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2. Roma e la Sardegna

2.2. Le fortificazioni romane della Sardegna

2.2.1. Le strutture fortificate della Romània

2.2.1.1. Carales

La città romana di Carales, con grande probabilità sede del governatore provinciale224, venne

impiantata nel II secolo a.C.225, dunque a seguito della conquista da parte di Roma dell’isola, nell’area

compresa tra le odierne Piazza del Carmine e Via XX Settembre226, poco più a sud-est rispetto alla Krly

punica (fig. 23)227.

A questo slittamento urbanistico contribuirono principalmente fattori geologici, quali l’orientamento delle falde superficiali, gli sbocchi di quelle sotterranee, il sottosuolo maggiormente adatto a supportare il peso dell’espansione cittadina, oltre alle conseguenti migliorie, in termini di qualità e quantità, della viabilità che collegava il centro col territorio extraurbano228.

Della Cagliari di età romana si conosce una sola menzione di porta urbica (app. I, C.1.1.), la cosiddetta “Porta Karalitana” di cui sfugge allo stato attuale delle ricerche la collocazione antica. In realtà c’è chi manifesta dubbi sulla sua antica esistenza, tramandata forse erroneamente in seguito alla corruzione medievale di un testo in cui compariva l’espressione originale “Portus (maris) Caralitanae civitatis”229.

224 Zucca 1994, p. 860.

225 Ghiotto 2016b, p. 110; De Vincenzo 2016, pp. 124-125. 226 Colavitti 1994, p. 1026.

227 Zucca 1994, pp. 858-859: il foro, centro amministrativo, commerciale e religioso delle città romane, occupava

l’area dell’attuale Piazza del Carmine.

228 Colavitti 1994, pp. 1026-1027.

229 Spanu 2000, p. 54; Ghiotto 2004, p. 23.

Figura 23. Krly punica (in rosso) e Carales romana (in blu) a confronto (immagine tratta da Greco 2002-2003, p.240 e rielaborata dall’autrice).

58 La città venne presumibilmente dotata nel II secolo a.C. di una possente cinta muraria, la stessa che nella seconda metà del I secolo a.C. venne messa a dura prova da Menodoro, il generale inviato per conto di Sesto Pompeo. Di questo primo apparato difensivo nulla è rimasto230.

Giovanni Lilliu nel 1948 mise in luce nei pressi di via XX Settembre i resti di quello che egli definì come un tratto delle mura (app I, A.) che cingevano Carales in epoca tardoantica (fig. 24). Dagli scavi emersero a 5,5 metri di profondità (rispetto al piano di calpestio della metà del secolo scorso) “tre camicie”, ovvero tre linee murarie parallele tra loro, realizzate in blocchi parallelepipedi di “tufo calcareo giallognolo” e costituenti un'unica cinta di 12 metri di spessore. La camicia più esterna delle tre, in relazione alla città romana che si sviluppava ad ovest, conservata per una lunghezza di 11 m, un’altezza di 1,35 m e uno spessore di 2 m, constava di doppio paramento murario e riempimento di terra e scaglie (app. II, L.). Il paramento rivolto verso l’area extraurbana, dunque quello visibile a chi si avvicinava e faceva ingresso nella città, poggiava direttamente sul banco sabbioso ed era stato eretto mediante l’utilizzo di blocchi squadrati di dimensioni maggiori (fino a 2x1.15 m) rispetto a quelli usati per erigere le altre due camicie.

Il paramento murario rivolto verso la città poggiava su un “velo di terriccio” sovrapposto al bancone sabbioso. La seconda camicia ovvero quella mediana, conservatasi per una lunghezza di 14 m ed uno spessore di 1,10 m, poggiava anch’essa direttamente sul bancone sabbioso e, mediante la sporgenza ad intervalli regolari dei blocchi che costituivano il suo filare di base, era strettamente ammorsata col paramento interno della prima camicia. La terza camicia, quella più prossima all’abitato, conservatasi per una lunghezza di 9,72 metri e uno spessore di 5,36 m, era composta da due paramenti murari: il primo di questi, rivolto verso le altre camicie, era stato eretto con l’uso di “blocchi calcari quadrangolari di medie dimensioni (0.69x1.25x0.73 metri)”; il paramento murario rivolto verso la città poggiava direttamente su una risega alta circa 70 cm incisa nel banco calcareo che, a sua volta, sovrastava lo

230 Zucca 1994, p. 860; Ghiotto 2004, p. 24.

Figura 24. Strutture messe in luce lungo Via XX Settembre (da Lilliu 1950, tav VII, n°2).

