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Carattere personale della pena pecuniaria e impossibilità di con­ siderare il correlativo diritto della finanza come diritto subbiettivo

sul patrimonio del trasgressore.

a) La pena pecuniaria non ha funzione satisfattoria.

Ritenuto di aver superato in tal modo la tesi che sostiene la necessità della applicazione integrale delle norme di diritto penale, il M. passa alla fase costruttiva del sistema e della struttura della pena pecuniaria secondo il suo convincimento.

Per questo tratto dello studio non è possibile trascurare una osservazione preliminare, perchè ha la sua decisiva importanza. L ’Autore, dimenticando di aver criticato il pensiero di chi sostiene la necessaria applicabilità delle norme di diritto penale, formula una costruzione la quale, tuttavia, è in perfetta aderenza con lo schema

(63) Op. cit., 307.

(64) Sempre per dimostrare come la pena pecuniaria abbia soltanto na­ tura di pena, abbiamo richiamato l'autorevole pensiero della Corte di Cassa­ zione a SS.UU. Civili, espresso in una sentenza concernente le violazioni valu­ tarie punite con la pena pecuniaria (Cass. SS.UU., 30 luglio 1953, Giur. compì. Cass., 1953, 310).

Dalla chiarissima esposizione del pensiero della Corte regolatrice abbiamo tratto la conseguenza che anche quel Collegio aveva chiaramente affermato l’applicabilità dei principi di diritto penale, attesoché le norme che disciplinano la pena pecuniaria inquadrano la repressione dei fatti costituenti le trasgres­ sioni valutarie nel sistema generale della repressione dell’illecito, ovviamente riferendoci e riferendosi la Corte agli illeciti colpiti da sanzioni irrogami se­ condo gli schemi penalistici (La pena pecuniaria, ecc., 200 e 201).

Il M., ricordando — sempre brevemente — anche questo motivo, osserva,

sic et simpliciter, che la « Corte ha voluto riferirsi propriamente al sistema generale deH’illecito e quindi anche all’illecito civile (in particolare l’art. 2055 del codice civile) ed amministrativo» (op. cit., 306).

Al riguardo è facile obiettare, anzitutto, che egli è in contraddizione con se stesso, perchè nel suo studio ha escluso che l’illecito amministrativo e tribu­ tario punito con la pena pecuniaria possa equipararsi all’illecito per danno, in quanto, egli ha detto, il risarcimento del danno nella materia tributaria è affidato alla sopratassa (op. cit., 300). Pertanto, la critica già perde tutto il suo valore.

Non possiamo, poi, non rilevare che il M., per fare la sua affermazione (contraddittoria), riprende soltanto... un passo della sentenza della Corte re­ golatrice !

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penalistico, sia pure, copie vedremo, limitatamente alla fase della irrogazione della pena- pecuniaria.

Egli sostiene, infatti, che la pena pecuniaria, rispetto alle pene previste per i delitti e a quelle previste per le contravvenzioni, si pone come un tertimn genus di sanzione, avente natura ammini­ strativa.

Aiferma ancora che tale sanzione deve essere irrogata- secondo i criteri discrezionali previsti dal Codice penale agli artt. 132 e 133, secondo la gravità del fatto e, si noti, secondo la pericolosità ed abitualità generica e specifica dell’agente (65).

Sempre nell’intento di affermare il carattere sanzionatorio della pena pecuniaria, carattere che noi riteniamo di aver ampiamente di­ mostrato (66), il M. precisa che la pena pecuniaria ha lo scopo di neutralizzare nell’animo del trasgressore il miraggio di supposti vantaggi economici, vale a dire ha una efficacia sostanzialmente in ti­ midatoria, propria delle pene.

Progredendo nello stesso ordine di concetti, afferma ancora che la pena pecuniaria non nasce come una obbligazione ex lege, dato il disposto dell’ art. 4 della legge, ma è applicata a mezzo di un atto dispositivo od imperativo sostanzialmente simile al giudicato penale.

Fin qui — come si vede — egli resta ancorato ai principi penali­ stici, salvo per la personalità del trasgressore, sostituita con la pa­ rafrasi pericolosità ed abitualità generica del trasgressore, di cui poi parleremo.

Ma il permanere nell’alveo dei principi penalistici si arresta a questo punto della concezione dell’Autore. D ’ ora in avanti egli vede un trasformazione di quella che, secondo le sue stesse inequivocabili affermazioni, è una sanzione, cioè, una pena, in una obbligazione civile, in una obbligazione, cioè, che perde il suo carattere sanzio­ natorio o punitivo per assumere una funzione meramente satisfat- toria.

