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I sistemi fortificati interni: ipotesi a confronto

1. La Sardegna in età punica

1.2. I sistemi difensivi della Sardegna punica

1.2.2. Le fortificazioni puniche dell’entroterra

1.2.2.1. I sistemi fortificati interni: ipotesi a confronto

Nel 1968, con la sua monografia intitolata “La civiltà fenicio-punica in Sardegna”, Ferruccio Barreca espose la sua teoria in merito ai fenomeni di approccio, penetrazione e conquista da parte cartaginese delle aree interne della Sardegna. A suo avviso, lo spostamento punico dalle coste e l’occupazione dell’entroterra isolano avvenne in due fasi distinte, di cui la prima si dovrebbe far risalire alla fine del VI secolo a.C., quando i Cartaginesi, occupati nella seconda guerra sardo punica, avevano avuto facile accesso alle vie di penetrazione verso l’interno; a comprovare questo pensiero ci sarebbe la testimonianza della rocca nuragica di Su Nuraxi di Barumini, la quale, secondo quanto scritto da Giovanni Lilliu, venne conquistata dai cartaginesi proprio nel VI secolo a.C.165. La seconda fase delle

spedizioni puniche verso l’interno montuoso della Sardegna si dovrebbe collocare cronologicamente all’indomani della campagna bellica dei Magonidi e sembra che a proprio tale periodo si debbano riferire tutte le strutture intese come militari e datate dallo studioso al V secolo a.C.166.

L’espansionismo a cui dettero vita i Cartaginesi verso le aree interne dell’isola era motivato dal raggiungimento del controllo dei territori economicamente più importanti e remunerativi dell’isola (ovvero quelli minerari ed agricoli), dalla possibilità di transitare liberamente nell’isola percorrendo strade e sentieri interni, oltre che dalla possibilità di difenderla da tentativi colonialisti esterni (romani per esempio) e da moti sovversivi delle popolazioni locali.167 Dunque, con lo scopo di concretizzare

tali propositi, a partire dalla fine del VI secolo sino al IV secolo a.C. i Cartaginesi, secondo il pensiero di Barreca, realizzarono dei sistemi fortificati (app. I, H.) costieri ed interni, che avrebbero rispettivamente consentito l’isolamento della Sardegna dal mondo esterno nonché

165 Barreca 1986, p. 31-40; Stiglitz 2004b, p. 111. 166 Barreca 1986, pp. 31-40; Stiglitz 2002b, p. 124. 167 Barreca 1986, pp. 38-39.

Figura 19. Foto aerea della Sardegna e rappresentazione dei due sistemi fortificati interni teorizzati da Barreca.

41 l’allontanamento e la segregazione entro uno stretto e montuoso fazzoletto di terra di tutte le popolazioni indigene che, ostili alla dominazione punica, con un esodo di massa si erano rifugiate nelle zone più interne e povere dell’isola168. Oltre al sistema costiero, costituito dall’insieme delle

fortificazioni delle città più importanti della Sardegna riverse sul mare, Barreca individuò altri due sistemi fortificati interni (fig. 19) : quello centro-settentrionale169, che verteva sulle piazzeforti di San

Simeone di Bonòrva, di Mulàrza Nòa in territorio di Bolòtana e sulle fortificazioni di Su Palattu in agro di Pàdria e di Macomer, e quello centro-orientale170, che attraversava la Sardegna da est a ovest e

faceva riferimento ai capisaldi localizzati presso gli odierni paesi di Sedilo, Fordongianus, Asuni, Nureci, Genoni, Isili, Orroli, Goni e Ballao. Si trattava dunque di due distinti allineamenti di postazioni fortificate, dai quali si originarono in un secondo momento, per avvicinamento di civili che gravitavano attorno all’ambiente militare171, le città fenicio puniche dell’entroterra sardo: questo spiegherebbe il

motivo per il quale il loro nucleo originario era generalmente un forte, una torre di avvistamento o una struttura ove risiedevano le guarnigioni; inoltre da ciò deriverebbe la fondazione delle suddette città sulle colline dalla sommità pianeggiante e dai fianchi ripidi, in prossimità di passaggi obbligati (come guadi) e di incroci stradali, che sicuramente permettevano un celere spostamento di truppe e soldati in caso di necessità172.

Alla fine degli anni ’90, alcuni studiosi avanzarono, in merito a quelle identificate fino ad allora come fortificazioni puniche dell’entroterra sardo, una proposta di lettura differente rispetto a quella fornita da Barreca. Giovanni Tore e Alfonso Stiglitz ritenevano infatti che la concezione di limes fortificato App. II, , di area di confine e di barriera che respingesse le astiose e bellicose popolazioni paleosarde doveva essere abbandonata. Al dualismo tra invasori ed indigeni, tra conquistatori e conquistati, tra dominatori e dominati che ha sempre rappresentato l’idea interpretativa basilare, Tore e Stiglitz contrapponevano dunque l’immagine di un’area intesa come luogo di scontro ed incontro, di acculturazione bidirezionale tra indigeni e Cartaginesi. Questo rapporto sarebbe nato a partire dal momento in cui Cartagine tentò l’invasione dell’isola e proseguì fino al IV secolo, quando la conquistò completamente173.