59 strato di sabbia marina. Infine, gli spazi creatisi fra le tre camicie erano stati colmati con abbondante materiale di riporto, tra cui terra, sabbia, schegge e cocciame vario di III-II secolo a.C.231. Poiché è parso

che le tre camicie murarie tagliassero alcuni loculi della vicina necropoli dei classiari in uso nel I secolo a.C., Lilliu sostiene di poter datare il tratto di cinta muraria individuato in via XX settembre ad un periodo posteriore al I secolo a.C.. Anna Maria Colavitti conferma la coesione delle tre camicie murarie, realizzate in opera isodoma (app. I, I.3.1.) con blocchi perfettamente squadrati e messi in opera alternatamente di testa e di taglio, ma sostiene che gli elementi evidenziati non sono sufficienti per determinare una cronologia certa232. A tal proposito, potrebbero essere di aiuto le parole di Procopio,

dalle quali si deduce che la città si era mostrata munita di cinta muraria agli occhi delle truppe di Tzazo nel 533 d.C.233; Laddove i Vandali, una volta entrati in possesso dell’Isola, avessero optato per la

distruzione delle fortificazioni cittadine, Giustiniano le avrebbe certamente fatte riedificare in ragione del rinnovo urbanistico che egli avviò nel VI secolo d.C. in tutto l’impero234; ma l’attività di

rafforzamento delle difese, stando sempre alle parole di Procopio, non riguardò Karales. Si deve pertanto dedurre che la città venne fortificata prima della conquista vandala della Sardegna235.

2.2.1.2.

Nora

La città fenicio-punica situata presso il Capo di Pula (fig. 25) visse dalla conquista romana della Sardegna fino al II secolo a.C. un periodo tranquillo e prospero. I dati materiali non evidenziano alcuno

231 Lilliu 1950, pp. 681-684; Rowland 1981, p. 28; Ghiotto 2004, pp. 25-26. 232 Colavitti 2003, pp. 129-130.

233 Vedasi paragrafo 3.1. 234 Ghiotto 2004, pp. 26.

235 Pani Ermini 1988, pp. 310-311; Ibba 2010, pp. 389-391; Rocca 2015, p. 71, nota 216.

Figura 25: pianta della Nora romana con indicazione dei principali contesti monumentali, tra cui il foro (da Bonnetto, Ghiotto 2013, fig.1).

60 sconvolgimento di tipo culturale nel passaggio dalla dominazione punica a quella romana. Importanti cambiamenti avvennero invece nel periodo tardorepubblicano e si conclusero solo alla fine del I secolo a.C., quando, una volta elevata a rango di municipium, Nora si adeguò al nuovo status politico erigendo le strutture idonee necessarie per l’esercizio delle relative funzioni236.

Le recenti ricerche archeologiche hanno permesso di constatare che tra II e I secolo a.C. venne innalzata una cinta muraria a difesa dell’area centrale dell’abitato (app. I, A.1.1.), là dove sarebbe stato realizzato il complesso forense, ma in cui ancora erano presenti edifici abitativi e commerciali, nonché magazzini237.

Figura 26. Pianta del muro fortificatorio eretto a difesa dell’area centrale dell’abitato (da Bonetto, Ghiotto, Novello 2009).

Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto e Marta Novello hanno riportato alla luce alcuni segmenti di una struttura muraria poderosa che nel suo complesso era lunga probabilmente 60 m e che incorniciava l’area commerciale ed economica dell’abitato romano sul versante occidentale, meridionale ed orientale (fig. 26). I muri sono dotati di uno spessore pressoché uniforme che oscilla tra 0,80 e 1,30 m e sono stati tutti realizzati con la medesima tecnica, dati questi che avvalorano l’ipotesi secondo cui le evidenze archeologiche in questione siano state erette contemporaneamente e che costituiscano un'unica opera edilizia. Il tratto orientale segue una direzione di 10,5° N-O, virando poi ad angolo retto verso ovest in prossimità della linea di costa meridionale dell’istmo ed interrompendosi a causa dei tagli effettuati per la successiva costruzione del complesso forense; altri segmenti di cinta muraria si notano paralleli alla linea di costa, con orientamento approssimativo E-O; infine, con uno spigolo saliente, la cortina vira bruscamente verso nord238. Le fondazioni variano a

236 Bonnetto, Novello, Ghiotto 2009; Bonnetto, Ghiotto 2013, pp. 142-143. 237 Bonnetto, Ghiotto, Novello 2009, pp. Bonnetto, Ghiotto 2013, pp. 142-143. 238 Ghiotto 2004, p. 24; Bonnetto, Ghiotto, Novello 2009, pp. 208-209 e 223-243.