Infatti, dopo aver sostenuto che nello sviluppo della procedura per la irrogazione della sanzione lo schema penalistico pervade la disciplina della pena pecuniaria, egli afferma che questi principi di

(65) È d’uopo qui mettere in risalto elle l’Autore non parla di personalità

del trasgressore ; la ragione di questa omissione si comprende, perchè in seguito

questo modo di interpretare la legge scritta, che, invece, parla proprio di per­

sonalità del trasgressore, dovrebbe essere utile alla sua tesi, secondo la quale

la legge n. 4 non parlerebbe di personalità secondo il concetto penalistico, ma di individualità (op. cit., 308 e 311).

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diritto penale operano e valgono soltanto fino a quando la pena è irrogata. È questo un passaggio dello studio molto importante, per­ chè, attraverso di esso, l ’ Autore abbandona il regime penale della pena pecuniaria per assumere il regime civilistico, vale a dire, dalla disciplina ispirata alla natura sanzìonatoria o punitiva della pena pecuniaria, egli passa alla disciplina di tale pena ispirata alla na­ tura civilistica della correlativa obbligazione, affermando che questa obbligazione creerebbe nell’ amministrazione un diritto subbiettivo che si atteggerebbe come quello della parte lesa (reciiuSj della per­ sona offesa dal reato).

Rilevato che la pena pecuniaria dopo la sua irrogazione si con­ creta in un debito patrimoniale, egli si chiede quale sia la natura di questo debito patrimoniale a carico del trasgressore e risponde : « La responsabilità verso la pubblica amministrazione che sostanzia l ’ illecito amministrativo determina, a differenza della responsabilità penale, diritti subbiettivi della pubblica amministrazione medesima, come la responsabilità civile determina diritti subbiettivi della parte lesa (67) ».

Su questo aspetto del pensiero del M ., secondo il nostro avviso, non è sufficiente esprimere delle riserve, ma bisogna manifestare un deciso dissenso, in quanto il ragionamento non contiene quella spie­ gazione giuridica che si attende chi legge, dopo avere appreso, al di fuori di ogni dubbio, che la pena pecuniaria è irrogata allo stesso modo della pena secondo l ’ordinamento penale, ma disvela solamente un tentativo, tanto palese quanto vano, di uscire dalla sfera dei principi penalistici. È un tentativo palese, perchè dimostra chiara­ mente l ’ intento dell’ Autore di sottrarre la disciplina della pena pecu­ niaria alle regole dell’ ordinamento penale, in quanto, solo ravvisando in tale pena un diritto civilistico di natura satisfattoria, sarebbe pos­ sibile sganciare la relativa prescrizione dalle regole della prescrizione penale, e questo è appunto lo scopo dello studio ; è un tentativo, però, anche vano perchè fa affidamento sulla equiparazione, se non vo­ gliamo dire sulla confusione, tra il concetto di sanzione-pena e quello di sanzione-riparazione del danno. Ma procediamo con ordine.

In primo luogo va messo in evidenza che anche l ’impostazione del passaggio in esame è in contrasto con altri punti dello studio; in ­ fatti, sostenendo che il diritto alla sanzione-pena sia un diritto sog­ gettivo identico o analogo a quello che sorge dalla responsabilità

(67) O p . c i t . , 309.

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civile a favore della parte lesa (rectius della persona offesa dal reato), in definitiva si attribuisce alla pena pecuniaria quella funzione sa- tisfattoria che lo stesso Autore, come già abbiamo visto, nega alla pena pecuniaria e riconosce, invece, alla sopratassa (6 8).

Non basta. La contraddizione di questo tratto dello studio — che riguarda il punto centrale dell’analisi — è ben altra, ben più profonda ed altrettanto evidente. Posto, infatti, lo schema che il M. stesso delinea — illecito amministrativo punito con una sanzione secondo principi penalistici, vale a dire in base alla gravità della violazione e alla personalità del trasgressore — , non è possibile, poi, ravvisare nella potestà dello Stato di applicare in concreto tale pena un diritto identico od analogo a quello della persona offesa dal reato, dipendente e derivante dalla responsabilità civile.

Se l ’Autore avesse inteso dire che in entrambi le ipotesi, poiché anche la pena è d’ indole pecuniaria, si matura un diritto ad una prestazione di danaro non si dovrebbe fare alcuna osservazione. Ma questo non è il suo intendimento ; egli mira, infatti, a trasformare in un diritto al risarcimento del danno il potere (diritto-dovere) di irrogare in concreto e, quindi, di esigere una pena d ’indole pecu­ niaria. E tale trasformazione non può essere consentita, se non a costo di frantumare la legge del 1929 e con essa principi indiscussi del nostro ordinamento giuridico.

