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Il capitale sociale: opportunità e vincoli per i non nazional

Capitolo 2 L’attivazione politica dei cittadini non nazionali e le sue molteplici forme

2.1 Prendere parte alla dimensione politica: appartenenza e attivazione

2.1.2 Il capitale sociale: opportunità e vincoli per i non nazional

Nello studio della partecipazione alla vita pubblica del paese di residenza non è possibile scindere dalla disposizione di capitale sociale dell’individuo: l’insieme delle relazioni che egli riesce a costruirsi in un determinato contesto sono da considerarsi come una variabile interpretativa significativa dei comportamenti partecipativi (Sciolla 2003).

Negli ultimi due decenni, in merito al capitale sociale è sorta una cospicua letteratura che ha attribuito a questo concetto una pluralità di significati. Nonostante i dibattiti relativi al fautore di questo concetto, Bourdieu e Coleman sono coloro che hanno formulato le prime teorizzazioni sistematiche relative al capitale sociale. Nella sua teoria sulla pratica sociale, utile alla comprensione dell’ordine sociale e della sua riproduzione, Bourdieu (1986) definisce il capitale sociale come «l’insieme delle risorse attuali o potenziali legate al possesso di una rete durevole di relazioni più o meno istituzionalizzate d’interconoscenza e d’interriconoscimento» (ibidem, pp. 248- 249). Dunque, l’insieme delle relazioni a cui può attingere l’individuo sono

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Il Rapporto Ocse (2008), A profile of immigrant populations in the 21st century data from OECD countries, è scaricabile alla pagina web:

funzionali sia al riconoscimento infra-gruppo, sia inter-gruppo, ma può altresì svolgere un ruolo di sostegno materiale per il raggiungimento di scopi concreti. Per l’azione nel campo sociale, questo specifico capitale risulta una risorsa aggiuntiva al fine di aumentare gli altri tipi di capitale (economico, culturale, finanziario) di cui è in possesso l’individuo. In seguito, il termine fu ripreso da Coleman in una ricerca sul sistema formativo americano per spiegare la maggiore efficienza dei sistemi esclusivi ed integrati in opposizione a quelli delle scuole pubbliche aperti o anomici. L’autore definisce questa specifica forma di capitale come un insieme di entità31, ognuna delle quali costituisce un aspetto della struttura e rende possibile le azioni degli individui che ne fanno parte. L’approccio relazionale di Coleman e la sua particolare concezione di capitale sociale come risorsa in grado di facilitare lo svolgimento di azioni non altrimenti raggiungibili (o comunque raggiungibili, ma a costi più elevati) lo hanno, di fatto, inserito nelle indagini dei fenomeni economici.

Gli studi di Bourdieu e Coleman furono ripresi da altri autori, in particolare, da Putnam che contribuì alla diffusione di questo concetto, e Donati. Nella sua analisi sulle regioni italiane, Putnam (1993) attribuì al capitale sociale una definizione accessibile per un’analisi empirica, che coincide con «la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo» (ibidem, p. 196). In uno studio successivo sul senso civico degli Stati Uniti, l’autore aggiunse la distinzione fra due tipi specifici di capitale sociale: uno bonding, che serra verso l’interno assicurando reciprocità e incentivando la solidarietà interna, e uno bridging, che si apre all’esterno favorendo la diffusione di informazioni ed in grado di sfruttare i vantaggi esterni. L’approccio culturalista di Putnam tende a identificare il capitale sociale con la struttura delle relazioni presenti in un contesto sociale sostenute dal processo di socializzazione e dalle sanzioni formali e informali presenti nel territorio. Donati (2007) sostiene che il capitale sociale non deve essere concepito come un attributo dell’individuo o della struttura, ma come un tipo di bene sociale che assume configurazioni diverse nelle strutture relazionali a cui gli individui partecipano. È dunque l’espressione della qualità delle relazioni prodotta, in primo luogo, dall’istituzione familiare che è capace di valorizzare le relazioni dentro e fuori la famiglia.

La sintesi operata sulle più diffuse concezioni di capitale sociale aiuta a sgombrare il campo da possibili degenerazioni del concetto, che tutt’oggi mostrano, secondo Pendenza (2011), l’esistenza di un “rompicapo semantico”. Il concetto di capitale sociale è situazionale, ovvero cambia a seconda del soggetto e del contesto sociale in cui è immerso, e può assumere forme diverse, ciascuna produttiva al raggiungimento di un determinato scopo (Piselli 2005). Per tali motivi è considerato sia una risorsa individuale che collettiva.

