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Il dominio di Roma sull’isola dal 238 a.C al 476 d.C

2. Roma e la Sardegna

2.1. Il dominio di Roma sull’isola dal 238 a.C al 476 d.C

I Romani si interessarono alla Sardegna soprattutto per la posizione geografica che essa occupava all’interno del Mediterraneo: l’isola era vicina alla penisola italica, all’Africa e ad una distanza non eccessiva dalle altre coste europee. Dalla Sardegna si poteva dunque raggiungere qualsiasi altra terra ferma, grazie al fatto che si trovava esattamente al centro del settore occidentale del Mar Mediterraneo194.

Tralasciando il tentativo del 378 a.C., citato da Diodoro Siculo ma estremamente dubbio, di fondazione di una colonia sulla costa orientale sarda195, così come gli episodi bellici del 259 e del 258 a.C. (da

considerarsi come pertinenti alla prima guerra punica), la prima vera spedizione romana su suolo sardo con intento di conquista si fa risalire al 238 a.C.: il console Tiberio Sempronio Gracco venne inviato sull’isola, assoggettandola praticamente senza colpo ferire196.

Gli anni successivi alla conquista furono però parecchio critici e turbolenti. Le popolazioni indigene erano irrequiete poiché riluttanti all’idea della nuova dominazione esterna che, al contrario di quella precedente, oltre ad occupare le città costiere e monopolizzare gli scambi commerciali, convertì ad ager publicus tutto il territorio agricolo isolano197. Di questa situazione di malcontento generale e di

ribellione delle popolazioni locali si approfittarono i Cartaginesi, che continuavano a frequentare le coste sarde per motivi all’apparenza esclusivamente commerciali ma nella realtà politici: il loro intento era quello di riconquistare la Sardegna evitando qualsiasi sforzo bellico (atto che indubbiamente Cartagine, prostrata dalle indennità di guerra che era stata costretta a versare dopo la pace del 241 a.C., non poteva permettersi di compiere), sobillando i Sardi e spingendoli all’insurrezione e alla liberazione dalla dominazione romana198.

La prima rivolta in Sardegna durante la dominazione romana, di cui si ha esplicito riferimento nei Fasti Trionfali Capitolini, avvenne nel 235 a.C.: il Senato sentì l’esigenza di inviare sull’isola il console Tito Manlio Torquato, al quale fu affidato il comando delle forze armate. La campagna bellica pare sia stata

194 Sirago 1992, p. 3.

195 Mastino 1983, p. 52; Mastino 1988; p. 412; Mastino 2005, p.63; Meloni 2012, p. 43.

196 Mastino 1983, p. 53; Mastino 2005, p. 66: sicuramente i Romani ricevettero una calorosa accoglienza dalle

antiche colonie fenicie, le quali si erano stancate della politica cartaginese. Meloni 2012, p. 53. Gli autori ricordano come alla conquista della Sardegna seguì la riduzione in schiavitù di migliaia di indigeni. La loro quantità fece crollare i prezzi sul mercato, al punto tale che venne introdotta l’espressione Sardeis venales, ovvero “Sardi da vendere”.

197 Sirago 1992, pp. 239-245. Per conversione del territorio coltivabile sardo ad ager publicus si intendeva da una

parte l’appropriazione di gran parte dei terreni agricoli, che venivano affidati a soggetti incaricati a loro volta di affittarli in lotti dietro corresponsione di un canone, dall’altra, significava imporre ai terreni “esentati” da questo trattamento, il sistema della decima o il 10% sulla produzione.

49 abbastanza breve ma comunque permise al comandante in carica di ricevere l’onore di un trionfo, che venne celebrato il 10 marzo del 234 a.C. con la dicitura <de Sardeis>199. Per l’occasione, come le fonti

scritte attestano, a Roma venne chiuso il tempio di Giano e forse venne stipulato un altro trattato tra Roma e Cartagine, con il quale si provvedeva a ridefinire le rispettive aree di influenza: per la precisione sembra che il limes territoriale tra le due potenze fosse stato collocato il prossimità delle Arae Neptuniae a Sud di Carales, dunque in pieno Mare Africum.200 Altri scontri tra Sardi e Romani si ebbero

per tutto il decennio e richiesero l’invio di legioni consolari.