Non può essere ammessa, oltre tutto, per l ’ evidente assurda con­ clusione alla quale si perverrebbe se la pena pecuniaria avesse una funzione satisfattoria per gli illeciti amministrativi tributari pu­ niti, oltre che con tale sanzione, anche con la sopratassa, come è fre­ quentissimo, dato che è confornie al principio contenuto nell’art. 5 della legge del 1929, n. 4 ; l ’amministrazione finanziaria, infatti, sarebbe, in definitiva, titolare di un duplice diritto al risarcimento del danno !

Ma tutto questo il legislatore non ha detto, nè ha voluto, anzi ha chiaramente escluso, quando, al citato art. 5, ha disposto che « per le violazioni prevedute negli arti. 2 (quelle, cioè, che costitui­ scono delitti e contravvenzioni) e (quelle, cioè, che costituiscono illeciti amministrativi puniti con la pena pecuniaria), le leggi fi­ nanziarie possono stabilire, in aggiunta alle sanzioni ivi indicate, che il trasgressore sia obbligato al pagamento di una sopratassa a favore dello Stato ». In tale norma, infatti, dato il pacifico carattere

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satisfattone» della sopratassa, è evidente come il legislatore, dopo aver stabilito le sanzioni, cioè, le pene, ha previsto anche la possi- bilità del risarcimento del danno, affidandolo alla sopratassa appo­ sitamente stabilita dalla legge.

A l M. ciò sfugge e, pertanto, quantunque all'inizio dello studio possa sembrare che egli consideri due diritti diversi quello d’ irro­ gare e d’applicare la sanzione intesa come pena, da un lato, e quello della parte offesa dall’illecito, dall’altro (69) ; arrivati al punto in esame si comprende che egli identifica il primo nella struttura che è propria del secondo (70).

Come già abbiamo avvertito, in questo tratto è reperibile una e- quiparazione o, meglio, una confusione tra pena e risarcimento del danno, confusione che non può essere giustificata e che, perciò, rende manifesta la impossibilità di accogliere la soluzione suggerita dallo Autore (71).

Nè sarebbe corretto trincerarsi dietro il termine generico di san­ zione, adducendo che tale termine ha un significato piuttosto vasto e sta ad indicare ogni conseguenza predisposta dalla legge per l ’ipo­ tesi della violazione di un precetto, e che, pertanto, sia la san­ zione-pena, sia la sanzione-risarcimento del danno, sia, infine, ogni altra conseguenza dell’illecito sono espressioni di un concetto unico e, quindi, sono produttive di effetti identici.

(69) Op. cit., 299 e 330.

(70) Egli dice, infatti: « L a responsabilità verso la pubblica Ammini­ strazione da parte di soggetti che non ne siano vincolati da un particolare rap­ porto di dipendenza, può comportare, quindi, logicamente, come avviene nel di­ ritto finanziario, l’applicazione di sanzioni di carattere afflittivo ed intimi­

datorio contro le lesioni dell’interesse pubblico, in obbligazioni sorgenti dai

diritti subiettivi violati» (op. cit., 309).

(71) «N on mancano scrittori — ha puntualizzato il Ma n z i n i, Dir. pen. it.,

1950, III, 10 — che considerano il risarcimento del danno quale una specie di pena. Ma, a prescindere che ciò non è seriamente sostenibile de iure condito,

ognuno vede come si tratti di due istituti essenzialmente diversi, anche se rap­ presentano sanzioni giuridiche del medesimo fatto; istituti diversi (e qui il

Ma n z i n i riproduce il pensiero del Rocco Art., L'oggetto del reato e della tu­ tela giur. pen., 424 e ss.) «relativamente allo scopo e alla funzione rispettiva, relativamente alla persona che può e che deve prestarli, relativamente alla per­ sona a cui favore devono essere prestati, e soprattutto relativamente a ciò che si deve prestare ».

Altri ha chiarito che il risarcimento del danno non può considerare nep­ pure come una sanzione in genere, perchè la sua funzione non è quella propria delle sanzioni, dato che « non alla illiceità il risarcimento è rimedio, ma alla dannosa conseguenza dell'atto illecito, ove questo leda un interesse patrimoniale o morale» ( Ce s a r i n i Sf o r z a, Risarcimento e sanzione (estr. dagli Studi in onore di S. Romano) 1939, n. 8 e ss.

