• Non ci sono risultati.

2. LA DIMENSIONE NON VERBALE

2.5 LA DIMENSIONE VESTEMICA

2.5.1 CARATTERISTICHE E FUNZIONI

A differenza di altre dimensioni non verbali, come ad esempio la prossemica e la cinesica, la vestemica, in comune col trucco, lo stato e il trattamento della pelle, l’acconciatura dei capelli, ecc. è “sotto il controllo volontario della persona e può pertanto essere almeno parzialmente modificato” (Ricci Bitti, Cortesi 1977 p.62). Le caratteristiche di volontarietà e di modificabilità del comportamento vestemico vengono confermate da Argyle (1992, p.228), sebbene egli accentui il fatto che talvolta le scelte

247https://www.researchgate.net/profile/Jacqueline_Pugh/publication/6322705_The_Influence_of_Electro

nic_Medical_Record_Usage_on_Nonverbal_Communication_in_the_Medical_Interview/links/02bfe5102 a51032c55000000/The-Influence-of-Electronic-Medical-Record-Usage-on-Nonverbal-Communication- in-the-Medical-Interview.pdf Data ultima consultazione: 13/09/2018

dell’abbigliamento dipendano da delle convenzioni, mettendo in rilievo la dimensione sociale: “I vestiti sono lo strumento che è maggiormente sotto il nostro controllo, benché la nostra scelta sia influenzata da altre motivazioni, diverse dalla comunicazione, ad esempio tenerci caldi e uniformarci alle convenzioni”. Tale pensiero è condiviso anche da Lowell (1992, p.2), che afferma: “L’abbigliamento è a volte utilizzato dalle persone in modo consapevole nell’ambito sociale della loro particolare cultura, con lo scopo di influenzare gli altri in determinati modi”248. Secondo Poyatos (1988, p.292), inoltre, l’abbigliamento diventa “un sistema di comunicazione primario e universale. È un sistema intenzionale complesso acquisito da tutti i membri di qualsiasi cultura a qualsiasi giovane età”249. Le persone, indossando determinati abiti, dedicando un’attenzione speciale al proprio aspetto e dunque manipolando la propria immagine intendono fornire una “certa autopresentazione” (Ricci Bitti, Cortesi 1977, p.63) agli altri.

All’autopresentazione di sé, a cui abbiamo appena visto partecipano le scelte del vestiario, Argyle ricollega la teoria di Goffman (1956) detta della presentazione di sé, o self-presentation. Argyle (1992, p.229) riassume tale teoria nel seguente modo: “Le persone manipolano le impressioni che desiderano suscitare sugli altri tramite un modo intenzionale di presentarsi, che assume quasi la forma di una rappresentazione teatrale, nell’ambito della quale l’aspetto esteriore gioca una parte di rilievo”. In sostanza, una persona opta per un certo codice vestemico in base a diversi fattori, che possono essere ad esempio un colloquio di lavoro, la propria professione, la volontà di persuadere qualcuno per raggiungere un determinato obiettivo. Richmond (1987 p.34) giunge dunque alla seguente conclusione citando le parole di Morris (1977, p.213): “è impossibile indossare un abito senza trasmettere dei segnali sociali”250. Todorović et. al (2014, p.322)251 dconfermano quanto affermato da Morris e vedono infatti l’abbigliamento come “una tipologia specifica di scultura sociale”252.

Con il vestiario si possono dunque comunicare differenti messaggi che variano dai più personali - come sostengono Todorović et. al (2014, p.322)253: “l’abbigliamento

248 “Clothing … is sometimes even consciously utilized by individuals in the social milieu of their particular culture, in order to influence others in particular ways”

249 “a universal, primary, nonverbal communication system. It is a complex intentional system learned by all members of any culture at any early age” (traduzione nostra)

250 “it is impossible to wear clothing without trasmitting social signals”

251 http://www.tekstilec.si/wp-content/uploads/2014/12/321-333.pdf Data ultima consultazione: 05/07/2018

252 “a specific kind of social sculpture”

253 http://www.tekstilec.si/wp-content/uploads/2014/12/321-333.pdf Data ultima consultazione: 05/07/2018

rappresenta il nostro mondo interiore”254 e Kosowska-Ślusarczik (2014, p.169)255: “L’abbigliamento può rivelare molto sull’umore di una persona in una determinata giornata”256 - ai più sociali. Partendo dal presupposto che “fare una lista di ciò che viene invariabilmente comunicato dai vestiti sarebbe impossibile”257 (Knapp et. al 2013, p.190), presentiamo qui di seguito una lista approssimativa (proposta da Argyle, 1992) delle funzioni che il nostro vestiario può trasmettere, con degli approfondimenti più o meno dettagliati per ogni punto:

- “Manifestare caratteristiche personali positive, che si possono o meno possedere, o caratteristiche che saranno approvate dagli altri” (Argyle 1992, p.229).

