7. Formare alla riflessività nei contesti di innovazione
7.1 Riflessione e apprendimento in John Dewey
Dewey J. tematizza largamente il pensiero riflessivo ponendolo come punto centrale della sua opera filosofica. Ciò su cui Dewey insiste è l’operatività della filosofia a discapito di un’idea del pensiero come atto meramente contemplativo. Dewey si prefissa di superare le dicotomie tipiche della filosofia affinché quest’ultima sia liberata dalle contrapposizioni che l’hanno costituita per secoli: ideale e reale, pratica e teoria: «La divisione del mondo in due sfere dell’Essere, una superiore accessibile solo alla ragione e di natura ideale, l’altra inferiore, materiale, mutevole, empirica, accessibile all’osservazione sensoriale, si richiama inevitabilmente all’idea che la natura della conoscenza è contemplativa.» (Dewey J.,(1920)
Recostruction in Philosophy. Citato in Granese A. (2005). pag. 26).
La critica di Dewey è diretta dunque sia nei confronti dell’idealismo che nei confronti dell’empirismo. Il primo considera il reale come una razionalità assoluta, il secondo, conferendo solo all’esperienza la capacità di produrre conoscenza chiara e distinta, perde l’essenza stessa dell’esperienza facendola coincidere totalmente con il soggetto. L’approccio che Dewey propone è quello da lui stesso definito “strumentalismo” e all’interno del quale la filosofia diventa una teoria generale dell’educazione. Senza richiamare ad essa principi eterni, la ragione può governare l’esperienza perché essa è la facoltà capace di mettere ordine la precarietà e la mutevolezza tipica della realtà. Con il compito di stabilizzare il rapporto degli uomini col mondo, la filosofia deve ricostruirsi eliminando i dualismi:
una ricostruzione filosofica che assumesse il compito di sollevare gli uomini dalla condizione di dover scegliere tra un’esperienza impoverita e mutilata da una parte ed una ragione impotente e artificiale dall’altra solleverebbe l’uomo anche dallo sforzo di reggere il più pesante fardello intellettuale che deve trascinarsi. […] Infatti determinerebbe le condizioni sotto le quali possono efficacemente
81 interagire la fondata esperienza del passato e l’intelligenza creativa che guarda il futuro. Renderebbe gli uomini capaci di glorificare le aspirazioni della ragione senza per questo cadere nell’adorazione paralizzante di un’autorità superiore empirica o in una “razionalizzazione” offensiva delle cose così come sono. (Dewey J. (1920) in Granese A. (2005) pag. 102).
Per il pensiero di Dewey il dato esperienziale è fondamentale ma quest’ultimo non è portavoce di fatti chiari e distinti che implicano conoscenza certa bensì è qualcosa di mutevole e problematico. È al pensiero che spetta il compito di articolare ordinatamente i fatti empirici che vive. In questo senso Dewey (1920) parla di trans-azione ed è questo concetto che permette di comprendere come il pensiero pedagogico si innesti alla concezione filosofica appena tematizzata. Con la parola trans-azione Dewey identifica la modalità di azione in cui non vi è dato il classico dualismo tra soggetto che conosce e oggetto conosciuto. La distruzione di una dicotomia tale è in pieno accordo con quanto già scritto in merito al compito di ricostruzione verso cui deve tendere la nuova filosofia. Ecco allora che trans- azione è molto più di interazione perché quest’ultima comprende sempre la presenza due poli opposti accomunati da determinati punti d’incontro; la modalità trans-attiva pone invece l’attenzione non su due poli bensì sull’intero sistema creatosi tra organismo e ambiente. L’importanza del contesto risulta essere quindi un dato fondamentale perché il processo che guida la conoscenza degli uomini è sempre correlato all’ambiente in cui quest’ultimi operano. La relazione che Dewey vuole esporre attraverso il concetto di trans-azione è quindi di tipo sistemico e si sviluppa nel vicendevole scambio che avviene tra l’uomo e l’ambiente. In questo senso gli stati interni dell’individuo, siano essi stati conoscitivi o emozionali, non sono altro che stati relazionali vigenti fra il singolo e il suo ambiente. Tali stati specificano il modo in cui l’individuo risponde alle sollecitazioni ambientali.
Considerando queste come le condizioni di partenza, al pensiero pedagogico di Dewey non si può che attribuire una formazione necessariamente dinamica, sempre in evoluzione: il soggetto pensa e il suo pensiero -indissolubilmente correlato all’esperienze nell’ambiente- è strettamente connesso all’azione. L’intelligenza è dunque un processo in fieri sempre collegato all’esperienza, essa è la modalità attraverso cui è possibile esperire. In questo senso per Dewey apprendere qualcosa significa attribuire significato all’esperienza che si vive, ma tale significazione dell’esperienza può avvenire solo se scende in gioco il pensiero riflessivo. A proposito U. Margiotta (2015) cita Lamberto Borghi il quale «riconosce a Dewey il merito di aver sottolineato sempre con forza il potere insito nell’intelligenza umana di modificare e padroneggiare i contesti a partire da essi e senza prescinderne mai. Borghi (1974, p. 5) scrive:
82 scopo dell’intelligenza è [...] impedire che la realtà naturale e sociale si fermi nel suo sviluppo o proceda senza regola e senza coscienza delle sue intrinseche possibilità. Essa tende a rompere le cristallizzazioni e le barriere. Nell’uomo un’educazione intelligente mira a suscitare attitudini alla comprensione e alla critica dello stato esistente, al potenziamento delle sue capacità in vista di una attività costruttiva e non abitudinaria, in funzione del conseguimento della pienezza della sua individualità e della piena manifestazione della finalità sociale di cui le sue attitudini e capacità sono tramate. (in Margiotta U., 2015, pag. 111).
Considerato l’inscindibile rapporto tra contesto, esperienza e pensiero, ciò che è davvero fondamentale in senso pedagogico è riuscire a formare il soggetto secondo una prospettiva riflessiva:
Formare in prospettiva riflessiva significa consentire al soggetto in formazione di indagare la problematicità delle esperienze di vita proprio a partire dai contesti, per ricostruirne la significatività e “imparare dall’esperienza”, laddove imparare significa imparare a pensare. (Margiotta U., 2015, pag. 112).
Ecco allora che se tutti gli uomini pensano, il salto qualitativo lo compie chi sa pensare riflessivamente, ovvero chi è in grado di porre in sequenza logica i pensieri a partire dalla problematicità offerta dall’esperienza. Il compito dell’educazione è dunque quello di orientare il soggetto verso l’indagine dell’esperienza, luogo in cui pensiero e contesto si incontrano dando vita al sistema trans-attivo. Il pensiero di Dewey è basato su un’esperienza che per sua natura è certamente vincolata al soggetto che esperisce ma alla quale è attribuita la peculiarità di essere sempre dentro un preciso contesto. Essendo gli eventi imprevedibili ed il soggetto sempre in balia del contesto, le risposte che il soggetto può avere sono variabili ed eterogenee, e di fatti, ciò che Dewey sta trattando non è un’intelligenza meccanica bensì creativa. La pratica della riflessione parte allora per dar soluzione ai dati che, offerti dall’esperienza, diventano eventi: solo se il soggetto avrà lo sviluppo e il controllo razionale dell’esperienza sarà conseguentemente in grado di riempire di significato quella stessa esperienza. Svolgere consapevolmente un processo tale significa “apprendere”.