61 seconda che gli strati su cui le strutture difensive poggiano siano antropici o naturali: nel primo caso le strutture si impostano direttamente sui resti di edifici di epoca precedente; nel secondo caso le fondazioni sono state ricavate in una fossa praticata in un riporto di sabbia e argilla precedentemente effettuato per ovviare alle differenze della quota altimetrica di imposta. Gli alzati, per il poco che resta e che risulta visibile, vennero eretti con scapoli di areniti e blocchi andesitici di medie dimensioni (talvolta raggiungendo una lunghezza pari a 0,6 m) lavorati con regolarità sulla fronte e legati con argilla cruda. La cinta era munita di contrafforti perpendicolari interni, posti parallelamente e a distanze regolari tra loro, con la funzione di incrementarne la stabilità e la controspinta. Particolarmente interessante è la presenza di due setti paralleli tra loro addossati al versante esterno de tratto meridionale delle mura: questi designavano molto probabilmente un vano rettangolare, interpretabile come baluardo (app. I, B.), di 2,4 x 3,8 m che racchiudeva al suo interno un pozzo tardo- arcaico rimasto in uso239.

Bonetto, Ghiotto e Novello sostengono che la cinta muraria venne eretta ad inizio del I secolo a.C. e precisamente nel 77 a.C. quando, terminata la guerra civile tra Mario e Silla, Marco Emilio Lepido giunse in Sardegna con lo scopo di mettere in crisi le città filo-senatorie bloccando i loro traffici commerciali e le riforniture di grano verso la capitale240. Il governatore provinciale Gaio Valerio Triario

cercò di contrastare l’attività di Lepido respingendo il nemico con le “munitiones”; inoltre, per evitare di farsi trovare impreparato ad eventuali successivi scontri, Triario pare avesse fatto erigere la cinta muraria di Nora proprio a protezione del settore cittadino in cui si svolgevano le attività commerciali241.

Con la costruzione delle mura difensive non venne dunque alterata la funzione del quartiere di magazzini, botteghe ed abitazioni, ma esclusivamente protetta242. Una volta superato il difficile

periodo tardorepubblicano ed entrata nel clima della Pax Augustea, la città di Nora tra il 40 ed il 20 a.C. demolì la cinta muraria nonché le strutture abitative ed i magazzini fino ad allora protetti dalle stesse mura per far posto agli edifici del nuovo complesso forense243.

In passato Gennaro Pesce aveva ritenuto che fossero interpretabili come fortificazioni alcune strutture, da lui datate alla tarda età repubblicana, presenti sull’altura del Coltellazzo: si sarebbe trattato di una torre situata sulla cima del rilievo e di una torre che ne percorreva le pendici orientali. Il muro, che venne descritto munito di torri di avvistamento esterne ed interne, era spesso 4 metri ed era stato eretto con pietre di medie dimensioni legate con malta di fango; per il paramento murario esterno erano state messe in opera pietre di dimensioni maggiori, mentre il paramento interno prevedeva uno strato di malta di fango spesso circa 50 cm e steso per cementare meglio la muratura; setti trasversali

239 Ghiotto 2004, p. 24; Bonnetto, Ghiotto, Novello 2009, pp. 208-209 e 223-243. 240 Bonnetto, Ghiotto, Novello 2009, pp. 239-243; Ghiotto 2016, p. 763.

241 Bonnetto, Ghiotto, Novello 2009, pp. 239-243; Ghiotto 2016, p. 763. 242 Bonnetto, Ghiotto 2013, p. 142.

62 interni, ovvero pietre accuratamente messe in opera a secco e alloggiate in appositi tagli praticati nella roccia, incrementavano la stabilità della cinta244. Ultimamente si è messo in dubbio il ruolo di queste

opere e la loro cronologia, perciò è difficile al momento capire, in assenza di indagini sistematiche, se tra queste strutture e la cinta muraria tardorepubblicana sopra descritta vi fosse qualche connessione245.

2.2.1.3.

