di un nuovo termine in materia fiscale ». La Commissione Finanze e Tesoro veniva incaricata di esaminarlo in sede deliberante.
33. Zone industriali.
a) I l 13 aprile la Camera deliberava che la proposta di legge 325, d iniziativa del deputato Lucchesi e di altri deputati, intesa a prorogare sino al 31 dicembre 1965 le agevolazioni tributarie a favore della zona industriale di Livorno concesse dalla legge 12 luglio 1951, n. 561, fosse presa in considerazione e esaminata con procedura d ’ur genza. I l giorno successivo le Commissioni riunite Finanze e Indu stria venivano incaricate di esaminare la proposta in sede referente, udito il parere della Commissione Bilancio.
b) A lla Camera, il 28 aprile, la Commissione Bilancio, e il 15 giugno, le Commissioni riunite Finanze e Industria iniziavano ad esaminare le proposte di legge 256 e 103 concernenti agevolazioni alla zona industriale di Massa e Carrara (si v. questa Rivista, 1961, I, pag. 252).
c) I l 13 giugno, alla Camera, veniva presentato il disegno di legge 3085, d’iniziativa del Ministro delle Finanze, intitolato « A ge volazioni tributarie a favore degli stabilimenti industriali del terri torio di Monfalcone ». Le Commissioni riunite Finanze e Industria venivano incaricate di esaminare il disegno di legge in sede legisla tiva, udito il parere della Commissione Bilancio.
d) Il 15 giugno le Commissioni riunite Finanze e Industria della Camera, in sede legislativa, esaminavano la proposta di legge 1925, d ’iniziativa del deputato Bozzi, intitolata « Provvedimenti per lo
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sviluppo industriale della zona di Monfalcoiie » (si v. questa Rivinta, 1961, I , pag. 252). La seduta veniva sospesa, dopo che le Commissioni erano state informate della presentazione alla Camera da parte del Ministro delle Finanze di un disegno di legge sulla stessa materia della proposta Bozzi (si v. retro, sub o) e che il Presidente della Com missione Finanze aveva chiesto al Presidente della Camera che la proposta Bozzi venisse esaminata in sede referente e non legislativa dalle Commissioni riunite.
R E C E N S I O N I
Economie consequenoes of thè sìze of nations - Proccedings of a confcrence held t>y thè International Economie Associatìon, edited by E. A. G. Ro
binson, Macmillan & Co, London, 1960, in 8° pp. XXII-447, prezzo 50 scellini. Integrazioni economiche, Mercato Comune, Zona di Libero Scambio, così come molte altre proposte tendenti ad aumentare ed a facilitare gli scambi internazionali hanno formato l’oggetto di molte discussioni negli ultimi anni.
Le « Conseguenze economiche della dimensione delle nazioni » costituirono appunto il tema di un congresso della « International Economie Association » tenutosi a Lisbona nell’aprile del 1957, ed il cui scopo fu di studiare tino a qual punto l’aumento delia dimensione di una nazione e di un mercato na zionale può permettere la realizzazione di economie che sarebbero altrimenti impossibili.
Il volume che qui si esamina raccoglie gli studi presentati da vari stu diosi al convegno di Lisbona. Da principio in « Il concetto di nazione e la sua rilevanza per l’analisi economica » di I. Svennilson viene proposta una defi nizione del concetto di nazione come « sistema di autorità politica... congiunta ad una serie di fatti culturali ed istituzionali » e si esaminano diversi pos sibili gradi di integrazione nazionale ed internazionale con i relativi problemi politici ed economici. Nel successivo studio, « lo sviluppo economico delle pic cole nazioni », S. Kuznets afferma che lo svantaggio in cui si trova una piccola nazione per quanto riguarda la superficie, la popolazione, le risorse naturali e le relativamente maggiori spese di difesa può essere compensato dalla mag gior adattahilità ai cambiamenti tecnologici e, generalmente, da una maggiore coesione interna.
Segue un gruppo di studi (« Studio sulla dimensione e l’efficienza dell’eco nomia americana » di S. Fabricant ; « Studio sull’efficienza di una piccola nazione: la Svizzera» di W. A. Johr e F. Kneschaurek ; «Studio sull’efficienza di una piccola nazione: il Belgio» di L. Duquesne de la Vinelle) dai quali appare che le economie di scala possono spiegare solo parzialmente l’alto grado di efficienza di una economia : hen più importanti di essa, in realtà, sono altri elementi quali un elevato grado di efficienza individuale e di istruzione tecnica generale ed un elevato saggio di investimenti per abitante. Nella stessa linea di pensiero si possono collocare i due saggi seguenti : « Sono illimitate le economie di scala?» di J. Jewkes e «Dimensione dei mercati, scala delle imprese ed il carattere della concorrenza » di C. D. Edwards : da essi emerge la conclusione che, eccettuate alcune industrie eccezionali, la maggior parte delle economie di scala di carattere tecnico può essere realizzata da imprese di media grandezza.