Nel 227 a.C. venne ufficialmente istituita la Provincia Sardiniae et Corsicae: dal nome è facile comprendere come Roma stabilì che le due isole dovessero essere comunemente amministrate da un pretore appositamente scelto. Ovviamente, tale formalizzazione non placò le ostilità dei Sardi nei confronti della dominatrice italica; piuttosto, le ribellioni continuarono e durarono per oltre un secolo201.

Tra gli episodi rivoltosi, il più importante in termini di coinvolgimento e di portata dell’evento fu quello del 215 a.C., per la cui descrizione è necessario fare un piccolo passo indietro.

Nel 217 a.C. Roma si trovava in una condizione critica, poiché provata dai primi anni della seconda guerra punica (218-202 a.C.), durante era l’avversario cartaginese Annibale con il suo esercito ad avere la meglio. La situazione per la città italica si aggravò nel 215 a.C. quando, all’indomani della sconfitta di Canne, alle devastazioni e distruzioni del territorio peninsulare provocate dall’esercito di Annibale si aggiunsero le defezioni di numerose città del meridione e delle isole, Sardegna compresa. Nello specifico, le popolazioni sarde richiesero l’appoggio militare cartaginese poiché esauste delle forti pressioni fiscali imposte da Roma ed utili alla remunerazione dei soldati partecipanti alle svariate campagne belliche. Il Senato Cartaginese decise così di allestire ed inviare sull’isola un esercito di 12000 fanti ed una flotta di 60 navi affidati all’imperator et dux Asdrubale il Calvo. Accanto a lui gli autori antichi citano Annone, nobile cartaginese nella veste di garante per il popolo sardo, e Magone, imparentato con la famiglia dei Barca.

Lo schieramento sardo era capitanato da Hampsicora, dux sardorum nonché personaggio politicamente di spicco (forse un sufeta, un magistrato o latifondista) legato ad un centro di modeste dimensioni che faceva capo alla città di Cornus. Lo appoggiavano i sardo-punici delle città costiere, ma questa alleanza non arrivò mai ad ottenere il consenso unanime della popolazione isolana; fu probabilmente questa la causa della sua sconfitta e della vittoria di Roma.

Quanto a quest’ultima, sebbene fosse impegnata anche sul fronte italico, durante i primi scontri del 215 a.C. reagì con forza, mettendo in crisi l’alleanza punico sarda con un esercito che contava 22000

199 Mastino 2005, p. 67; Meloni 2012, p. 56. 200 Mastino 2005, p. 67.

50 fanti e 1200 cavalieri. Hampsicora fu allora costretto a ricercare l’appoggio delle popolazioni sarde montanare202, lasciando momentaneamente il figlio Hosto al comando del suo esercito. Ma durante la

sua assenza, Osto, probabilmente a causa della sua inesperienza in arguzie e sotterfugi bellici, giunse a battaglia con le truppe romane comandate da Tito Manlio Torquato. Nella battaglia, svoltasi in luogo imprecisato nelle vicinanze di Riola Sardo, caddero in tanti; i sopravvissuti si rifugiarono nell’antica Cornus, mentre i Romani, seppur vittoriosi, tornarono a Carales per rinfoltire le file in previsione dello scontro finale. Questo avvenne con molta probabilità nel cagliaritano203 e condusse i Romani alla

vittoria definitiva. Asdrubale il Calvo, Annone e Magone vennero fatti prigionieri; Hosto cadde in battaglia; Hampsicora, appresa la notizia, si tolse la vita. Così si concluse il sogno di Hapsicora e di tutti coloro che speravano nella libertà della propria terra.

In questo modo terminava anche il sogno di Cartagine di riappropriarsi di un’isola che per la sua posizione strategica rivestiva un ruolo economicamente e militarmente importante204.

Tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. Roma sorvegliò con attenzione la Sardegna: continuavano infatti a verificarsi episodi rivoltosi da parte delle popolazioni indigene, seppure di scarsa rilevanza rispetto a quelli accaduti precedentemente; inoltre, i Cartaginesi non si rassegnavano all’idea di aver perso il dominio sull’isola e inviavano di frequente navi il cui compito era quello di pattugliare le coste isolane, destando irrequietezza nella città italica205. Ma Roma aveva un altro motivo per cui tenere

sotto controllo la provincia: l’isola rivestiva infatti un ruolo decisivo nei rifornimenti di grano, che non solo veniva utilizzato per il vettovagliamento degli eserciti impegnati nelle campagne belliche, ma che veniva indirizzato anche all’elargizione a favore della cittadinanza della capitale. L’afflusso del cereale sardo fu tale che provocò a più riprese un brusco abbassamento dei prezzi sul mercato206.

Tra le varie vicissitudini che interessarono la Sardegna ed il suo ruolo di provincia tra le maggiori fornitrici di grano si legano quelle avvenute nel I secolo a.C. e relazionate alle guerre civili.

Durante il biennio 78-77 a.C., Marco Emilio Lepido cercò di costituire un gruppo di sostenitori della causa popolare con cui convincere il Senato romano a porre fine al regime sillano. Dichiarato prima nemico pubblico e poi sconfitto in campo nei pressi di Roma, Lepido si rifugiò probabilmente in Sardegna. Qui interruppe i rifornimenti annonari che dall’isola venivano periodicamente inviati verso

202 Mastino 2005, pp. 74-75, 77-83.

203 Attilio Mastino propone come luogo di scontro l’odierno abitato di Sanluri, per la precisione la località dal

nome “Sedda sa Battalla”. Non si esclude comunque che il toponimo faccia riferimento alla battaglia che nel medesimo posto si svolse tra le truppe del Regno di Arborea e l’esercito di Matino I di Sicilia nel 1409.

204 Mastino 1983, pp. 52-53; Mastino 2005, pp. 68-83; Meloni 2012, pp. 60-66.

205 Mastino 2005, pp. 91-92; Meloni 2012, pp. 66-69. Tra gli svariati episodi, noto è quello del 210 a.C., durante

il quale il governatore pretore P. Manlio Vulsone, dirigendo azioni di polizia nel Nord della Sardegna, riuscì ad intercettare ed a contrastare un’incursione di 40 navi cartaginesi comandate dall’ammiraglio Amilcare. Quest’ultimo fu costretto a ripiegare orientando le vele in direzione di Carales in tale occasione venne saccheggiata e devastata.

51 Roma; contestualmente attaccò le città sarde che si erano schierate a favore della causa sillana, una tra tutte Tharros. Spentasi autonomamente la questione Lepido207,un avvenimento simile accadde nel

68 a.C., quando i pirati, muovendosi per il Mediterraneo, ostacolarono i commerci marittimi e causarono disagi ed interruzioni nel trasporto delle derrate agricole che rifornivano di viveri la penisola. Pompeo Magno fu allora incaricato dal Senato di risolvere la situazione: egli sbarcò sull’isola, stanziò le sue truppe e riuscì l’anno successivo a sgominare le basi piratesche208.

Sempre nel I secolo a.C., durante la guerra civile che vide gli ex triumviri Giulio Cesare e Pompeo Magno lottare tra loro per il potere, il primo, una volta oltrepassato il fiume Rubicone, ordinò ai suoi ufficiali di recarsi presso le province frumentarie per convincerle a perorare la sua causa e ad inviare i rifornimenti necessarie per le sue truppe. In Sardegna, gli abitanti di Carales, apprese le intenzioni di Cesare, si schierarono subito a suo favore e si adoperarono per mandare via il governatore pompeiano M. Aurelio Cotta, il quale trovò rifugio in Africa. L’adesione della quasi totalità delle città sarde alla causa cesariana provocò una grave reazione da parte delle ultime forze pompeiane rimaste dopo la sconfitta subita a Farsalo. Queste organizzavano frequentemente assalti alle città della Sicilia e soprattutto della Sardegna, che subirono devastazioni e saccheggi: i ribelli andavano ricercando prevalentemente il metallo, copioso nella regione sulcitana. Dopo la battaglia di Tapso che sancì indiscutibilmente la chiusura del capitolo Pompeo, il vincitore Cesare dovette recarsi a Roma per affari urgenti. La traversata dall’Africa verso la capitale venne interrotta da un sosta prolungata in Sardegna: qui Cesare ebbe modo di conoscere la situazione isolana; probabilmente in questo contesto Carales, per la fedeltà dimostrata durante la guerra civile, vide elevato il suo stato giuridico a Municipium; sempre in questo periodo è forse da collocare la fondazione della colonia di Turris Libisonis (l’attuale Porto Torres); Sulci, che invece aveva tifato per Pompeo, venne punita con una multa, con l’aumento delle imposte e con la vendita all’asta dei beni di quei cittadini eminenti che forse avevano influenzato la popolazione sulla linea politica da seguire209.