Poniamo per un momento l’attenzione sulla frase incisiva scritta da Argyle, ovvero su quelle caratteristiche personali positive che si possono o meno possedere. L’abbigliamento potrebbe essere infatti utilizzato come una sorta di maschera per nascondere all’interlocutore un particolare stato d’animo, ad esempio, o un’imperfezione del nostro corpo - come afferma Kosowska-Ślusarczik (2014, p.172)258: “Le persone usano l’abbigliamento per nascondere alcune imperfezioni del loro aspetto esteriore e rafforzare la loro autostima”259 - o per fingere di fronte al proprio interlocutore: “L’abbigliamento può portare anche un’arguta cattiva informazione, come quando le persone si vestono in modo ingannevole per mascherarsi o indossano un tipo di abbigliamento che indica un certo status a cui non appartengono o professione che non hanno il diritto di svolgere”260 (Finnegan 2002, p.131) e “I vestiti possono essere una sorta di maschera che cela le debolezze o le false intenzioni delle persone”261.

- “Accentuare le caratteristiche che ci rendono fisicamente attraenti” (Argyle 1992, p.229).

254 “Clothing … represents our interior world”

255http://nowadays.home.pl/JECS/data/documents/JECS=202014=20=282=29=20169.179.pdf Data ultima consultazione: 30/09/2018

256 “Clothing says a lot about … a person’s mood on a particular day”

257 “to make a list of the things invariably communicated by clothes would be impossible”

258http://nowadays.home.pl/JECS/data/documents/JECS=202014=20=282=29=20169.179.pdf Data ultima consultazione: 30/09/2018

259 “People often use clothing to hide some of the imperfections in their appearance and strengthen their self-esteem”

260 “Clothes can carry clever misinformation, too, as when people dress misleadingly to disguise themselves or wear clothing suggesting a status or profession to which they are not entitled”

Come nota Leathers (2007, p.182, citato da Kosowska-Ślusarczyk 2014, p.176)262, infatti: “L’avvenenza fisica è fortemente influenzata dall’abilità di selezionare l’abbigliamento appropriato”263;

- “Ostentare certi aspetti dell’immagine di sé, ad esempio vivacità o virilità” (Argyle 1992, p.229)

Ma non solo: più che ostentare certi aspetti della propria immagine per ottenere determinati vantaggi di fronte a un determinato interlocutore o esercitare una certa influenza su di esso, il vestiario, a detta di Ellgring (2010, p.21)264 non è altro che una “Selbstdarstellung”, un’autorappresentazione, o una “Definition der eigenen Identität”, una definizione della propria identità, dunque anche della propria personalità. “Un estroverso euforico non indosserà un abito scuro con una cravatta nera”, affermano Ricci Bitti e Cortesi (1977, p.63). Rosenfeld e Plax (2006, pp. 24-31)265, riprendendo lo studio di Aiken (1963) sul rapporto tra personalità (femminile) e tipo di abbigliamento indossato, hanno realizzato un questionario che ha contribuito a spiegare, secondo diverse variabili, quale fosse il rapporto tra abbigliamento e personalità, sia in soggetti femminili, sia in soggetti maschili.

Il modo di vestire, i colori in particolare, possono trasmettere informazioni sullo stato d’animo di una persona. Rudrow (2014)266, citando uno studio di Hill e Barton (2005) afferma che “il rosso è spesso associato all’aggressione e alla dominanza”267, o comunque associato ad un’esperienza di rabbia come sostengono Dael et. al (2016, p.1620)268: “L’esperienza soggettiva della rabbia è associata al concetto concreto di rosso”269. Essi specificano inoltre che i meccanismi associativi che stanno alla base la scelta del colore in determinate occasioni può derivare da usi e credenze culturali: “ad esempio, il grigio è usato per dare una connotazione mediamente negativa, come nelle espressioni “tempo grigio” e “mercato grigio””270 (Dael et. al 2016, p.1620)271. In particolare, questi autori hanno svolto uno studio volto ad analizzare la tonalità, la saturazione e il grado di calore

262http://nowadays.home.pl/JECS/data/documents/JECS=202014=20=282=29=20169.179.pdf Data ultima consultazione: 30/09/2018

