• Non ci sono risultati.

Le mobilitazioni etniche e l’associazionismo: strumenti collettivi di inclusione politica?

Capitolo 2 L’attivazione politica dei cittadini non nazionali e le sue molteplici forme

2.2. Le mobilitazioni etniche e l’associazionismo: strumenti collettivi di inclusione politica?

Nell’Europa occidentale, le mobilitazioni etniche sono piuttosto recenti e hanno interessato soprattutto i paesi di vecchia immigrazione, caratterizzati dalla presenza non solo delle seconde generazioni di immigrati, ma anche delle terze. Negli studi socio-politologici, il concetto di mobilitazione si riferisce a quel processo attraverso il quale un gruppo di individui acquisisce il controllo su un insieme di risorse33, diventando un attore partecipe alla vita pubblica (Tilly 1978).

Le mobilitazioni etniche sono una reazione all’esclusione sociale, culturale e politica esperita da alcuni gruppi di individui in un determinato contesto sociale: anche se non fondate su intenzioni politiche hanno delle profonde conseguenze in questo ambito. Esse possono da un lato alimentare la frattura fra gruppi, oppure facilitare la creazione di condizioni che possano favorire la partecipazione dei cittadini non nazionali (Castles e Davidson 2000). Le mobilitazioni etniche iniziano dalla formazione di una coscienza etnica, che può essere considerata come una sorta di coscienza di status (Pizzorno 1966), in risposta all’esperienza dell’esclusione sociale nelle società occidentali. La coscienza etnica può assumere differenti forme e gioca un ruolo fondamentale nella formazione di modelli di partecipazione e mobilitazione politica. Differenti autori sottolineano l’importanza della struttura delle opportunità politiche nel condizionare l’azione politica dei non nazionali, formulando alcuni modelli interattivi in grado di adattare gli strumenti di analisi alla complessità dei mutamenti sociali (Barth 1994; Grillo e Pratt 2002)

Bousetta (2000) sottolinea invece il ruolo dell’ambiente e le differenze fra comunità nel determinare la forma delle mobilitazioni etniche. Per tale motivo, distingue due differenti tipi di azione collettiva: quelle infra-politiche, rivolte al proprio gruppo e dunque invisibili all’esterno, e le strategie politico-organizzative orientate all’esterno e dirette a influenzare l’agenda politica e l’opinione pubblica. Se le prime sono di difficile rilevazione, quelle politico-organizzative hanno avuto una certa rilevanza a livello europeo, assumendo forme diverse a seconda del contesto. Alcuni esempi di queste mobilitazioni etniche hanno radici differenti e corrispondono a certe fasi dell’immigrazione in Europa. Ad esempio, dagli anni Settanta, i cittadini non nazionali presenti nei contesti europei erano soprattutto

impiegati, così come oggi, nel settore del lavoro manuale. Il modello di emigrazione dominante era quello del lavoratore inserito in settori non qualificati (cfr. § 1.1). Dato che, in diversi casi, vi era riluttanza a rappresentare gli interessi di questa categoria da parte delle organizzazioni nazionali, furono create delle unioni alternative di immigrati. Laddove era presente una forte asimmetria fra lavoratori non nazionali e autoctoni, in cui primi erano inseriti nei settori non qualificati e i secondi in ruoli di supervisione, nacquero dei conflitti manifesti, come ad esempio nell’industria meccanica francese in cui si realizzarono i primi scioperi degli anni Settanta e Ottanta. Nacquero delle ethnicworkgangs (Castles e Davidson 2000) che riunivano individui provenienti dagli stessi paesi e caratterizzati da una comune appartenenza religiosa. Le conseguenze di queste mobilitazioni, che portarono a scioperi anche violenti nelle fabbriche della Renault, Citroën e Talbot, furono la crescita di una solidarietà su base etnica, l’aumento della frattura fra lavoratori non nazionali e francesi, influenzando anche l’opinione pubblica francese. Questo tipo di mobilitazioni interessarono anche altri paesi dell’Europa, con modalità differenti a seconda delle provenienze dei gruppi etnici caratterizzati da esperienze e tradizioni diverse34 (Lever-Tracy e Quinlan 1988).