Alla morte di Cesare, nel 44 a.C., Sesto Pompeo iniziò ad effettuare con la sua flotta azioni di pirateria nel Mediterraneo occidentale. La motivazione principale che stava alla base del suo operato era quella di non essere stato considerato, in qualità di figlio dell’ex triumviro Pompeo, dai nuovi triumviri Ottaviano, Marco Antonio e Lepido nella spartizione e nell’amministrazione di tutti i territori sottoposti al dominio romano; Sesto Pompeo fece dunque sentire la sua voce, non solo disturbando la persecuzione dei cesaricidi, ma creando anche problemi di rifornimento annonario della penisola. L’anno 40 a.C. vide l’occupazione della Corsica e della Sardegna da parte di quattro legioni comandate

207 Mastino 1983, p. 53; Mastino 2005, pp. 100-101; Meloni 2012, pp. 77-78. Marco Emilio Lepido morì di

malattia e le sue truppe convogliarono in Spagna mettendosi al servizio di Sertorio e dell’ultima resistenza filo- mariana.

208 Mastino 1983, pp. 53-54; Meloni 2012, pp. 78-79.

52 da Menodoro, inviato direttamente da Sesto Pompeo; M. Lurio, il legato di Ottaviano presente sull’isola non potè fare altro che fuggire; Carales, da sempre schieratasi con Cesare e con i suoi seguaci, ostacolò Menodoro, ma venne assediata. Il capitolo di Sesto Pompeo a comando della Sardegna si concluse però molto velocemente: le fonti attestano che Menodoro tradì il figlio dell’ex triumviro e consegnò la Sardegna con le forze armate ivi stanziate, ovvero tre legioni, una flotta di sessanta navi e un gran numero di soldati armati alla leggera210.

A partire da Augusto e per tutta l’epoca imperiale la Sardegna venne alternatamente amministrata da ex magistrati, quale provincia senatoria, o da legati scelti dall’imperatore, quale provincia imperiale: questo passaggio di compiti dipendeva dal manifestarsi di episodi rivoltosi e turbolenti per il cui soffocamento si necessitava di un numero rispettivamente più o meno limitato di contingenti militari. Con Ottaviano la Sardegna attraversò inizialmente un periodo abbastanza pacifico, tanto che il figlio adottivo di Cesare decise di consegnare l’isola all’amministrazione senatoria: il Senato la governò tramite proconsoli assistiti da legati e questori. In realtà la Sardegna non era stata ancora completamente pacificata: Diodoro Siculo, Strabone e Cassio Dione riportano che gli indigeni abbarbicati sulle montagne continuavano a manifestare la loro avversione nei confronti degli abitati romani delle pianure sarde, spingendosi talvolta per mare verso il litorale etrusco. Fu per questo motivo che in una data non precisata tra il 6 e il 14 d.C. Augusto sottrasse l’amministrazione dell’isola al Senato e vi inviò i propri prolegati con legioni al seguito211. Probabilmente fu sotto il regno di Tiberio

che il presidio legionario lasciò l’isola, in concomitanza con l’arrivo di 4000 liberti giudaici ed egiziani costretti a prestare servizio militare ed inviati in Sardegna per sopprimere le rivolte ed il brigantaggio212. Nel contempo sembra che gruppi di 500 o 1000 Corsi, Liguri, Aquitani, Lusitani e Sardi

