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Le fortificazioni, nonostante fossero elementi urbanistici quasi irrinunciabili per le realtà cittadine fenice e puniche, costituivano però un grande dispendio economico ed umano; dunque la loro realizzazione era relazionata ad effettive necessità di difesa, senza interessare i centri che potevano invece contare su una protezione naturale (app. I, definizione). Trattandosi per l'appunto di un’isola, è comprensibile che le città più prospere e ricche della Sardegna fossero quelle affacciate sul mare: già la loro fondazione avvenne con scelte ben consapevoli in merito al territorio predestinato, che avrebbe dovuto agevolare lo scambio di merci e di ricchezze. D’altro canto, la loro posizione favorevole ad una spinta mercantile centrifuga delle popolazioni locali e centripeta di quelle straniere, rendeva gli stessi centri abitati estremamente vulnerabili agli occhi di chi fosse in cerca di nuove, fertili e ricche terre di conquista365. Ciò sembrerebbe costituire il motivo per cui la quasi totalità delle fortificazioni puniche

attualmente conosciute (ad eccezione dell’abitato di Monte Sirai) venne eretta a difesa dei centri abitati più importanti dell’isola affacciati sul mare e privi di elementi geomorfologici che fungessero da ostacoli ad eventuali aggressioni. Per la stessa ragione, la teoria dei limites punici supposti nell’entroterra sardo è stata messa in discussione e, sulla base dei recenti studi condotti, scartata (par. 1.2.2.1.).

Allo stato attuale delle ricerche si può affermare che sussistono ancora numerose problematiche a livello di interpretazione delle strutture puniche indagate e dei loro riferimenti cronologici. L’unica città sarda per la quale tali incertezze non sembrano esistere è Olbia: con la sua (ri)fondazione avvenuta nel 330 a.C., il centro punico venne dotato di una possente cinta muraria ad emplekton, munita di torri aggettanti a pianta quadrata dislocate lungo il tracciato della stessa cinta, nei suoi punti di curvatura ed a protezione delle grandi porte di accesso alla città. L’opera quadrata isodoma con cui vennero allestite le cortine murarie esterne della cinta e le stesse torri costituisce un punto di contatto tra Olbia, Klry, Sulky e Tharros. L’analogia della tecnica muraria adottata per la costruzione della cinta di Olbia e la monumentalizzazione della cinta nuragica sul colle di Su muru mannu a Tharros (par. 1.2.1.5.), realizzata con blocchi perfettamente squadrati e bugnati di arenaria, potrebbe essere utile per restringere l’intervallo cronologico fino ad ora tenuto in considerazione per la datazione delle mura della città che controllava il golfo di Oristano. Analogamente, il tratto murario ritrovato nei pressi della scuola “A. Mannai”, anch’esso realizzato in opera quadrata, potrebbe portare a considerare che il primo impianto delle fortificazioni di Sulky (par. 1.2.1.4.) avvenne proprio per mano cartaginese nel IV secolo a.C. Qualora anche le supposizioni sulle fortificazioni di Krly (par. 1.2.1.1.) fossero giuste, si potrebbe affermare che la realizzazione delle strutture difensive nelle quattro città di Krly Sulky,

92 Tharros e Olbia fosse il frutto di un medesimo programma edilizio avviato da Cartagine e volto a consolidare il possesso dell’isola sancito nel 348 a.C.. Inoltre, è possibile che l’obiettivo dei punici fosse quello di ribadire tale possesso ai Romani, potenza mediterranea in crescente ascesa che, stando alle fonti, provò nel primo quarto del medesimo secolo a.C. ad inserirsi nel contesto territoriale, economico e politico sardo con la fondazione, lungo la costa orientale dell’isola, della colonia di Feronia, identificata con l’odierna Posada 366. A prescindere dall’effettiva veridicità di questa notizia, resta

indubbio il fatto che Roma conoscesse la fertilità dell’isola, rinomata per la sua produzione cerealicola, per le risorse minerarie (di cui Cartagine aveva spesso usufruito), e per la sua posizione geografica, strategicamente interessante in termini commerciali e politici.

A Bithia (par. 1.2.1.3.) le evidenze archeologiche segnalate risultano esigue per determinare con certezza la loro funzione. La stessa tecnica edilizia utilizzata in loco non sembra trovare riscontri con altre fortificazioni puniche erette su suolo sardo e, sebbene non sia sempre corretto associare una tipologia muraria ad un intervallo cronologico specifico, in questo caso l’eccezionalità degli alzati murari di Bithia sembra non trovare altre spiegazioni.

Per quanto concerne Nora (par. 1.2.1.2.), è stato appurato che le strutture reputate fino al secolo scorso come apparati difensivi avessero in realtà una destinazione di diversa natura.

Monte Sirai, l’unico tra gli insediamenti punici dell’entroterra, fu anch’esso probabilmente fortificato nel IV secolo a.C. mediante la costruzione di una cinta muraria in opera isodoma. Sebbene non fosse un centro costiero, la sua protezione fu necessaria in quanto, essendo ben collegato con le miniere dell’iglesiente ampiamente sfruttate prima dai Fenici e poi dai Cartaginesi, risultava un centro ricco e potente e, in quanto tale, necessitava di un sistema di fortificazioni atto a tenere lontano occhi indiscreti.

