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La competenza del lavoratore generativo: la competenza ad agire

5. Il lavoratore generativo nei contesti di innovazione

5.1 La competenza del lavoratore generativo: la competenza ad agire

La pedagogia del lavoro e capabilty approach si muovono sullo sfondo della knowledge society, un modello di società in balia della forte mutevolezza dei mercati, caratterizzata dalla competitività dei paesi emergenti e dalla massiccia presenza di dati ed informazioni. A causa di contesti sempre più complessi con i quali ci si interfaccia non solo nell’ambito lavorativo ma anche nella quotidianità, ciò che si richiede sono competenze che permettono al soggetto di saper affrontare al meglio i cambiamenti, le criticità, le sfide e i rischi che avrà la probabilità di incontrare. La svolta è radicale:

L’educazione è così chiamata a rivedere le sue posizioni nella formazione della nuova conoscenza, poiché i lavoratori nella società della conoscenza si trovano a dover agire in contesti sempre più complessi, per cui è necessario che essi sappiano comprenderli e interpretarli per generare nuove idee e nuove conoscenze. (Costa, 2016, pag.134).

In questo senso, la formazione è efficace se pone nel suo centro lo sviluppo delle soft skills e delle metacompetenze13 in modo che il lavoratore diventi «un attore cognitivo che significa le sue esperienze, intrecciando continuamente decisioni, azioni, comportamenti, significati» (Costa, 2013, pag. 112). Non si tratta più di competenze aprioristiche e pre-definite ma di competenze indissolubilmente connesse all’azione che svolge l’agente in uno specifico contesto di riferimento. A tal proposito F. Tessaro (2012) scrive che:

Le competenze si articolano nella varietà dell’agire intenzionale, in una dimensione pragmatico- cognitiva in cui si specifica la diversità delle funzioni, dei compiti e degli scopi. […] La centralità della competenza è data dal fatto che essa è un nucleo inseparato di pensiero e di azione, che si sviluppa in situazione mediante processi proattivi e retroattivi interrotti. È improprio perciò parlare di primato della conoscenza sull’azione o viceversa. (Tessaro, 2012, pag. 106).

A partire dalle parole di Tessaro si esplicita il rapporto dialettico tra competenza e azione, un rapporto che, costituito da una relazione dinamica tra le due parti, è in continua evoluzione. Si comprende allora che la competenza così come la vuole intendere questa rivoluzione

13 Con il termine metacompetenza si intende l’abilità raggiunta dal soggetto oltre la singola competenza, ovvero la sua consapevolezza di possedere determinate abilità e la possibilità di padroneggiarle e metterle in azione rispetto alle situazioni vissute.

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digitale, non è caratterizzata da “staticità” bensì è strettamente correlata all’agency. In virtù di questa correlazione che la definisce, appare subito chiaro che la competenza è investita di un significato molto differente rispetto a quello attribuitole in un contesto lavorativo come quello fordista, e M. Costa (2011, pag. 157) definisce e riassume il set di competenze richiesto nel contesto del lavoro nell’era digitale con il termine “competenza ad agire”. Quest’ultima è basata su un’agency definita come:

la tendenza-possibilità-libertà che ogni persona ha di immaginare e desiderare qualcosa che ancora non è data, individuare obiettivi per realizzarla, a partire da quanto è a disposizione, dare incominciamento qualcosa di nuovo, ri-costruire discorsivamente strategie e finalità. (M. Costa, 2017, capitolo 2.).