Tenendo presente la sua caratteristica relazionale è possibile chiarire l’impiego del capitale sociale per lo studio di alcuni aspetti del fenomeno migratorio, con particolare riferimento alla dimensione politica. Nella sua ricerca sulle differenti comunità di non nazionali negli Stati Uniti, Portes (1998) sostiene che il capitale sociale è differente a seconda della nazionalità o gruppo etnico, in funzione anche delle caratteristiche del contesto di accoglienza. La configurazione delle reti sociali non solo influenza la scelta del luogo in cui costruire il proprio progetto migratorio, ma spiega le sue ragioni, il numero di persone coinvolte (Massey e Espinosa 1997), facilitando l’accesso al lavoro, alla casa oltre a un appoggio affettivo. Lo stesso Granovetter (1974), nella sua analisi sul lavoro, evidenzia il ruolo fondamentale che ricoprono i legami sociali nell’incontro fra domanda e offerta.

Nel caso dei non comunitari, le risorse relazionali sono ancora più decisive, soprattutto in un contesto come quello italiano in cui in molti casi è difficile l’accesso ai canali formali di reclutamento lavorativo a causa delle problematiche inerenti al riconoscimento dei titoli di studio stranieri e delle problematiche legate al permesso di soggiorno (Ambrosini 2001). Dal punto di vista dei cittadini non comunitari, il capitale sociale di cui si dispone nella fase iniziale della partenza può concorrere nell’orientare la scelta del luogo in cui emigrare. I racconti e le esperienze dei propri connazionali emigrati in precedenza possono influenzare l’azione dei potenziali migranti. Molto spesso, la motivazione che spinge ad abbandonare il proprio paese è riconducibile alla speranza di migliorare la propria condizione, dunque non vi è una preferenza specifica del luogo in cui raggiungere questo obiettivo. La consapevolezza che, almeno nella prima fase del progetto migratorio, si può contare sull’aiuto di partecipanti alla propria rete relazionale è senza dubbio un fattore incentivante in grado di orientare la scelta di quel paese e di quel contesto locale. Successivamente, nella fase di stabilizzazione, la propria rete di connazionali può supportare sia nell’acquisire conoscenze relative al contesto socio-normativo del

luogo in cui si è emigrati sia nella ricerca di un settore lavorativo in cui indirizzare la propria ricerca di un impiego. Il capitale sociale etnico può dunque svolgere un ruolo significativo di aiuto e sostegno e favorire la realizzazione di un percorso migratorio di successo. Lo sviluppo di un certo tipo di capitale sociale, più o meno denso, o meglio bonding o bridging (Putnam 1993), e con una conformazione nazionale o internazionale può influenzare la strutturazione dei progetti migratori e favorire l’attivazione individuale verso il paese di origine o di destinazione.

Oltre a giocare un ruolo fondamentale per l’orientamento al paese di destinazione, all’accesso al lavoro e all’alloggio, il capitale sociale che l’individuo non nazionale si crea e mantiene ha un’influenza innegabile nella disposizione a partecipare, che deve essere analizzato in modo interazionale, fra il contesto di origine e di accoglienza, con le caratteristiche socio-demografiche individuali e la struttura delle opportunità politiche. Il tipo di capitale sociale in possesso dell’individuo può favorire o ostacolare la partecipazione e orientarla verso uno dei due contesti, portando anche a forme di partecipazione transnazionali. L’applicazione dello studio del capitale sociale alla disposizione ad attivarsi politicamente avviene, in particolare, in connessione con il fenomeno associativo (cfr. § 2.2).

Il tipo di relazioni che costituiscono il capitale sociale individuale possono favorire la formazione della coscienza di classe32 o di status (Pizzorno 1966), che implica la partecipazione insieme ad altri per il raggiungimento di obiettivi comuni, condizione che accresce la motivazione alla partecipazione. Dunque accanto al modello della centralità sociale, vi è il riconoscimento della possibilità di attivare anche i settori più periferici, tramite la costituzione di fini condivisi con altri attori sociali che fanno parte della propria rete di relazioni. Assumono una notevole rilevanza gli attori collettivi come strumenti di attivazione civico-politica. Nel modello della coscienza di status, la partecipazione politica diventa un’azione di solidarietà con altri e evidenzia come non sia la centralità in generale, ma la centralità rispetto a un gruppo sociale a incentivare la partecipazione.

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Pizzorno riprende il concetto marxista di coscienza di classe perché essa ha trovato a lungo espressione nella storia del movimento operaio. Per l’analisi della partecipazione politica dei non

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