2003), facendo riferimento agli studi di J. Habermas (1971) scrive che «la finalità dell’apprendimento comunicativo è appunto la comunicazione: imparare a capire cosa vogliono dire gli altri.» (pag. 77). Un tipo di conoscenza tale trova la sua generazione in un pensiero che è prima di tutto metaforico. Il soggetto che vive la situazione problematica mette in atto processi di questo tipo e di fatti, è attraverso il “vedere
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come” che egli può uscire dalle rigide procedure tecniche e interfacciarsi alla situazione di incertezza mettendo in atto la sua pertinenza. “Vedere come” è una metafora, e come tale è una figura retorica che associa qualche cosa a qualcos’altro. Scrive Priore A. (2017): «questa forma di pensiero, che si contrappone a quella logico-paradigmatica tipica dei processi di categorizzazione del reale, aiuta il soggetto a mettere insieme le cose proprio perché diverse, secondo un criterio di complementarietà che fa costruire entità sempre nuove» (capitolo 3.). Per comprendere al meglio il pensiero di Schön è opportuno approfondire la questione riguardo a quelle che lui chiama “metafore generative”. Quest’ultime sono importanti perché dicono qualcosa in merito ai significati che il soggetto attribuisce al mondo; esse sono significative «in quanto sintomi di un determinato modo di considerare le cose in riferimento ad altre cose» (Mezirow, 2003, pag. 84) di fatti le metafore generative sono quelle che «creano esse stesse le somiglianze che noi vediamo tra le cose cui si riferiscono gli argomenti della metafora stessa»: (M. Black, Metaphor, (1962), pag. 37 in Galimberti U. (2009), pag. 158)
Uno degli esempi di Schön in merito alla metafora generativa riguardava un gruppo di addetti alla ricerca e sviluppo, impegnati nel tentativo di migliorare un nuovo pennello dotato di setole artificiali. Quei ricercatori non riuscivano a fare progressi fin quando uno di loro non osservò che “il pennello è una sorta di pompa!”. Quella metafora attirava l’attenzione sul fatto che la vernice viene spinta attraverso gli spazi che separano le setole del pennello, quando quest’ultimo viene schiacciato contro una superfice. L’idea contenuta nella metafora originaria permise dunque ai ricercatori di attingere a tutte le loro conoscenze cumulative sulle pompe e sul processo di pompaggio e di applicarle alla verniciatura, trasformando così i concetti iniziali di verniciatura e di pompaggio. Per esempio, il fatto di vedere la vernice che scorreva attraverso dei canali realizzati tra le setole consentì loro di sperimentare una disposizione innovativa delle setole, in modo da comprimere i canali aumentando così il pompaggio del liquido. Occorre osservare che il processo non è iniziato con l’individuazione, da parte dei ricercatori, di analogie specifiche tra i pennelli e le pompe. Il punto di partenza era solo un concetto, o un sentimento generico, di affinità. La formulazione di un’analogia tra i pennelli e le pompe si ebbe solo dopo che la percezione degli uni e delle altre era stata ristrutturata, in modo da poterne analizzare gli elementi e le relazioni. In un momento successivo, i ricercatori furono poi in grado di costruire un modello generalizzato, destinato ad altre applicazioni. (Mezirow J., 2003, pag. 84).
Ecco allora che il professionista per gestire la problematicità non fa un lavoro di applicazione (delle conoscenze acquisita a decisioni strumentali) ma di associazione perché «la strategia consiste nel vedere la situazione come qualcosa che è già presente nel suo repertorio, senza
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che questo significhi includerla in una categoria o in una regola consueta.» (Costa M., 2011, pag. 152).
Il cuore della riflessione risiede quindi della capacità di indagare la realtà comunicando: il professionista sa imparare attraverso le metafore e in questo modo la sua prassi diventa azione riflessiva. Ciò che si rivela essere fondamentale ai fini della formazione del professionista è che egli possa acquisire consapevolezza delle metafore generative che coordinano la sua riflessione. È importante che la riflessione nel corso dell’azione e l’azione metariflessiva siano accompagnate dalla critica delle metafore generative che conducano i processi: «questa consapevolezza critica aumenterà la nostra efficacia nell’analisi dei problemi, consentendoci di esaminare le analogie, comprese quelle false o limitate, che vengono utilizzate per attribuire significato all’esperienza.» (Mezirow, 2003, pag. 85).