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I reperti anatomo-patologici della spalla rigida re- frattaria che si possono riscontrare in artrosco-

pia sono: una sinovite reattiva all’intervallo dei ro- tatori, la capsula articolare ispessita e poco ela- stica, lo spazio articolare gleno-omerale ridotto e contratto che determina difficoltà ad entrare in articolazione con l’artroscopio, anche l’anatomia artroscopica dei legamenti gleno-omerali è alte- rata, poiché risultano come un vero muro di col- lagene. Il recesso ascellare e quello posterosu- periore sono obliterati e ridotti di volume. Opzioni chirurgiche in corso di release artrosco- pico capsulare (18):

• sezione del legamento coraco-omerale alla ba- se del processo coracoideo;

• liberazione della capsula posteriore;

• sezione del sottoscapolare al fine di migliora- re la rotazione esterna;

Zanotti et al. hanno dimostrato che il release cap- sulare artroscopico è una procedura sicura, tro- vando una distanza di circa 7.04 mm dal nervo ascellare, di 8.2 mm dall’arteria circonflessa po- steriore, e di 15.9 mm dall’arteria brachiale (19).

trattaMento artroSCoPiCo deSCritto daGli autori

Gli Autori prediligono il decubito laterale, in anestesia combinata: blocco interscalenico e anestesia generale. L’arto interessato viene ab- dotto di circa 50° ed anteposto di 15°, concomitante allestimento di campo sterile. Il ROM preopera- torio della spalla viene valutato prima dell’ar- troscopia come parte dell’esame in narcosi. Si procede cautamente con il primo portale stan- dard, il posteriore, poiché entrare in una spalla rigida può essere difficoltoso e traumatizzante per le strutture intra-articolari causando un danno cartilagineo della testa omerale e della glena.

Seguendo la tecnica standard, si crea un porta- le anteriore per accedere all’intervallo dei rota- tori sotto visione diretta dal portale posteriore. Un’artroscopia diagnostica viene eseguita allo sco- po di individuare tralci fibrotici intra-articolari, fibrosi diffusa, sinovite reattiva, lesioni cartila- ginee o eventuali lesioni della cuffia. L’intervallo dei rotatori è chiuso da tessuto fibrotico e può na- scondere il margine superiore del sottoscapola- re. Il processo coracoideo vene liberato supero- lateralmente con le radiofrequenze e il lega- mento coraco-omerale viene sezionato. La libe- razione da aderenze e della fibrosi continua la- teralmente, allo scopo di migliorare l’extrarota- zione, aprire l’intervallo dei rotatori e facilitare l’accesso intra-articolare.

Il release capsulare circonferenziale inizia nella parte anteriore della capsula con l’utilizzo di ra- diofrequenza mantenendosi a circa 1 cm dal bordo osseo glenoideo avendo cura di cauterizzare i bordi capsulari sezionati.

Si inizia antero-superiormente sezionando il LGOM procedendo distalmente alla sezione del- la banda anteriore dell’LGOI. A questo punto si invertono i portali posizionando l’ottica che di- venta antero-superiore e quello di lavoro, poste- riore. La capsulotomia procede con una pinza da basket da 3.2 mm e strumento a RF procedendo distalmente verso la banda posteriore dell’LGOI ricongiungendosi alla lisi anteriore.

Nella release della porzione postero-superiore del- la glenoide, bisogna prestare attenzione al ner- vo sovrascapolare, che decorre all’interno dello

spino-glenoid notch a circa 19 mm medialmente

Con un ago da spinale si identifica l’ingresso mi- gliore per un eventuale portale accessorio po- sterolaterale utile in caso di scarsa distrazione ar- ticolare. Con la cannula di lavoro nel portale po- sterolaterale e l’ottica in quello posteriore si ha una completa visualizzazione del recesso ascel- lare. Con una pinza a basket si può continuare, se necessario, la resezione della capsula dal pic- colo rotondo, con particolare attenzione in que- sta fase al nervo ascellare, che decorre nello spa- zio quadrilatero. Tipicamente è localizzato alla giunzione del terzo anteriore e medio del reces- so capsulare inferiore.

ProtoCollo riabilitatiVo utiliZZato deGli autori

Lo scopo primario della fisioterapia è quello di mantenere il ROM acquisito dopo l’intervento. La riabilitazione post-operatoria deve essere strut- turata in 4 fasi: early motion, active motion, stren-

gthening e advanced strengthening.

Viene utilizzato un tutore in abduzione di 15° per 10 giorni raccomandando di iniziare le mobiliz- zazioni passive già in prima giornata post-ope- ratoria.

A 3 settimane sono indicate sedute di idrokine- siterapia da alternare alle manipolazioni “a sec- co”, senza superare le due-tre sedute a settima- na. A 4 settimane si iniziano esercizi attivi di man- tenimento e recupero del tono-trofismo muscolare. Per il completo recupero delle attività sarà ne- cesssario comunque attendere qualche mese, in fondo lo scopo dell’intervento è quello di conse- gnare al terapista una spalla mobile ed elastica evitando la ripresa della fibrosi e/o ricicatrizza- zione capsulare.