privi di cittadinanza romana fossero stati impiegati per costituire coorti e reparti ausiliari dislocati sull’isola stessa213. A Nerone si deve un nuovo cambiamento della condizione giuridica della Sardegna:

durante un soggiorno in Grecia, l’imperatore decise, ed il gesto è da leggere tanto in chiave di elogio quanto in ottica propagandistica, di concedere la libertà al popolo dell’Acaia, provincia senatoria. Così facendo, privò il Senato del controllo di una provincia estremamente ricca quindi dei suoi tributi onerosi. Per cercare di compensare il Senato della perdita, il 1° luglio dell’anno 67 d.C. Nerone proclamò la Sardegna una provincia senatoria e da quel momento l’isola iniziò a ricevere, al posto dei procuratori di rango equestre, governatori proconsoli214. Il provvedimento venne annullato sotto

Vespasiano: forse nel 73 d.C. la Sardegna tornava ad essere provincia imperiale, probabilmente conseguentemente alla revoca della libertà dell’Acaia, che tornava direttamente sotto il controllo del

210 Sirago 1992, p. 249; Mastino 2005, p. 104; Meloni 2012, pp. 81-83.

211 Mastino 1983, p. 54; Mastino 2005, p. 125-126; Meloni 2012, pp. 83 e 107-108. 212 Sirago 1992, p. 249; Mastino 2005, p. 126; Meloni 2012, p. 108.

213 Mastino 2005, p. 109.

53 Senato. Questa mutazione di condizione si verificò nuovamente in date non precisabili ma probabilmente durante il regno di Traiano prima e di Commodo o Settimio Severo poi. Tale oscillazione dell’amministrazione isolana cessò nel III secolo d.C.: le epigrafi risalenti a quell’epoca testimoniano che il titolo di governatore della Sardegna era quello di procurator Augusti et praefectus215.

Tra III e V secolo la crisi di potere che logorava Roma dal suo interno colpì tutti i territori ad essa assoggettati, compresa la Sardegna, ma la minaccia maggiore che l’impero dovette affrontare fu l’avanzata e l’invasione delle popolazioni barbariche. Tra il 429 e il 439, quindi pochi anni prima della data ufficiale a cui si è soliti far risalire la caduta dell’Impero Romano d’occidente, in Africa andò costituendosi un grande e potente stato vandalico. Inizialmente la sua azione nel Mediterraneo occidentale si “limitava” ad incursioni piratesche, che ebbero come conseguenza l’inasprimento dei rapporti tra Sardegna e Roma: è risaputo che l’Impero Romano condonò le tasse arretrate a tutto il Mediterraneo occidentale fuorché alla Sardegna, poiché gli esattori locali piuttosto che provvedere a versare all’erario i tributi già raccolti, avevano preferito trattenerli nell’isola. Il gesto, che condusse poi alla cesura netta delle relazioni con l’amministrazione centrale, si potrebbe spiegare rifacendosi alla situazione gravosa che viveva il Mediterraneo occidentale in questo periodo: a causa delle incursioni piratesche, degli attacchi e dei saccheggi vandalici rivolti contro le coste sarde, l’autorità imperiale assistette impotente; a quel punto la Sardegna non aveva potuto fare altro che chiudersi in sé stessa e provare a difendersi autonomamente, finanziando (probabilmente proprio con i tributi riscossi e non versati) la costruzione di fortificazioni a protezione dei porti e delle principali città isolane216.

A seguito di ripetuti attacchi, nel 474 d.C., la Sardegna cadde in mano vandalica ed entrò a far parte del Regnum Vandalorum che aveva come capitale Cartagine. La sua permanenza sotto il potere barbaro durò circa un secolo, fino al 534 d.C.217.

215 Mastino 2005, pp. 144-145; Meloni 2012, pp. 109-111. 216 Mastino 2005, pp. 152-153; Meloni 2012, pp. 140-142. 217 Mastino 2005, p. 153; Meloni 2012, pp. 138-142.

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