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Non sarebbe corretto perchè, se è vero che la sanzione in senso lato « è la inevitabile conseguenza dell’adempimento o dell’inadem­ pimento della legge » (72), è altrettanto vero che « tradizionalmente con il termine di sanzione si intende, in senso più ristretto, quello di castigo per l ’ipotesi di un inadempimento del precetto legislati­ vo » (73) e che secondo questo significato essa si differenzia dalla cosiddetta sanzione civile (74).

Sulla base della differenziazione tra la sanzione-pena e la sanzione-risarcimento, che è ormai al di fuori di ogni dubbio, è agevole reperire la inesattezza nella quale, a nostro avviso, è incorso il M. allorché ha affermato che la responsabilità verso la pubblica amministrazione, da parte di soggetti che non ne siano vincolati da un particolare rapporto di dipendenza, potrebbe comportare la applicazione di sanzioni di carattere afflittivo ed intimidatorio contro le lesioni dell’interesse pubblico, le quali, se applicate, si concretano in obbligazioni sorgenti da diritti subbiettivi violati.

Con tale ragionamento, infatti, la sanzione-pena (irrogata, come è pacifico, in base alla gravità del fatto e alla personalità del tra­ sgressore) genererebbe delle obbligazioni sorgenti dai diritti sogget­ tivi violati. E ciò non può essere ammesso, perchè è palese la incon­ ciliabilità tra « lesione dell’ interesse pubblico » e « obbligazioni sor genti dai diritti soggettivi violati », se, come l ’Autore ammette, alla lesione dell’ interesse pubblico si contrappone una sanzione-pena (7 5).

(72) Ma g g io r e, Dir. pen., 657.

(73) Bettioi., Dir. pen., 530.

(74) Invero, mentre la sanzione civile è predisposta sostanzialmente per il ristabilimento di una situazione di equilibrio tra due patrimoni, sorta dal fatto illecito, tanto che l’obbligazione in cui si sostanzia si trasmette agli eredi, la sanzione intesa quale pena, invece, soddisfa la necessità da parte dello Stato « di intervenire nella maniera più energica per riaffermare inesorabilmente la necessità e la ineluttabilità del diritto, per ripristinare, in una parola, quella situazione di pacifica convivenza, giuridicamente ordinata che il fatto crimi­ noso ha scosso » ( Re g i n a, La norma penale, 146).

Con la pena, invero, « non si tratta di ripristinare lo stato di fatto speci­ fico che il reato ha alterato, vale a dire di quella specifica e concreta posi­ zione d’interessi scossa dall’atto illecito penale, ma di garantire la coscienza sociale che il diritto una volta leso è capace di reagire, che non si viola impu­ nemente il diritto, specie quando esso con le sue norme tutela delle condizioni o delle situazioni d’interesse, indispensabili ad una ordinata e pacifica convi­ venza sociale » ( Be t t i o i,, op. cit., 536). La pena, « non rappresentando l’attua­

zione effettiva, reale e concreta del precetto, è invece soltanto una riafferma­ zione ideale, morale, simbolica del precetto stesso ; poiché essa è essenzialmente l’umiliazione della volontà ribelle al precetto, la riaffermazione energica della esigenza asoluta di obbedienza e il costringimento alla sottomissione dinanzi all’Autorità della legge » ( Gr i s p i g n i, Dir. pen., I, 139).

(75) Se genericamente si può dire, ed è stato detto, che la sanzione-pena è una conseguenza giuridica del reato, più ampiamente, dell’illecito, così come

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L ’ Autore è arrivato alle sue conclusioni —< che, secondo noi, per i motivi su esposti non possono essere accettate —• perchè, forse, è stato suggestionato dal fatto che, per le violazioni punite con la pena pecuniaria, titolare del diritto di punire è lo Stato, attraverso gli organi delPamministrazione finanziaria (intendente, ministro), nonché dalla concomitante circostanza che la riscossione della pena oecuniaria è affidata ad organi della stessa amministrazione ; e da tanto ha tratto l ’illazione che dalla violazione possano nascere delle obbligazioni in dipendenza dei diritti soggettivi violati.