Ad uno studio di C. NT. Vakil e P. R. Bralimananda su « I problemi dei paesi in fase di sviluppo ». segue « L’esperienza dell’Italia » di V. A. Marsan. L A. dimostra come dal punto di vista dell’Italia la partecipazione al Mercato
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Comune abbia aperto nuove possibilità. Infatti un esame della nostra struttura industriale dimostra che, a causa del basso livello del reddito per abitante, molto spesso le dimensioni che garantiscono ad un’impresa l’efficienza tecno logica sono tali da bastare ai bisogni dell’intero mercato interno : ciò non solo rende rischiosi gli investimenti ed eccessivamente dispendiosa la ricerca scien tifica, ma comporta anche che la produzione avvenga spesso in condizioni di monopolio.
Problemi particolari sono esaminati in « Dimensione e possibilità di con correnza : la lezione dell’Austria » di K. W. Rothschild ed in « I problemi dello sviluppo economico portoghese » di L. T. Pinto.
In base all’esperienza passata non si può stabilire se le grandi nazioni, in quanto posseggono risorse differenziate, si trovino avvantaggiate, per quanto concerne uno sviluppo stabile e continuato, sulle piccole nazioni che godono di un’organizzazione politica ed economica più flessibile. Sono queste le con clusioni cui giungono L. Tharsis in « La dimensione di una economia e la sua connessione con la stabilità ed un progresso continuo » e G. Leduc e J. Weiller in un successivo saggio dal medesimo titolo. Se a questo riguardo si considerano problemi non solo strettamente economici, ma anche, più ge neralmente, politici non si può non attribuire importanza ad eventuali eco nomie di scala nell’ambito dell’attività della pubblica amministrazione e della difesa nazionale : è questo l’argomento di « La dimensione della nazione ed il costo dell’amministrazione » di E. A. G. Robinson, il quale attraverso con fronti fra varie nazioni giunge alla conclusione ulteriore che nel campo dei servizi sociali la densità della popolazione è quasi sicuramente più importante della cifra assoluta della popolazione. Infatti una scarsa densità può, per es., portare come conseguenza grandezze non ottime di scuole e ospedali e maggiori costi amministrativi per unità di servizio reso. Le economie di scala che si possono poi verificare nel campo della pubblica amministrazione e della di fesa nazionale sono molto difficili da misurarsi a causa della limitatezza e delia mancanza di omogeneità dei dati disponibili. Un brevissimo studio di W. Prest («N ota sulla dimensione degli stati ed il costo dell’amministrazione in Australia ») conclude l’argomento.
« La dimensione della nazione e la sua vulnerabilità nei confronti del na zionalismo economico » di R. Triffìn è uno studio estremamente interessante che tocca vari aspetti, e non solo economici, del problema : di esso è possibile citare qui solo una delle conclusioni « una razionale politica di integrazione non può più fermarsi ai confini nazionali e non può essere condannata o approvata soltanto in base ad una considerazione strettamente economica dei suoi effetti creativi o distorsivi degli scambi... ».
D ’altronde, dagli studi successivi di G. Marcy « Fino a che punto il commercio internazionale e le unioni economiche possono dare alle piccole nazioni i vantaggi delle grandi nazioni » e di T. Scitovsky « Commercio in ternazionale ed integrazione economica come mezzo per superare gli svantaggi di una piccola nazione » risulta che sebbene gli scambi internazionali possano in un certo senso offrire un’alternativa alla piccola dimensione del mercato interno, tale alternativa è pur sempre precaria a causa delle incertezze re
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lative ad interventi politici, a rischi sulla convertibilità delle monete ed a differenti saggi di inflazione. Tutto questo senza tener conto del fatto che talvolta sui mercati esteri vi sono differenze di gusti tali che impongono spe ciali caratteristiche ai prodotti, sicché i vantaggi della produzione in serie vengono ridotti.
Ultimo è lo studio di P. J. Verdoorn su « Gli scambi all’interno del blocco del Benelux ». L’esame delle conseguenze della creazione di un mercato comune, simile a quello successivamente sorto fra i sei paesi della C.E.E., presenta notevole interesse. Con l’ausìlio di metodi econometrici che rendono alquanto difficile la lettura di questo saggio, si cerca di valutare quantitativamente l’effetto complessivo della soppressione delle tariffe doganali. Le principali conclusioni possono così riassumersi: l’incremento in valore delle importa zioni di manufatti dall’Olanda in Belgio che può essere attribuito alla unione economica è del 65 %, mentre la componente di volume è del 25 %. Rispetto alle importazioni da paesi terzi, il prezzo per unità scambiata si calcola sia aumentato del 30 % circa. Per quanto riguarda i prezzi di concorrenza, i prezzi delle esportazioni olandesi si sono adeguati a quelli belgi, i quali erano più elevati di un 3 % a causa del costo del lavoro. Un esame di 121 cate gorie di beni ha dimostrato che, sempre rispetto agli scambi prima dell’unione economica, non vi è stata divisione di lavoro fra le differenti categorie di prodotti e che le quote dei vari gruppi di beni nel totale delle esportazioni hanno avuto tendenza ad eguagliarsi.