Vi sono poi altri tipi di mobilitazioni etniche che hanno altresì coinvolto tutti i paesi occidentali, come la nascita di movimenti anti-razzisti, che in Gran Bretagna si avviarono già dai primi anni Ottanta, promossi dai giovani che protestavano contro le violenze della polizia e dei gruppi di estrema destra. Anche in Francia e in Germania nacquero dei movimenti di protesta formati da giovani immigrati, movimenti sostenuti anche da organizzazioni autoctone come sindacati, chiese e partiti di sinistra. Nonostante queste mobilitazioni sembrano appartenere ad un’altra epoca, almeno per quanto riguarda l’Europa occidentale, i fatti non dimostrano la fine di questo tipo di attivazione su base etnica. Nessuno scorderà le mobilitazioni delle banlieues parigine del 2005, o le recenti proteste in Italia in seguito ai fatti di Castel Volturno (2008) e di Rosarno (2010) o ancora più vicino, le manifestazioni contro il razzismo che si sono svolte a Firenze (2011). La sistematica esclusione da alcuni aspetti della partecipazione alla vita pubblica della società di accoglienza ha

34

Ad esempio, i lavoratori provenienti da paesi in cui vi erano lotte contro i colonizzatori e i dittatori, utilizzavano strumenti e metodi più radicali rispetto a coloro che ad esempio provenivano da territori in cui erano inseriti nel settore agricolo, che non erano socializzati al lavoro in fabbrica.

condotto alla formazione di nuove forme di coscienza e identità che influenzano le modalità del prendere parte (Giorgi 2010).

Le differenti mobilitazioni, più o meno violente e più o meno organizzate, segnalano la fuoriuscita dall’invisibilità dei cittadini non nazionali e la volontà di partecipare alla costruzione delle politiche. La diffusione di scioperi a livello nazionale organizzati in commistione fra organizzazioni autoctone e non, come lo sciopero del 1 marzo iniziato in Italia nel 2010 sulla scia del movimento francese 24

h sans nous o l’iniziativa L’Italia sono anch’io organizzata da 19 associazioni fra

cui Caritas e Arci: sono il sintomo di questa volontà del prendere parte come soggetti attivi e di una maggiore sensibilizzazione da parte degli autoctoni sui temi riguardanti la partecipazione di individui che comunque partecipano al tessuto sociale ed economico della propria città.

Nonostante l’importanza delle mobilitazioni etniche, soprattutto per l’impatto sull’opinione pubblica del contesto di accoglienza, per la capacità di coinvolgimento

di differenti organizzazioni nazionali, internazionali e non nazionali,

l’associazionismo continua ad essere considerato lo strumento principe di canalizzazione degli interessi dei cittadini non nazionali, in particolare, non comunitari. Le associazioni sono figlie delle società contemporanee altamente differenziate, caratterizzate dalla rottura dei forti vincoli familiari e comunitari tipiche delle società moderne e pre-moderne. È come se questi attori del privato

sociale rispondessero all’esigenza dell’individuo sradicato della società

contemporanea, di sentirsi parte di un gruppo che condivide stesse idee e valori: in questo senso, le associazioni forniscono un sostegno all’identità personale (La Valle 2005). «L’associazionismo rappresenta un meccanismo di “bilanciamento” della rottura e diversificazione di precedenti legami sociali di appartenenza, in vista della costituzione di nuovi legami, connessioni, consociazioni […]. L’associazione quindi nasce dalla solidarietà e produce solidarietà, ma nello stesso tempo nasce da dissociazione e produce mutamento e conflitti» (Donati, 1996, pp. 392-393).

Come evidenziato da Fennema e Tillie (2004), le associazioni possono svolgere la funzione di cinghia di trasmissione della partecipazione dei cittadini non nazionali nelle società di accoglienza. In questa prospettiva si sviluppa una relazione positiva tra impegno associativo e l’interesse nei confronti della vita politica. Nei territori in cui vi è un denso e strutturato tessuto associativo immigrato, le associazioni svolgono un ruolo di socializzazione alla sfera civica essenziale per lo

sviluppo di un processo di integrazione. Infatti, anche se le associazioni si occupano di attività indirizzate a promuovere la cultura di origine, esse devono entrare in relazione con le istituzioni locali, favorendo lo sviluppo di un capitale sociale costituito da legami deboli che possono svolgere un ruolo cruciale per avvicinare i cittadini non nazionali alla dimensione civico-politica.