Ma è chiaro che la particolare situazione processuale e di esecu­ zione, sulla quale si adagia la disciplina della pena pecuniaria, noD consente di giustificare il pensiero sopra esposto, per la stessa ra »ione, tanto per fare un esempio, per cui non si potrebbe pensare alla lesione di un diritto soggettivo dell’amministrazione della giu­ stizia, quando questa punisce chi usa violenza ad un corpo giudizia­ rio (art. 338 c.p.) ovvero punisce il proprio funzionario che si sia reso responsabile di peculato (art. 314 c.p.). In queste e in altre ipo­ tesi facilmente immaginabili l ’amministrazione della giustizia, pur essendo anche la persona offesa dal reato e pur potendo agire come tale per ripristinare lo status quo ante ovvero per il risarcimento del danno, allorquando irroga la pena non fa valere il suo diritto sog-conseguenza giuridica del reato è anche il risarcimento del danno prodotto dal reato e, in genere, dall’illecito, tuttavia questa unificazione concettuale della

pena e del risarcimento nel termine conseguenze giuridiche non soddisfa, non

solo le esigenze della dogmatica, ma anche le stesse esigenze pratiche. « La dogmatica giuridica — è stato precisato — per essere pregna di vita e di con­ cretezza non può dimenticare che la pena è qualche cosa di più vivo e di più umano di quanto non sia la semplice « conseguenza giuridica del reato...

« Una prima via per uscire da un piano meramente formale dì ricerca è quella di mettere in relazione la pena con la natura degli interessi tutelati dal precetto che il reato viene a ledere. Quando si ammetta che la norma penale tu­ tela interessi pubblici, degli interessi di tutta la collettività o anche degli in­ teressi privati che vengono però assunti quali interessi dello Stato, che della collettività è la personificazione specifica, è chiaro che la pena, come sanzione, non può essere predisposta per ripristinare uno stato di fatto irrimediabilmente alterato, nè può servire a risarcire lo Stato del danno che il reato ha recato alla compagine sociale» ( Be t t io t,, op. cit., 536). Da questa chiarissima contrap­ posizione. tra interessi tutelati dalla pena e interessi tutelati dal risarcimento, deriva che se è possibile parlare di lesione di interessi pubblici, intendendo come tali quelli della collettività organizzata di Stato e che si riassumono nella ne­ cessità di colpire chi viola la legge, non è però possibile —- e non può essere consentito — assumere che dalla lesione di tali interessi lo Stato, per esercitare la potestà punitiva, diventi creditore di obbligazioni sorgenti dai diritti sog­ gettivi violati. Non è possibile perchè dalla violazione del precetto, quando per tale violazione è prevista una sanzione-pena, nasce solo la potestà di punire attraverso la quale non la titolarità di una obbligazione si manifesta, ma la sovranità dello Stato... « in tutta la sua potenza e la sua severità » ( Be t t io t,. op. cit., 73).

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gettivo, per la tutela o reintegrazione del proprio interesse, ma eser­ cita soltanto la sovranità dello Stato di punire, cioè di infliggere un male all’autore di un maleficio propter rnaleficium.

Ora la medesima, identica situazione si verifica quando l ’ammi­ nistrazione finanziaria — conferendole tale potestà la legge — attra­ verso i suoi organi irroga e riscuote la pena pecuniaria prevista dalla legge n. 4 ; vale a dire esercita la potestà di punire, esercita la so­ vranità dello Stato di infliggere un male a ll’autore di un maleficio propter rnaleficium.

E poiché la legge stessa stabilisce quando la predetta ammini­ strazione finanziaria è titolare anche del diritto al ripristino dello status quo ante o del risarcimento del danno, nei casi, cioè, in cui essa è titolare anche del diritto alla sopratassa (art. 5 della legge n. 4), resta così dimostrata, al di sopra di ogni incertezza, l ’ impossi­ bilità di fondere, di assimilare o di confondere l ’ esercizio della so­ vranità statale d’ irrogare la sanzione-pena pecuniaria e l ’ esercizio del diritto nascente dalla violazione degli interessi di essa ammini­ strazione.

Quanto fin qui si è detto — una volta affermato, come fa l ’A u ­ tore, che la pena pecuniaria è una pena, che la sopratassa assolve, invece, una funzione meramente satisfattoria, che la pena pecuniaria deve essere irrogata secondo lo schema penale — trova ulteriore lim­ pida spiegazione e conferma per le violazioni costituenti contrav­ venzione d’indole tributaria punite con l ’ammenda dall’intendente di finanza a mezzo del decreto penale (artt. 36 e ss. L. n. 4). Anche in tale particolare ipotesi ad un organo dell’amministrazione finanzia­ ria la legge conferisce la potestà di esercitare la sovranità dello Stato d’irrogare la pena — l ’ammenda — , anche in tale ipotesi è chiaro