Sulci

Al I secolo a.C., come recentemente proposto da Anna Maria Colavitti e Carlo Tronchetti, apparterrebbero le testimonianze di strutture fortificate localizzate sul colle del Fortino sabaudo. Uno dei due saggi246 ivi condotti dagli studiosi poc’anzi nominati è stato condotto in un’area delimitata a

settentrione dal banco roccioso di vulcanite metamorfizzata, di cui si era già notata la particolare e caratteristica lavorazione antropica atta all’alloggiamento di blocchi squadrati, e a meridione da un altro setto murario con andamento est-ovest (fig. 10). L’analisi delle fosse di fondazione relative alle unità stratigrafiche murarie messe in luce (UUSSMM 2 e 8) hanno permesso di riconoscere elementi ceramici di fine II ed inizio I secolo a.C., pertanto l’allestimento murario in questione, al quale è stata inoltre attribuita una funzione difensiva, non può essere datato ad epoche anteriori247.

2.2.1.4.

Monte Sirai

A seguito della conquista romana dell’isola, avvenuta nel 238 d.C., i nuovi dominatori demolirono le fortificazioni dell’abitato di Monte Sirai che erano state erette dai punici nel IV secolo a.C.. Il materiale di risulta venne impiegato per la costruzione del nuovo insediamento romano, di aspetto totalmente differente248. Furono eretti nuovi sistemi di difesa, ovvero una cinta muraria e una torre, quest’ultima

in prossimità della struttura chiamata impropriamente Mastio (fig. 27).

244 Pesce 1972, pp. 105-106. 245 Ghiotto 2004, p. 25. 246 Colavitti, Tronchetti 2000, pp. 1321-1331. 247 Colavitti, Tronchetti 2000, pp. 1325-1327. 248 Bartoloni 2004, p. 60.

63 Per quanto concerne la cinta muraria, questa cingeva l’intera acropoli (app. I, A.1.2.) ed era formata dalle pareti degli edifici abitativi posti lungo il perimetro dell’abitato e addossati l’uno all’altro. Sui tetti piani delle case perimetrali che costituivano la cortina correva un camminamento di ronda. Le mura erano realizzate con scapoli lapidei legati da malta di argilla249 e seguivano un andamento spezzato: a

tal proposito non si può parlare di mura a cremagliera (app. I, A.2.3.), poiché la segmentazione del tracciato non era intenzionale, bensì era l’esito dell’adeguamento delle abitazioni alla morfologia del territorio250. Davanti alla cinta muraria e parallelamente a questa era stato costruito un muraglione

(app. I, D.) ad emplekton (app. II, L) lungo 43.50 metri circa, i cui paramenti mostrano la messa in opera di blocchi di pietra di medie e grandi dimensioni; i conci che costituivano il paramento esterno mostrano tracce di lavorazione della superficie251. Tra le due cortine fu scavato un fossato (app. I, E.)

che conferiva una maggiore altezza alle mura e al camminamento di ronda, facilitando le operazioni di difesa contro gli eventuali attaccanti252. L’ingresso all’acropoli (fig. 28) avveniva per mezzo di un

corridoio (app. I, C.3.2.) in lieve pendenza, dislocato sul lato Nord-occidentale del pianoro, davanti al settore dell’“opera avanzata”: questo era lungo circa 22 metri e aveva una forma di imbuto con larghezza massima di 3.40 m e minima di 2.95m. La presenza di un filare di pietre ai fianchi del corridoio di accesso fa presupporre che esso fosse fiancheggiato da due torri a pianta quadrata (app. I, B.1.2.)253.

Si inserisce tra le fortificazioni erette in questo periodo anche la Torre Cava che domina il Mastio, in posizione centrale rispetto all’abitato: questa, dotata di pianta rettangolare suddivisa internamente in

249 Bartoloni 1995, p. 211; Bartoloni 1995b, p. 106; Bartoloni 2004, p. 57-58.

250 Bartoloni 1995, p. 211; Bartoloni 1995b, p. 106; Bartoloni 2004, p. 57-58; Montanero Vico 2012. 251 Montanero Vico 2012.

252 Bartoloni 1995, p. 211; Bartoloni 1995b, p. 106; Bartoloni 2004, p. 57-58; Montanero Vico 2012. 253 Montanero Vico 2012.

Figura 28. Monte Sirai. Veduta dell’antemurale, del fossato, della cinta urbica e dell’ingresso nord-occidentale dell’abitato (da www.sardegnacultura.it).

64 sei vani dalla presenza di tramezzi, venne innalzata utilizzando alla base materiali di reimpiego, tra cui due menhirs e blocchi trachitici con risega e bugnato presumibilmente appartenuti a edifici punici254.