Una tale definizione della competenza trova riscontro nel Quadro Europeo delle Qualifiche e dei Titoli (2006) in cui si trova scritto che: «competenze indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità, capacità personali, sociali e o metodologiche, in situazioni di lavoro e di studio e nello sviluppo professionale o personale; le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.» (Quadro europeo delle qualifiche e dell’apprendimento permanente disponibile da https://ec.europa.eu/ploteus/sites/eac-eqf/files/leaflet_it.pdf ) Entrambe le citazioni conducono a considerare la competenza come concetto strettamente correlato alla prassi facendo altresì intendere che la competenza è osservabile soltanto in situazione e che quindi non può essere scissa dal contesto in cui opera l’agente. A proposito, D. Dato (2014, in Costa, 2017, capitolo 3.) sottolinea tre punti chiave (capacità – azione – contesto) come componenti essenziali dello sfondo su cui si muove-nasce-sviluppa la competenza. Come già accennato, ci si discosta da un tipo di competenza dalla valenza meramente strumentale per avvicinarsi ad un concetto di competenza che prima di tutto considera la persona portatrice della stessa. A riguardo Costa (2013) scrive che «la persona è autenticamente competente quando nel lavoro avverte liberalmente attuata la soggettiva umanità che emerge dal confronto con l’altro.» (pag. 111). Ecco allora che in seguito al ridimensionamento della valenza performativa, la competenza diventa “competenza ad agire”. Essa non è:

un possesso di tecnicalità o saperi quanto piuttosto un modo di agire in cui il presupposto è la piena consapevolezza di quello che si fa, la comprensione del suo significato, la possibilità di scegliere fra

50 alternative di comportamento diverso, in modo da essere responsabili della scelta operata. (Costa, 2011, pag. 157).

Descrivere in questi termini la competenza significa altresì intendere che un lavoratore competente è sia partecipativo che libero di operare delle scelte. È utile tenere a mente questa precisazione perché propedeutica alla comprensione del rapporto tra la generatività dell’agente e la teoria della capacitazioni strutturata da Sen A. (2000). L’autore indiano scrive come l’essere liberi di conseguire un dato fatto comporti la realizzazione di qualcosa che si ritiene importante. L’agente che opera secondo questo tipo di libertà innesca un agire in accordo con l’esplicitarsi dei suoi stessi funzionamenti e, di fatti, l’azione che si prospetta si delinea come «la risultante della possibilità di intraprendere un corso di azione nel pieno delle proprie capacità, entro cui definire la propria scelta di funzionamento.» (Sen, 2000, pag. 79). Dare forma all’azione attraverso la competenza ad agire significa incrementare lo sviluppo delle capacitazioni e dei funzionamenti di ogni agente appartenente all’organizzazione. La competenza che si sta trattando non è quindi imbrigliata in categorie astratte, anzi, al contrario, è strettamente impregnata del e nel contesto in cui opera e da cui prende il significato. Essa richiede dunque, in virtù della propria stessa essenza, una certa libertà ad agire da parte del soggetto e conseguentemente, il lavoratore generativo è colui che saprà e potrà mettere in atto strategie di azioni diversificate di volta in volta a seconda di ciò che è richiesto dal contesto. Entra in campo con grande preponderanza la soggettività del lavoratore, il quale è chiamato ad agire non più solo in base a conoscenze tecniche accumulate da anni di studio, ma anche facendo riferimento ai diversi contesti a cui egli stesso sceglie di appartenere. La competenza così intesa oltrepassa il confine lavorativo e punta dritto alla costruzione del Sé perché la libertà di azione ad essa correlata comporta un’azione professionale che include il soggetto in prima persona.

In un contesto in cui essere un soggetto competente significa mettere in atto scelte e azioni che derivano dalla capacità di adattamento, è prevista necessariamente anche un’azione partecipativa e coinvolgente del lavoratore stesso. A tal proposito M. Costa (2011) scrive di competenze “interoperabili” e le definisce come quelle capacità in grado di «generare network capaci di mettere insieme più soggetti, individuali e collettivi, che interagiscono per esplorare campi nuovi.» (Costa, 201, pag. 159). L’essere partecipativo è un tratto distintivo del lavoro così come è inteso dalla rivoluzione di Industria 4.0: è uno dei punti fondamentali poiché è grazie alla concezione comunicativa e condivisa del lavoro che i lavoratori tutti riescono ad interfacciarsi ai devices digitali non in modo routinario e meccanico ma con un approccio creativo. Si è già parlato della correlazione tra innovazione e creatività, ed è utile ribadire che