In merito alle distruzioni che dovettero patire le strutture difensive delle acropoli di Klry, di Sulky e dell’abitato di Monte Sirai, si dovrebbe escludere la teoria secondo cui i Romani, una volta conquistata la Sardegna, avessero avviato la demolizione automatica di tutte le fortificazioni puniche presenti sull’isola. Se così fosse, non si spiegherebbe il motivo per cui la terza linea fortificata di Tharros e la cinta urbica di Olbia non solo non abbiano mostrato smantellamenti e ricostruzioni nel periodo di passaggio dalla dominazione punica a quella romana, ma anzi abbiano rivelato una continuità d’uso rispettivamente sino al II e al III secolo d.C.. Le distruzioni delle strutture difensive di Krly e Sulky potrebbero piuttosto essere messe in relazione con gli episodi bellici della prima guerra punica e con i moti sovversivi avviati a guerra conclusa dai mercenari cartaginesi. Nello specifico, dalle fonti antiche si apprende che i Romani, nel 258 a.C., attuarono svariati attacchi nei confronti delle postazioni puniche dislocate lungo la costa della Sardegna, tra cui la stessa città di Sulky; qui, a seguito di un

93 combattimento navale dall’esito disastroso, i Cartaginesi furono costretti alla ritirata, trovando rifugio dentro le mura della stessa città. Pochi anni più tardi, attorno al 240 a.C., i mercenari assoldati dai Punici (per combattere nella prima guerra contro Roma) insorsero in territorio africano, contestando la loro mancata retribuzione. La ribellione si diffuse rapidamente anche nell’isola, sfociando in un clima di terrore e provocando la fuga dei Cartaginesi, i quali tentarono di mettersi in salvo arroccandosi in una città di cui non viene espresso il nome, ma che si ipotizza essere stata Krly, in qualità di sede amministrativa dell’isola (par. 1.1.). Si potrebbe pertanto supporre che, durante i suddetti episodi e a causa delle pressioni esercitate rispettivamente dai Romani a Sulky e dai mercenari a Krly, le strutture difensive delle due città abbiano subito ingenti danni, tali per cui le fortificazioni abbiano necessitato successivi interventi di restauro e perfino di ricostruzione integrale.

Nel 238 a.C. i Romani si sostituirono ai Punici in qualità di nuovi dominatori dell’isola. Dai confronti si può asserire che il primo impianto difensivo realizzato dal popolo italico fu proprio quello di Monte Sirai (par. 2.2.1.4.): evidentemente l’importanza del sito in termini economici venne riconosciuta anche dai Romani che, non potendo lasciarla sguarnita, presumibilmente alla fine del III secolo a.C. reimpiegarono i materiali di risulta degli edifici difensivi punici appena decaduti per proteggere e difendere l’abitato. La cinta muraria, provvista di una grande porta di accesso a corridoio e con tutta probabilità affiancata da una torre per ciascun lato, era costeggiata da un fossato bordato da un antemurale ad emplekton.

Tra III e II secolo a.C., Roma contribuì alla realizzazione di opere fortificatorie nelle città di Carales, Sulci e Tharros. Sebbene su quelle di Carales (par. 2.2.1.1.) vi siano dei dubbi, in quanto conosciute esclusivamente attraverso le fonti antiche, a Sulci (par. 2.2.1.3.) e a Tharros (par. 2.2.1.5.) i resti archeologici evidenziano la costruzione di una cinta muraria ad emplekton nel primo sito ed il rifacimento della cinta ad emplekton con annessa realizzazione di fossato e terrapieno con controscarpa nel secondo. Non sembra casuale la scelta di voler munire di strutture difensive tre città costiere importanti e bene inserite nei traffici commerciali del Mediterraneo antico. Roma infatti iniziò da subito a servirsi della Sardegna in qualità di grande rifornitrice di grano: il cereale non solo veniva indirizzato al vettovagliamento degli eserciti ma veniva anche spedito alla capitale ed elargito alla popolazione dell’Urbe. Dunque, probabilmente con l’ottica di assicurarsi che il flusso di derrate agricole si mantenesse costante, la grande potenza italica provvide ad attuare un programma di rafforzamento e difesa delle città portuali economicamente più potenti della Sardegna. Olbia non rientrò in questo progetto, semplicemente in quanto era già dotata di fortificazioni: venivano sfruttate quelle puniche, ancora in piedi dopo due secoli.

Contestualmente, si ipotizza che sorsero le strutture fortificate a difesa degli abitati di Colonia Iulia Augusta Uselis (par. 2.2.2.1.) e di Valentia (2.2.2.3.). Se la teoria risultasse corretta, si potrebbe pensare

94 ai due centri come avamposti militari deputati alla difesa delle ricche città e dei fertili territori dell’Alto Campidano, spesso devastati dai briganti della Barbària (par. 2.2.2.).

