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Due paesi dell’Unione Europea, due modelli differenti di democrazia

Parte II I risultati dell’indagine empirica

Capitolo 5 –L’analisi delle interviste

5.1 Il punto di partenza: la cultura politica del paese di origine

5.1.1 Due paesi dell’Unione Europea, due modelli differenti di democrazia

Germania e Romania, pur facendo parte della stessa comunità sovranazionale si distinguono notevolmente fra loro per quanto riguarda la cultura democratica di cui sono portatori e per la differente storia migratoria. Secondo il report effettuato da

The Economist Intelligence Unit sulla democrazia (2011) basato su cinque

indicatori78utili a fornire un’istantanea dello stato della democrazia mondiale, soltanto l’11,3% della popolazione mondiale vive in una full democracy, in cui vi è la garanzia di elezioni libere, una cultura politica che supporta la democrazia, un buon livello di partecipazione politica e la presenza di un governo efficiente. Nell’Europa occidentale sono quindici i paesi che rientrano nella definizione di full

democracy (su un totale di venticinque), la Germania si colloca al quattordicesimo

posto. Gli Stati che segnalano un deficit di performance su uno o più indicatori considerati, le cosiddette flawed democracy, sono cinquantatré a livello mondiale di cui quattordici nell’est Europa: la Romania rappresenta uno dei casi di “democrazia difettosa” occupando il cinquantanovesimo posto su scala globale. Il report segnala come i nuovi Stati dell’UE abbiano gli stessi livelli di libertà civili e politiche degli altri membri, tuttavia vi è scarsa partecipazione politica e una cultura politica poco sviluppata e non sufficiente a supportare la democrazia.

Il 1989 è stato, per entrambi i paesi, e non solo, un momento cruciale di svolta. Il sostegno diffuso alla democrazia da parte sia della classe politica sia della

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Il report è disponibile alla pagina web:

popolazione, la realizzazione di una compiuta democrazia dell’alternanza, l’elevato grado di stabilità politica esibita dalla Repubblica federale negli ultimi sessant’anni, assieme ai risultati in campo economico e politico (primo fra tutti la riunificazione delle due Germanie) fanno del sistema politico tedesco una «democrazia riuscita» (Wolfrum 2006). L’abbattimento del muro di Berlino è stato un momento storico di fondamentale importanza non solo per la nuova Germania unita, ma per tutti i paesi dell’Europa segnando la fine della divisione dell’Europa in blocco comunista e blocco occidentale. Nel dicembre dell’‘89 la Romania è stata protagonista di una rivoluzione violenta che portò alla fine della dittatura comunista di Ceauşescu, momento dal quale è iniziato un lento e tortuoso processo di sviluppo del sistema politico verso la democrazia. Se per la Germania il 1989 ha rappresentato il coronamento di una «storia di successo», con l’estensione del sistema politico della Germania occidentale alla Germania orientale (Dalton 1993; Sontheimer 1999) per la Romania si può parlare legittimamente di «rivoluzione mancata».Dopo un primo momento di euforia per la fine del regime dittatoriale di Ceauşescu, appare da subito evidente che le strutture politiche ed economiche restano per lo più le stesse (Perrotta 2011). Se in Romania il partito comunista è effettivamente sparito dalla scena politica gli ex-comunisti sono rimasti al governo fino al 1996 e dal 2000 al 2004.

La storia migratoria dei due paesi dell’UE differisce significativamente. Al pari dell’Italia, la Germania è stata per lungo tempo un paese di emigrazione: dei 50 milioni di stranieri che arrivarono negli Stati Uniti fra il 1820 e il 1960, il 14% erano tedeschi. Verso la fine del XIX secolo, la Germania iniziò a investire in maggior misura nel settore industriale piuttosto che agricolo favorendo una migrazione interna dall’est verso le città dell’ovest. In questi anni, la mobilità interna al territorio tedesco iniziò a registrare tassi superiori rispetto ai flussi di uscita in direzione degli USA. Tuttavia, solo nel periodo seguente alla Seconda Guerra Mondiale, in conseguenza della ristrutturazione dell’economia tedesca, la Germania divenne una delle principali destinazioni di immigrazione in Europa e uno dei maggiori luoghi di reclutamento di lavoratori stranieri. Tra il 1950 e il 1975, la popolazione straniera residente nel paese crebbe in modo esponenziale (Castles e Miller 2003). Per lungo tempo, la Germania rifiutò di essere considerata un paese di immigrazione, con conseguenze che si riflettono tutt’oggi sullo status degli stranieri presenti nel territorio e su una concezione della cittadinanza fondata sul principio dello ius

a livello legislativo in direzione di una combinazione fra i principi dello ius

sanguinis con lo ius soli, cambiamento che rappresenta l’accettazione da parte della

Germania della sua caratteristica di paese di immigrazione.