In definitiva, nonostante la letteratura archeologica abbia sempre messo in relazione l’abitato di Monte Sirai con il suo carattere militare, attualmente si può affermare che tale abitato fu di preminente connotazione civile e che solo per un breve periodo esso si dotò di strutture fortificate, ovvero nell’intervallo di tempo compreso tra la caduta della supremazia cartaginese e l’inizio della dominazione romana255.

La vita di Monte Sirai fu però assai breve: nel 110 a.C., improvvisamente ed inspiegabilmente, l’abitato fu abbandonato. Si può pensare che ciò accadde perché la popolazione si fosse data al brigantaggio; oppure è credibile che sia stata Roma a trasferire tutti gli abitanti dal pianoro sommitale di Monte Sirai verso una nuova sede meno difendibile in funzione antiromana256.

2.2.1.5.

Tharros

Il sistema di difesa eretto in epoca nuragica nella località di Su muru mannu (= il grande muro) e che aveva subìto nel VI secolo a.C. ristrutturazioni ad opera dei punici (fig. 11 e 12), vide ulteriori rimaneggiamenti ed ampliamenti in epoca romana. Sebbene recenti indagini abbiano consentito di stabilire che un tratto della cinta muraria venne realizzato nella seconda metà del IV secolo a.C.257, le

opere edilizie si concentrarono prevalentemente durante la media età repubblicana, attorno al II secolo a.C. quando il muro di cinta (app. I, A.), pertinente alla terza linea fortificata (fig. 12), venne restaurato e dotato di ha una struttura ad emplekton (app. I, L.): esso constava dunque di un paramento interno (rivolto verso l’abitato e quindi verso Sud), realizzato con pietre basaltiche di forma più o meno regolare e di pezzatura media, di un nucleo di pietre di arenaria e di un paramento esterno, costituito da blocchi poligonali di basalto e inserzione di qualche blocco squadrato di arenaria (App. II, I.1.)258. Delle due postierle aperte in epoca punica, una venne chiusa; nello stesso frangente fu scavato,

a ridosso del muro ad emplekton e parallelo ad esso, un fossato (app. I, E.) il cui terreno di risulta venne impiegato per la realizzazione del coevo terrapieno (app. I, F.) poco più a valle, munito di controscarpa ed eretto con blocchi poligonali (App. II, I.1.) di basalto messi in opera a secco (fig. 29)259.

254 Ghiotto 2004, pp. 26; Bartoloni 2004, pp. 68-72; Montanero Vico 2012. 255 Bartoloni 2004, p. 64.

256 Bartoloni 2004, p. 60. 257 Colavitti 2003, p. 128.

258 Barreca 1986, pp. 282-287; Acquaro 1988, pp. 80-82; Acquaro, Finzi 1986, pp. 38-45; Acquaro, Aubet, Fantar

1993, pp. 121-123; Moscati 2000, pp. 291-292; Stiglitz 2004, p. 68; Mastino 2005, p. 265; Ghiotto 2004, pp. 23- 27, 30; Montanero Vico 2012.

259 Barreca 1986, pp. 282-287; Acquaro 1988, pp. 80-82; Acquaro, Finzi 1986, pp. 38-45; Acquaro, Aubet, Fantar

1993, pp. 121-123; Moscati 2000, pp. 291-292; Stiglitz 2004, p. 68; Mastino 2005, p. 265; Ghiotto 2004, pp. 23- 27, 30; Montanero Vico 2012.

65 Nel I secolo a.C. è attestata una fase di abbandono di queste strutture contraddistinta dal riempimento del fossato; tale area venne inoltre utilizzata nel secolo successivo come luogo di deposizioni260.

Per tre secoli la cittadina rimase sprovvista di sistemi di difesa, fino a quando tra III e inizio del IV secolo

d.C. vennero erette strutture fortificate sul Colle di San Giovanni (fig. 30, 31 e 32), in un settore che si ipotizza essere stato già munito di opere fortificatorie in epoca punica261: su di un pianoro roccioso,

opportunatamente livellato con tagli e riporti di terreno, sono presenti i resti di una struttura, con tutta probabilità una torre a pianta rettangolare e absidata su un lato corto (app. I, B.1.1.), impostata su un basamento di pianta quadrata (fig. 30 e 31); tale piattaforma era composta da tre assise sovrapposte

260 Barreca 1986, pp. 282-287; Acquaro 1988, pp. 80-82; Acquaro, Finzi 1986, pp. 38-45; Acquaro, Aubet, Fantar

1993, pp. 121-123; Moscati 2000, pp. 291-292; Stiglitz 2004, p. 68; Mastino 2005, p. 265; Ghiotto 2004, pp. 23- 27, 30; Montanero Vico 2012.