Nel 2004, Maya Gharbi, ponendosi nel solco dei due studiosi sopra menzionati, asserì che se il controllo del territorio isolano fosse realmente stato l’obiettivo primario dei Cartaginesi, giunti in Sardegna a partire dal VII secolo a.C., essi non avrebbero di certo aspettato sino al IV secolo a.C. per concretizzarlo. Inoltre, concentrandosi su Pàdria e Bonòrva, la studiosa affermò che questi risultavano i centri più

168 Barreca 1986, pp. 25-40. 169 Barreca 1986, pp. 36,86-89, 281, 308. 170 Barreca 1986, pp. 36, 86-89, 280-281,298, 300, 305, 320, 171 Barreca 1986, pp. 61; Stiglitz 2004b, pp. 60-61. 172 Barreca 1986, p. 71.

42 settentrionali della Sardegna punica e mise in evidenza la distanza che li separava dalle zone propriamente sottoposte all’influenza cartaginese: i primi centri punici che si incontravano procedendo verso Sud erano infatti Cornus e Tharros; inoltre il pianoro che separa l’area dell’oristanese da quella oggetto della questione parrebbe privo di materiali ceramici punici, mentre numerosi risultano gli insediamenti nuragici. Dunque, se realmente a Pàdria e a Bonorva erano presenti installazioni militari puniche, quale sarebbe stato il loro scopo? Gharbi rispose rifacendosi alle parole di Rebuffat174, il quale identifica l’emporion non tanto sulla base del luogo in cui esso viene impiantato,

quanto sulla sua funzione di cerniera tra popolazioni diverse ed estranee. La studiosa dunque, notando che quelli conosciuti come capisaldi militari di Pàdria e di Bonorva sono collocati lungo delle antiche vie di comunicazione che collegavano la linea di costa con l’interno isolano, sostenne che questi erano in realtà semplicemente degli emporia e che, laddove fossero realmente esistite, le fortificazioni avrebbero rappresentato solo un sistema preventivo di difesa dei suddetti impianti commerciali, i quali una volta arricchitisi, potevano indubbiamente divenire oggetto di rapina175.

Attilio Mastino propone la stessa chiave di lettura per il sito di Mularza Noa Badde Salighes in territorio di Bolòtana, che dovrebbe dunque essere identificato come uno dei tanti centri punici nati ex novo accanto a villaggi nuragici per fini puramente commerciali176.

In anni recenti David Montanero Vico ha offerto molti spunti di riflessione. Lo studioso, che si è prettamente interessato ai sistemi fortificati punici della Sardegna definiti tali in letteratura, ritiene che l’ipotesi sostenuta da Barreca debba essere scartata: molti degli insediamenti considerati come fortificazioni puniche infatti, oltre a dover essere attribuite ad orizzonti cronologici differenti, non hanno probabilmente una funzione militare. La presunta fortezza di Su Palattu in territorio di Pàdria è stata riletta come un muro di contenimento di epoca romana, lungo circa 65 m e realizzato con massi basaltici messi in opera a secco, dando luogo all’opera poligonale. Si possono osservare nella costruzione blocchi squadrati, il cui fine era quello di conferire una maggiore robustezza alla struttura177. Nella località di San Simeone in comune di Bonorva, Barreca asserì di aver individuato due

muraglie che cingevano la sommità di una collina, delle quali quella ad una quota più elevata mostrava i resti di due torri a pianta quadrata e una porta a tenaglia che si apriva tra esse. Montanero Vico ha localizzato sul terreno solamente le tracce della “cinta” altimetricamente più bassa, che risulta di cronologia imprecisa; inoltre egli ha riscontrato la presenza di una struttura quadrangolare, lunga 8.20 m e larga 8 m, realizzata con pietre di medie e grandi dimensioni, e di un muro a doppio paramento. In loco affiorano numerosi blocchi squadrati e bugnati, cumuli di pietra e altre strutture quadrangolari e rettangolari. Lo studioso crede di poter ricondurre queste opere non a delle fortificazioni puniche,

174 Rebuffat, encyclopédie berbère, s.v. Emporia, cit. p. 2621-2627. 175 Gharbi 2004, pp. 791-804;

176 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 85; Mastino 2005, p. 51-52. 177 Montanero Vico 2012

43 bensì all’editto reale del 1820, l’“Editto delle chiudende”178, che consentiva di erigere palizzate e recinti

al fine di privatizzare terreni fino ad allora di proprietà della corona. Tali recinti e muri sarebbero stati eretti ovunque nell’isola, come a Pani Loriga. Qualora la costruzione delle strutture individuate presso la località di San Simeone non fosse da collegare all’editto ottocentesco, sarebbe comunque rischioso attribuire ad esse una funzione militare ed una cronologia punica, soprattutto se si considera che tale località ospitò un importante insediamento civile medievale. Montanero Vico, in attesa di conferme e smentite derivate da future indagini archeologiche, propende per scartare le teorie che vedono a Bonorva la presenza di una fortezza punica, di un accampamento di mercenari o addirittura di un ipotetico emporion. Lo studioso infine conclude asserendo che sarebbe perciò da rivalutare la presenza di Cartagine in Sardegna e le modalità di controllo del territorio che la città africana adoperò nell’isola179.

A tal proposito, cito testualmente le parole di S.F. Bondì: “Il controllo del territorio non produsse né in Sicilia né in Sardegna forme di delimitazione rigida delle regioni sottomesse. […] In Sardegna fu privilegiata la difesa delle aree urbane, sicchè la supposta linea fortificata all’interno dei territori cartaginesi ipotizzata dal Barreca (seguito poi da vari altri studiosi) è stata brillantemente definita come limite dei territori utili”180.

Per tale motivo, mi limiterò di seguito a descrivere l’unico insediamento per il quale vi sono testimonianze archeologiche accertate di fortificazioni puniche, ovvero Monte Sirai.