Differente la storia migratoria della Romania, che durante il periodo della dittatura comunista era essenzialmente chiusa ai flussi di migranti, anche se vi era la presenza di alcune minoranze etniche semi-stanziali specializzate nel piccolo commercio (Cingolani 2009). Durante gli anni Ottanta, il paese sperimenta per un breve periodo alcune forme di migrazione transfrontaliera con i territori confinanti nel settore del commercio informale, esperienza che favorisce una mobilità interna dalle zone rurali a quelle industriali. Queste forme di mobilità si sono poi trasformate in migrazioni internazionali di breve o lungo periodo. Gli anni successivi alla rivoluzione dell’‘89 furono piuttosto difficili per la società rumena. Iniziò la migrazione interna dalle zone urbane a quelle rurali e il grande esodo di massa dalla Romania verso gli altri paesi europei. Diminiescu (2003) individua tre momenti cruciali della mobilità romena: il primo (dal 1990 al 1994) coinvolge in particolare le minoranze già presenti nel territorio tra cui tedeschi, ungheresi ed ebrei che lasciarono il paese in continuità con le politiche di purificazione nazionale del Governo di Ceauşescu. Il ritorno delle minoranze nei propri paesi di provenienza fu il ponte per i romeni che iniziavano ad emigrare per motivi di lavoro verso la Germania e Israele. La migrazione verso questi paesi diminuì nella metà degli anni Novanta, in conseguenza dell’attuazione di politiche più restrittive nei confronti dei nuovi ingressi e delle presenze irregolari. Si entra così in una seconda fase della migrazione internazionale romena (tra il 1994 e il 2000) in corrispondenza della progressiva omogeneizzazione delle politiche migratorie comunitarie e all’acuirsi della crisi economica in Romania, conseguenza dell’eredità del vecchio regime e delle politiche attuate dai nuovi dirigenti. La profonda crisi incentivò la mobilità dei cittadini (Perrotta 2011). I flussi di individui, inizialmente orientati verso i paesi confinanti, si dirigono verso l’Europa meridionale costituita dall’Italia, la Spagna, la Grecia e il Portogallo. La maggioranza dei migranti di questo periodo provenivano dalle regioni rurali della Romania (Cingolani 2009) e sfruttavano la porosità delle legislazioni nazionali entrando per lo più clandestinamente nella speranza di incorrere in una sanatoria per regolarizzare la propria posizione: si tratta, in particolare, dei flussi diretti verso la Spagna e l’Italia, paesi caratterizzati da una tardiva legislazione nel settore dell’immigrazione. Gli anni Novanta sono

caratterizzati dall’emigrazione dei cittadini romeni che rappresenta non solo un processo sociale ed economico, ma anche un «potente ma silenzioso sciopero nei confronti di una classe politica incapace di garantire livelli di vita decenti e di lasciare spazio a una partecipazione reale nella vita politica» (Sacchetto 2004, p. 173). La crisi romena degli anni Novanta non fu solo economica, ma anche politica. Le ricerche di Heller (1998) mettono in evidenza la forte discrasia tra aspettative e risultati da parte dei cittadini, segnalando l’abbassamento degli standard di vita rispetto al periodo del regime comunista. La terza fase dell’emigrazione romena si registra dal gennaio 2002 con l’abolizione del visto per entrare nello spazio Schengen e culmina con l’ingresso della Romania nell’UE, che ha costituito il passo decisivo per la libera circolazione. Nonostante l’adesione all’UE abbia rappresentato il punto di svolta per i romeni mobili è interessante notare come per i cittadini tedeschi più che per i romeni la libera circolazione è uno degli elementi più importanti raggiunti con l’Unione Europea (Recchi 2012).

La crisi economica internazionale e le conseguenze politiche e sociali che ne sono derivate hanno portato delle trasformazioni che stanno intaccando la tradizionale stabilità del sistema politico internazionale, così come dimostrato dalle analisi sui risultati elettorali degli ultimi anni. Sembra, infatti, che anche la Germania sia interessata da un aumento dell’astensionismo (intorno al 30%) e dalla volatilità elettorale sintomo di un indebolimento di fiducia nel tradizionale sistema partitico e del continuum destra e sinistra, che sembra non rappresentare gli interessi dell’elettorato: da un sistema bipolare, l’arena politica si sta allargando verso il multipartitismo, in cui i partiti rilevanti sono cinque (D’Ottavio 2005).

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