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quest’ultima è una competenza molto apprezzata nei moderni contesti lavorativi: colui che dimostra tale qualità, è senza dubbio generativo perché la sua creatività non risiede tanto in nozioni aprioristiche quanto nella sua personale abilità di saper avvicinare la realtà «non tramite una forma di investigazione che pretende di incasellarla entro schemi o risultati pre- costruiti, ma nasce dalla consapevolezza dell’alterità del reale rispetto al pensiero autosufficiente, e nello stesso tempo dalla sua vitalità poiché essa comprende il non- conosciuto, l’inedito, ciò che rompe gli schemi, ciò che sorprende e rinnova l’atteggiamento.» (Butera F., Donati E., Cesaria R., Di Guado S., in Costa M., 2011, pag. 158).

Al centro del progetto formativo ci deve essere dunque il concetto di competenza come appena inteso e al quale sono correlate le caratteristiche di libertà di azione, responsabilità e creatività. In altre parole, ciò che privilegia la competenza generativa nei contesti moderni di lavoro in cui essa è richiesta è il talento del lavoratore. Un lavoratore talentuoso può mettere in moto la sua creatività proprio perché responsabile e libero di agire nel contesto all’interno del quale opera. Solo in questa direzione la competenza diventa competenza ad agire e:

l’agire competente pertanto viene ad esprimersi non come una sequenza solo e sempre lineare, garantita dalla coerenza logica del suo organamento procedurale finalizzato, ma come un programma di azione e qualificazione topologica, stocastica e congetturale capace di generare un valore di libertà, progettualità e appartenenza del soggetto al suo ambiente. (Costa M, 2011, pag. 155).

Richieste del genere non possono che essere soddisfatte da una formazione che è, prima di tutto, paideia. Si tratta allora di ripensare interamente l’educazione di modo che quest’ultima possa ergersi come fondamento di lavoratori cognitivamente preparati e resilienti. Tutto ciò conduce verso la definizione dei capisaldi del modello di cui sono portavoce le fabbriche di nuova generazione; i nuovi contesti lavorativi richiedono un lavoratore che sappia affiancare la disposizione all’azione all’ «attitudine all’apertura a partire dalla disponibilità a compiere un’attività intellettuale.» (Costa M. 2016, pag. 4). Il ripensamento della concezione del lavoro si colloca sulla base di una formazione che valorizza la competenza nei termini appena descritti. È allora immediata la comprensione della rivoluzione che ha investito l’ambito delle competenze e che segna il fallimento di una visione funzionalistica ed economicistica dell’attività lavorativa. La competenza generativa (carica del valore lasciatole dal capability

approach) è la guida dei nuovi contesti di lavoro, essa non indica specifiche abilità tecniche ma

attribuisce molta importanza all’atteggiamento proattivo e cognitivo degli agenti. È in seguito alla sua valorizzazione che all’interno dei nuovi contesti lavorativi sono rilevanti i processi creativi, la capacità di generare network relazionali e cognitivi. Tali caratteristiche non sono

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conformi ad un modello di competenza incentrato sulla linearità dei processi all’interno dei quali, date certe regole, si deve operare una sorta di adeguamento per giungere allo scopo prefissato. Le fabbriche di Industria 4.0 sono lo specchio del modello della complessità e al loro interno tali competenze (che si avrà modo di analizzare nell’ultima parte dell’elaborato come soft skills) assumono una rilevanza tale da poter essere tematizzate come il punto di incontro tra la necessità formativa e il bisogno di generare innovazione.

5.2 Il lavoratore generativo accanto alle tecnologie: le sfide culturali dello Smart