Al fine di analizzare l’associazionismo, declinato nell’ambito della partecipazione politica dei cittadini non nazionali, è necessario distinguere fra associazioni di e per immigrati35 (Recchi 2006) e fra associazioni comunitarie e non comunitarie: distinzioni che necessariamente si riflettono sulle attività messe in campo dall’organizzazione associativa. Esistono differenti ricerche caratterizzate dal tentativo di classificare le associazioni sulla base degli obiettivi, delle caratteristiche interne, organizzative o in relazione ai fattori istituzionali. In questo lavoro, appare funzionale agli scopi di ricerca, la differenziazione operata sulla base degli obiettivi. Vi sono associazioni di tipo «caritatevole», orientate alla prestazione di servizi relativi alla prima accoglienza. Associazioni con una mission «rivendicativa», che si occupano della tutela dei diritti; di tipo «imprenditivo» rivolto ad un’organizzazione di tipo cooperativo, insieme ad altri attori locali, per l’erogazione di una serie di servizi che riguardano diversi aspetti della fase di inclusione sociale. (Ambrosini 2005). Al fine di arricchire il panorama associativo si individuano anche attori del privato sociale di tipo «culturale», orientati alla promozione dell’intercultura, oltre a un associazionismo «missionario», che racchiude le ONG e le organizzazioni rivolte alla solidarietà internazionale (Recchi 2006).

Il coinvolgimento in associazioni da parte dei cittadini non nazionali rappresenta una domanda di partecipazione (ibidem). La struttura delle opportunità politiche, sia locale sia nazionale, della società di accoglienza influenza inevitabilmente la configurazione e l’efficacia dell’azione delle associazioni (Layton- Henry 1990; Danese 2003). Infatti, non in tutti i contesti l’associazionismo ha la stessa rilevanza, fattore che dipende sia dalla cultura civico-politica del territorio, sia dalla presenza di opportunità politiche differenti (Cinalli, Giugni e Nai 2010). Inoltre, al pari delle mobilitazioni etniche, l’associazionismo cambia a seconda dei territori e dei mutamenti storico-sociali in relazione alle caratteristiche dei flussi

35Le associazioni di immigrati nascono dall’impulso delle stesse comunità non nazionali presenti nella

società di accoglienza e possono avere una composizione di tipo mono-nazionale o plurinazionale, mentre le associazioni per immigrati sono costituite da autoctoni che indirizzano le proprie attività ai

migratori. Studi comparati (Layton-Henry 1990) mostrano che durante la fase in cui il modello di migrante più diffuso era quello del lavoratore ospite, nel paese di accoglienza vi era la presenza di associazioni trapiantate, ovvero espressione di attori collettivi dei paesi di origine, sia di tipo religioso che politico. Le associazioni di stampo politico erano prevalentemente rivolte alla lotta contro i regimi dittatoriali presenti nei paesi di origine, utilizzando fra gli strumenti la sensibilizzazione al tema nel paese di accoglienza. In seguito alla diversificazione delle figure di migrante cambia la configurazione delle associazioni, dirette, in particolare, a scopi di tipo culturale, al mantenimento e diffusione della propria cultura di appartenenza. In seguito alla maturazione dei progetti migratori e alla sedentarizzazione dei flussi, nascono associazioni portatrici di diversi interessi e obiettivi (Martiniello 1992), portando poi alla formazione di associazioni plurinazionali. In Italia, molte di queste associazioni erano sostenute dai sindacati e dalle organizzazioni cattoliche, iniziando a fondare le basi per la cooperazione fra autoctoni e non nazionali che contribuirono alla formulazione della Legge 943/1986 (Carchedi 2000). In Spagna l’associazionismo è ancora più recente a causa di fattori istituzionali che hanno impedito, durante il franchismo, la possibilità di godere del diritto di associazione (cfr.§ 3.3).

Nei due paesi mediterranei si assiste una proliferazione di studi su questo tema, soprattutto in riferimento alla partecipazione politica dei non nazionali, sia in termini di strumento in grado di favorire l’integrazione partecipe dell’individuo. L’associazionismo di stranieri risente ancora di una discreta debolezza organizzativa, soprattutto quello mononazionale è caratterizzato da un’alta volatilità e da una natura informale (Carchedi 2000; De Lucas Martín et al. 2008) anche se, con la Legge 39/1990, si è arrivati ad una maggiore regolazione di queste forme organizzative. Infatti, l’istituzione dell’albo regionale e l’attribuzione alle Regioni della possibilità di poter erogare fondi da destinare alle associazioni di immigrati incentivò questo tipo di partecipazione e una sua maggiore strutturazione. In un certo senso, la nuova struttura delle opportunità politiche favorì la proliferazione delle associazioni, che furono poi incanalate, in alcuni contesti locali, dalla creazione di Consulte e Consigli per gli stranieri da cui sono esclusi i cittadini comunitari e neo-comunitari.

Outline

Documenti correlati