Come apparirà anche da questo breve riassunto, tutti, o quasi, gli studi contenuti nel volume possono esser suddivisi, per quanto riguarda le conclu sioni, in due grandi gruppi : quegli studi, cioè, che affermano l’esistenza di vantaggi economici derivanti ad un’economia dall’estendersi delle sue dimen sioni — e conseguentemente, seppur indirettamente, la utilità di unioni eco nomiche — ed un altro gruppo di saggi nei quali si sostiene la irrilevanza del problema della dimensione. Va avvertito che alcuni autori, per es. Kuznets, arrivano a conclusioni diverse a seconda degli aspetti esaminati.
Se dunque si volessero riunire gli argomenti in favore della prima conclu sione si troverebbero : maggiori disponibilità di risorse produttive (Kuznets), economie di scala per le imprese (Fabricant) e per la pubblica amministra zione e la difesa (Robinson e Kuznets), minori possibilità di concentrazioni monopolistiche e maggiori disponibilità per la ricerca scientifica per le imprese dei paesi in cui il reddito per abitante è basso (Marsan, Brahmananda, Plnto), minor vulnerabilità negli scambi internazionali in tempi di crisi (Rothschild, Scitovsky, Marcy).
Di contro si troverebbero ragioni in favore di una piccola dimensione — e cioè: maggior coesione interna ed adattabilità ai cambiamenti tecnologici (Kuznets) — o che dimostrano la irrilevanza, per molti aspetti di una grande dimensione oppure dell’espansione oltre le dimensioni già raggiunte nei paesi sviluppati. Infatti se è vero che dalla dimensione possono derivare economie di scala, più importanti di esse, per quanto riguarda l’eificienza di un’economia, sono l’efficienza individuale, il saggio di investimenti per abitante, l’istruzione tecnica (Fabricant, Jòhr e Kneschaurek, Duquesne de la Vinelle) ; anche per
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quanto riguarda uno sviluppo stabile e continuato non si può dire che abbia grande rilevanza la dimensione di una nazione (Tharsis, Weiiler), mentre per i servizi sociali infine, conta più, come si è visto, la densità della popolazione che la cifra assoluta di essa.
Chiude il volume un esteso riassunto della discussione sulle relazioni presentate, a cura di Douglas Hague.
A . Ch iancone
Gaetano Stam m ati, La Finanza Pubblica, 2a ed., Zanichelli, Bologna, 1960, pagg. 352.
Il volume, corredato da 40 tavole statistiche, può essere idealmente diviso in due parti. Nella prima (pagg. 1-104) lo S. si occupa di alcuni problemi gene rali della teoria della finanza e del sistema fiscale italiano. Nella seconda, (pagg. 104-345) di questioni specifiche riguardanti singole imposte nella poli tica finanziaria italiana.
Il primo capitolo è dedicato alla natura ed ai fini dell’attività finanziaria e il secondo capitolo (Struttura economica e struttura tributaria), riguardo al problema del prelievo pone in luce alcune sue caratteristiche: rigidità del sistema tributario, stretta correlazione tra struttura fiscale e struttura eco nomica, necessaria concomitanza nella scelta degli strumenti fiscali e di inter vento economico che pongono in difficoltà la esecuzione di eventuali programmi di « riforma », etc.
Nel terzo capitolo (Pluralità dei soggetti imposi tori e pressione tributaria) lo S. rivolge la sua attenzione alla « congerie » (come egli la denomina) di enti impositori esistenti nel nostro paese. Nell’ultima parte del capitolo ven gono svolte alcune precisazioni sui concetti di contabilità nazionale, di reddito nazionale, di bilancio economico nazionale, sulla tecnica di analisi delle inter dipendenze settoriali e sui rapporti tra il bilancio dello Stato e quello eco nomico nazionale. A proposito di quest’ultimo problema, lo Stammati osserva che sussistono molte difficoltà per stabilire un collegamento tra questi due documenti, sia per lo sfasamento tra il periodo di tempo cui si riferiscono, sia per i diversi criteri adottati per la classificazione delle operazioni, sia per la mancanza di un bilancio consolidato della Pubblica Amministrazione nel suo complesso.
Chiudono la prima parte due capitoli sulla « Pluralità delle imposte e criteri per la loro classificazione » e « Le tasse. Formazione del prezzo delle imprese di pubblica utilità ».