ConCluSioni

La rigidità di spalla rimane ancora oggi una con- dizione difficile da trattare. Le cause della perdita della mobilità sono varie, ma la spalla rigida pri- maria idiopatica è quella di maggior riscontro. Le caratteristiche principali risiedono nella limita- zione del ROM passivo, in particolare con grave perdita della rotazione esterna, reperto da cor- relarsi all’ispessimento capsulare dell’intervallo dei rotatori e del legamento coraco-omerale. Per questa ragione molte tecniche chirurgiche si fo- calizzano maggiormente sulla resezione di que- ste strutture, piuttosto che sulla restante capsu- la articolare.

Per ottenere il recupero pressoché completo su tut- ti i piani, alcuni Autori sostengono i benefici di un’artrolisi circonferenziale completa (20-22), altri

non ritengono necessario procedere alla lisi del- la capsula postero-inferiore reputando la proce- dura complessa per la stretta vicinanza al nervo ascellare (23,24). Chen, ha eseguito uno studio ran-

domizzato dividendo la popolazione in un grup- po sottoposto a sola capsulotomia anteriore e il secondo gruppo ad artolisi circonferenziale com- pleta, concludendo che la funzione della spalla e il range di movimento della spalla erano uguali a 6 mesi (25).

Tao, nel suo lavoro, sottolinea l’importanza del- la neurolisi e decompressione del nervo ascella- re come procedura da associare all’artolisi cir- conferenziale (20). Secondo gli Autori questa non

è una tecnica da raccomandare se non in casi par- ticolari, prima valutati all’imaging e in mani esperte.

cessità di una capsulotomia artroscopica cir- conferenziale per la spalla rigida refrattaria al trattamento conservativo.

Le review sistematiche non sono in grado di di- mostrare la superiorità dello sblocco in narcosi con mobilizzazioni e l’artrolisi artroscopica. Grant et al(26)in particolare non hanno osserva-

to differenze tra le due tecniche a confronto. Le mobilizzazioni in narcosi sono facilmente ese- guibili e con dispendio di poco tempo.

L’artrolisi artroscopica è una tecnica complessa e con rischio di danno al nervo ascellare se non eseguita da esperti. Una combinazione delle due tecniche prevedendo un’artrolisi parziale e cau- te mobilizzazioni, sembrerebbe l’alternativa mi- gliore. Ciò ridurrebbe il rischio di complicanze del- le manipolazioni grazie a minor forza richiesta. Non esiste, però, evidenza per queste procedure combinate, ma viene suggerita per i pazienti dia- betici (23).

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deFiniZione

La tendinopatia calcifica della spalla si estrinseca con un dolore acuto o cronico ed è caratterizzata dalla presenza di depositi di calcio all’interno o in- torno i tendini della cuffia dei rotatori. Nel 1872 Du- play (1)per primo descrisse questa patologia che

chiamò “periartrite dolorosa della spalla”. Nel 1934 Codman (2)nel suo libro descrisse i depositi di cal-

cio nei tendini della cuffia dei rotatori. Il termine “tendinite calcifica” fu probabilmente per primo co- niato da Plenk (3)nel 1952. L’incidenza varia dal 2,7%

al 20%, come riportato da vari autori (4,5).

La tendinopatia calcifica della spalla è una ma- lattia multifocale mediata da cellule in cui la tra- sformazione metaplasica di tenociti in condroci- ti induce una consequenziale calcificazione al- l’interno del tendine. Questa fase è seguita da una fagocitosi delle aree meta-plasiche nei tendini da cellule giganti multinucleate. Alla fine, general- mente, il tendine rimodella e riforma un tendine normale (7).

Sulla genesi della patologia dobbiamo considerare anche ipotesi di predisposizione genetica (11).

Le due teorie etiologiche più accreditate sono la teoria degenerativa, proposta da Refior (12)che evi-

denzia similitudini con le lesioni degenerative del- la cuffia dei rotatori, e la teoria multifasica di Uthoff e Loehr (13), che suggerisce che i depositi

di calcio nel tessuto sia seguita da riassorbimento spontaneo dei depositi di calcio (processo cellu-

le-mediato). Lo stesso Uthoff descrisse le tre fa- si del processo: pre-calcifica, calcifica (divisa in 3 sottofasi: formativa, in riposo e riassorbitiva) e post-calcifica.

ClaSSiFiCaZione

Sono state proposte molte classificazioni di ten- dinopatia calcifica di spalla. DePalma (14)ha clas-

sificato le tendinopatie calcifiche in due tipi: - Tipo 1: soffice ed amorfo;

- Tipo 2: definito ed omogeneo

Le calcificazioni di tipo 1 erano particolarmente comuni in pazienti con sintomatologia dolorosa acuta, ed il tipo 2 particolarmente osservate nei pazienti con sintomatologia cronica.

La Società Francese di Artroscopia definì 4 tipi di depositi calcifici (8):

- Tipo A: che appare denso ed omogeneamente de- lineato;

- Tipo B: omogeneamente delineato, denso ed a frammenti multipli;

- Tipo C: apparenza disomogenea e morbida; - Tipo D: calcificazioni distrofiche all’inserzione

tendinea.

Gartner (15)propose una classificazione basata sul-

la correlazione con il riassorbimento dopo esse- re punta l’ago.

- Tipo1: depositi bruscamente delineati e densa-

definizione e classificazione