261 Ghiotto 2004, p. 26.

Figura 29. Veduta del fossato romano foderato a nord dalla cinta muraria e a sud dal muro di controscarpa (da www.Tharros.sardegna.it).

Figura 30. Resti dell’ipotetica torre sul colle di San Giovanni (da Barreca 1968, p. 64).

Figura 31. Resti dell’ipotetica torre sul colle di San Giovanni (da Barreca 1986, p. 64).

66 di blocchi di arenaria squadrati e bugnati (gli studiosi ipotizzano essere stati precedentemente impiegati per la realizzazione di opere puniche), reciprocamente bene ancorati tramite inserimento di grappe lignee (poi stuccate per ovviare al problema del deterioramento) di forma “a farfalla” alloggiate entro incassi a coda di rondine presenti sui piani di posa dei conci perimetrali262. Nei pressi

dell’ipotetica torre affiorano dal terreno poderosi tratti di cortina muraria (fig. 14 e 32) a cremagliera (app. I, A.2.43.) con struttura ad emplekton (app. II, L.).

La datazione delle opere appena enunciate è ancora dibattuta: Alfonso Stiglitz263 sostiene che le mura

si debbano far risalire all’epoca imperiale; per Dario Giorgetti264 sarebbero da attribuire ad un periodo

non anteriore al III secolo d.C., facendole rientrare nella politica militare di Aureliano; Letizia Pani Ermini265 suggerisce la tarda epoca imperiale, mettendo in

relazione la cura mediante cui il torrione venne eretto con l’esigenza di migliorare e/o incrementare le difese contro il nuovo pericolo proveniente dall’africa; Pier Giorgio Spanu266 non esclude che le strutture in questione possano

risalire all’età proto-bizantina, in quanto dall’autopsia attenta delle evidenze archeologiche si evince che proprio i tratti delle mura, a differenza della torre sopra citata, vennero innalzati in maniera frettolosa e poco attenta, caratteristica questa delle opere edilizie giustinianee. Anche David Montanero Vico267 propende per datare le

strutture al VI secolo d.C., periodo in cui nel Mediterraneo occidentale vennero realizzate nuove strutture difensive con materiale di reimpiego.

262 Barreca 1986, pp. 282-287; Acquaro 1988, pp. 80-82; Acquaro, Finzi 1986, p. 63; Acquaro, Aubet, Fantar 1993,

pp. 121-123; Moscati 2000, pp. 291-292; Stiglitz 2004, p. 68; Mastino 2005, p. 265; Ghiotto 2004, pp. 23-27, 30; Montanero Vico 2012.

263 Stiglitz 2004, p. 68.

264 Giorgetti 1993, p. 238; Giorgetti 1995, pp. 160-161; Giorgetti 1997, p. 133; Ibba 2010, p. 391, nota 17; Rocca

2015, p. 71, nota 219.

265 Pani Ermini 1988, p. 311; Ibba 2010, p. 391, nota 17; Rocca 2015, p. 71, nota 219. 266 Spanu 1998, pp. 78-80, 194-195.

267 Colavitti 2003, pp. 128-129; Montanero Vico 2012.

Figura 32. Tratti murari nei pressi della torre absidata sul colle San Giovanni (da www.tharros.sardegna.it)

67

2.2.1.6.

Turris Libisonis

La colonia di Turris Libisonis venne fondata nel I secolo a.C. nel settore centro occidentale del Golfo dell’Asinara, lungo la costa settentrionale della Sardegna268. L’autore della sua deduzione resta

incerto: forse fu Giulio Cesare269 durante la sua

permanenza in Sardegna nel 46 a.C. o Ottaviano nel 42 a.C. tramite il legato Marco Lurio270. La

scelta del luogo fu determinata da aspetti geomorfologici favorevoli (fig. 33), quali: la presenza dell’isola dell’Asinara, che fungeva da riparo contro il maestrale facilitando le attività di attracco, partenza e transito delle navi; la presenza

di un fiume navigabile, che consentiva l’ingresso nel fertile e pianeggiante retrocosta; l’esistenza delle miniere di piombo argentifero nella vicina Nurra. Inoltre, appare chiaro che vennero tenute in considerazione questioni di carattere economico: la posizione della colonia risulta strategica se rapportata ai traffici commerciali marittimi del mondo antico271.

Direttamente correlata all’idea di deduzione di una colonia è la definizione dei limiti della città,