La seconda parte, si inizia con la trattazione del problema dell’imposizione dei redditi delle società di capitali e degli azionisti. Lo S. respinge la teoria secondo la quale, attraverso la tassazione del profitto delle società di capitali si colpisce puramente il reddito dei soci, ed accetta quella che giustifica la imposizione autonoma e maggiore degli organismi societari per l ’autonoma ca pacità economica e contributiva derivante dal godimento di una serie di be nefici, e dal passaggio a riserva di parte degli utili ed incrementi di valore negli elementi patrimoniali e da altri motivi politico-sociali.
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Non tassando in forma autonoma le società di capitali, sostiene lo S., si verificherebbe un salto o uno sfasamento temporale di imposta. Contro coloro che sostengono che l’imposta sui profitti delle società in breve periodo non si trasferisce, e che invece, in lungo periodo, può trasferirsi almeno in parte sui consumatori, egli oppone che le condizioni precedenti all’imposta possono essere diverse, che accanto al movente del conseguimento del massimo profitto, l ’imprenditore può essere spinto dal desiderio della sicurezza, oppure che, ab bandonando il criterio del massimo profitto, può ricercare una certa combi nazione preferita tra reddito e risparmio. In ognuna di queste situazioni la introduzione dell’imposta provocherà effetti differenti, la cui determinazione si presenta difficile, per la dubbia distinzione tra periodo breve e periodo lungo, per l ’indeterminatezza delle relazioni tra la imposta e la condotta delle società, per lo svincolo del controllo dalla proprietà e per resistenza nel corpo sociale di gruppi contrastanti. Per tutte queste ragioni, che rendono non determinabili gli effetti dell’imposta, lo S. ritiene che « gli effetti di questa imposta e delle altre imposte possano essere meglio studiati in termini ma croeconomici », cioè con particolare riguardo alla capacità che esse rivelano di influire sulla formazione del reddito nazionale, sulla sua distribuzione e sulla stabilità del sistema economico.
Nel cap. V ili, dopo l ’analisi delle norme regolanti l'imposta di registro, e di successione, segue una interessante disamina dei diversi tipi di imposta sugli scambi secondo la loro struttura, con approfondimento dei vantaggi e degli inconvenienti dei vari tipi : a cascata, sul valore aggiunto e monofase, questi ultimi visti anche come possibili alternative alla nostra IGE. In questa parte lo S., che già ebbe ad occuparsi del problema (V. Sistemi fiscali e mer
cato comune, Universale Studium, Roma, 1959), porta un notevole contributo
di esperienza e di chiarezza.
Negli ultimi capitoli (dal IX al XV) l’A. si occupa dell’imposizione sui consumi, con particolare riguardo ai problemi sollevati dall’applicazione del Trattato della OEE; della riforma tributaria Vanoni; dell’accertamento; del contenzioso e della finanza locale italiana.
Nel capitolo sulla « Riforma Vanoni », lo Stammati tenta una valutazione critica delle due scelte fondamentali, operate dalle due leggi del 1951 e del 1956, relative alla dichiarazione unica, analitica ed annuale dei redditi e all’accertamento analitico dei redditi imponibili, e della vasta opera di rior ganizzazione degli uffici e_ dei servizi. La parzialità del successo della riforma è da attribuire a fattori esterni, quali l’azione contraria di « interessi più o meno consapevolmente e durevolmente coalizzati» e la circostanza che essa « non potesse inserirsi in un più vasto quadro di riforme di struttura, interes santi la economia pubblica e privata ». Sul piano tecnico furono fattori nega tivi « la insufficienza o la mancanza di uomini e di mezzi » e « l ’iter faticoso, contrastato od in gran parte incompiuto degli altri provvedimenti, ai quali la legge del 1951 intendeva aprire la strada, ponendo alcune fondamentali premesse ». Si tratta della legge sul contenzioso e sulla Finanza Locale e delle singole leggi volte a riordinare i diversi tributi diretti ed indiretti (riforma delle imposte di registro, di successione, sull’entrata; introduzione dell’im posta patrimoniale ordinaria ; aumento dei minimi di esenzione ; riduzione delle aliquote delle imposte reali),
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L’opera dello Staminali si presenta particolarmente interessante, poiché in essa l’A., alla luce della decennale esperienza a servizio dell’Amministra zione Finanziaria e in accordo con una moderna impostazione teorica, cerca di rispondere a molti dei dubbi, dei quesiti e delle difficoltà che il nostro sistema tributario solleva.
Qualche riserva può porsi riguardo alla completezza dell’opera come ma nuale, anziché come monografia, in quanto in questa edizione alcuni problemi non sono stati svolti (effetti economici della finanza, finanza della sicurezza sociale) ed altri (quali quello della formazione del prezzo delle spese pub bliche e delle imposte di successione) sono stati trattati molto rapidamente.