Anche durante il I secolo a.C. le vicissitudini delle guerre civili ebbero ripercussioni sulla Sardegna e sul ruolo di maggiore fornitrice di grano che l’isola stessa ricopriva. Nel biennio 78-77 a.C., Marco Emilio Lepido, dichiarato nemico pubblico dal Senato, si rifugiò sull’isola; qui, con lo scopo di contrastare il regime sillano, attaccò le città che si erano dichiarate fedeli alla politica della capitale e interruppe i rifornimenti annonari che dalla Sardegna venivano periodicamente inviati a Roma. Nora (par. 2.2.1.2.), con tutta probabilità in questo frangente, eresse una cinta muraria in opera isodoma, forse munita di una torre, a protezione dell’area destinata allo stoccaggio e allo scambio delle merci. Le strutture difensive, conclusosi l’episodio di M. Emilio Lepido, vennero poi smantellate nel periodo augusteo per fare spazio al nuovo complesso forense cittadino.

Per quanto concerne Carales (par. 2.2.1.1.), le fonti letterarie attestano che la cinta urbica realizzata nel II secolo venne probabilmente messa a dura prova da Menodoro, il legato di Sesto Pompeo, ma non esistono, allo stato attuale delle ricerche, prove che confermino questa notizia.

Ad epoca augustea si fanno risalire le esigue tracce di monumentalizzazione della linea pomeriale fino ad ora rinvenute a Turris Libisonis (par. 2.2.1.6.): l’ipotesi secondo cui nel settore meridionale dell’abitato fosse stata innalzata una grande porta di accesso alla città sembra concordare con la concezione tipicamente augustea che vedeva gli edifici difensivi come monumenti dotati anche di un valore fortemente simbolico, atto alla celebrazione della forza, della grandezza, della ricchezza dell’autorità imperiale e, di riflesso, dell’impero stesso.

Al I secolo d.C. l’alternanza tra responsabilità imperiale e responsabilità senatoria della provincia Sardiniae et Corsicae, oltre che essere causata da questioni di natura economica (si pensi alla quaestio Acaiae), fu innescata da problemi inerenti la sicurezza delle regioni romanizzate dell’isola: se ne desume che nel I secolo d.C. la Sardegna non era ancora completamente pacificata. In tale ottica si spiegherebbero le installazioni militari di Aquae Ypsitanae e di Luguido, dislocate ai limiti della Barbària e deputate al contenimento delle popolazioni indigene ribelli stanziate nell’impenetrabile centro montuoso dell’isola. Se da un lato Aquae Ypsitanae (par. 2.2.2.2.) non ha restituito ancora tracce dell’accampamento presso cui si sostiene fosse stanziata la Cohors I Corsorum, a Luguido (par. 2.2.2.6.) è stato scoperto un accampamento militare dotato di mura realizzate in opera a telaio, munito forse di un bastione: stupisce il fatto che la tecnica di realizzazione non abbia trovato riscontri nelle strutture fortificate sarde di epoca classica di cui si ha notizia.

Tra III e V secolo a.C. la Sardegna dovette affrontare un periodo di crisi sempre crescente dovuta all’instabilità del potere imperiale e alla minaccia di invasione da parte delle popolazioni barbariche. Le incursioni piratesche avviate dal regno vandalico costituitosi nel nord-Africa causò la rottura dei rapporti tra la provata amministrazione centrale dell’Impero Romano d’Occidente e la Sardegna, che

95 cercò di difendersi finanziando la costruzione di sistemi difensivi a protezione dei porti e delle principali città isolane. Sicuramente Carales (par. 2.2.1.1.) e Turris Libisonis (par. 2.2.1.6.) vennero munite di poderose cinte murarie in opera quadrata, mentre risulta cronologicamente incerta la costruzione di una torre e di una cinta muraria a cremagliera sul Colle di San Giovanni a Tharros (par. 2.2.1.5.). Infine, allo stato attuale delle ricerche, in Sardegna non è stata riscontrata la presenza di tracce materiali relative ad opere difensive da ricondurre e circoscrivere all’ambito cronologico 474-534 d.C.. Sulla base di quanto affermato dalle fonti letterarie e testimoniato da quelle archeologiche (par. 3.2.), si potrebbe pensare che, così come in Africa, i Vandali non abbiano eretto nuove fortificazioni e che abbiano preferito sfruttare quelle già presenti sul territorio. Non sarebbe da scartare nemmeno l’ipotesi di V. Aiello, che vede l’isola come parte integrante di un limes marittimo tessuto dai Vandali, fondato su stretti rapporti commerciali instaurati in tutto il Mediterraneo e dotato soprattutto di risvolti politici. In quest’ottica, la Sardegna, piuttosto che essere munita di fortificazioni, sarebbe diventata nella sua interezza un caposaldo della difesa vandalica del territorio africano, in qualità di nodo centrale dei traffici mercantili, controllati tra IV e V secolo d.C. dagli stessi Vandali.

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