263 “The physical attractiveness is strongly influenced by the ability to select appropriate clothes” 264https://core.ac.uk/download/pdf/35090059.pdf Data ultima consultazione: 05/07/2018

265https://www.researchgate.net/publication/229547513_Clothing_as_Communication Data ultima

consultazione: 05/07/2018

266http://www.kon.org/urc/v13/rudrow.html Data ultima consultazione: 11/07/2018 267 “red is often associated with aggression and dominance”

268 http://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1080/17470218.2015.1090462 Data ultima consultazione: 11/07/2018

269 “the subjective experience of anger is associated with the concrete concept of red”

270 “for instance, grey is used to give a midly negative connotation, as in grey weather or grey market” 271 http://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1080/17470218.2015.1090462 Data ultima consultazione: 11/07/2018

del colore in relazione alle espressioni emotive di gioia e paura. In generale, è emerso che i colori più luminosi, più saturi e caldi sono stati scelti per le espressioni fisiche di emozioni positive di euforia, grande gioia, a conferma del fatto che “l’informazione emozionale è usata spontaneamente nella scelta dei colori”272 (Dael et. al 2016, p.1628)273. Non solo il colore, ma anche il tipo di tessuto e i suoi motivi sembrano comunicare determinati stati emotivi e caratteristiche legate alla personalità, alle preferenze e alla zona culturale geografica di appartenenza, come riporta uno studio qualitativo sui saree indiani. Gli autori rivelano infatti che “i tessuti hanno un potenziale significativo in termini di indurre un processo cognitivo dettagliato sia in colui che indossa l’abito sia in chi lo osserva”274 (Pradeep Yammiyavar e Nath 2018, p.175).

Oltre ai colori e ai tessuti, anche il tipo di abbigliamento in sé può essere un indicatore emotivo, se scelto liberamente e non soggetto a vincoli di codice. Kosowska-Ślusarczyk (2014, p.174)275 citano una ricerca svolta presso l’università dell’Hertfordshire che mostra che “la maggior parte delle persone indossano i jeans quando si sentono depresse”276; le donne, in particolare, opterebbero inoltre in questo caso per un “baggy top”, una maglietta larga (cfr. Kosowska-Ślusarczyk 2014, p.174)277;

- “Aderire alle regole imposte dalla situazione, oppure trasgredirle intenzionalmente” (Argyle 1992, p.229).

È il caso delle situazioni formali, dove Balboni (2014, p.72) specifica che “la formalità dell’abbigliamento è essenziale per comunicare il rispetto”. Si pensi per esempio alle uniformi scolastiche, “che dovrebbero offuscare le differenze tra studenti”278 (Kosowska-Ślusarczik 2014, p.176)279, alle riunioni di lavoro e al codice di abbigliamento imposto in queste circostanze, ecc.

- “Mostrare l’appartenenza ad un gruppo, ad esempio i punk o gli studenti universitari” (Argyle 1992, p.229).

272 “emotional information is spontaneously used when choosing colors”

273 http://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1080/17470218.2015.1090462 Data ultima consultazione: 11/07/2018

274 “textiles have significant potential in terms of inducing a detailed cognitive process inside the wearer and the viewer both”

275http://nowadays.home.pl/JECS/data/documents/JECS=202014=20=282=29=20169.179.pdf Data ultima consultazione: 30/09/2018

276 “most people wear jeans when they feel depressed”

277http://nowadays.home.pl/JECS/data/documents/JECS=202014=20=282=29=20169.179.pdf Data ultima consultazione: 30/09/2018

278 “supposed to blur the differences among students”

279http://nowadays.home.pl/JECS/data/documents/JECS=202014=20=282=29=20169.179.pdf Data ultima consultazione: 30/09/2018

Todorović et al. (2014, p.326)280 individuano alcuni gruppi che in realtà fungono da subculture, tra cui i punk, per l’appunto, definito come “movimento che ha insistito sulla negazione dei valori esistenti, delle severe convenzioni sociali. I punk, insieme al loro modo di vestire, incarnavano lo spirito di questi principi”281. Indossanno infatti un abbigliamento “caotico, usurato, fatto di tessuti di seconda mano, colori accesi con in aggiunta un trucco assai marcato, capelli tinti color neon”282 (Todorović et al. 2014, p.326)283. La stessa autrice cita poi i “skinhead radicali che indossano stivali, giacche di pelle, tagli corti di capelli e un’associazione di caratteristiche tipiche per mettere in primo piano la belligeranza, la disciplina e lo sciovinismo”284 (Todorović et al. 2014, p.326)285;

- “Mostrare l’appartenenza ad un ceto sociale” (Argyle 1992, p.229).

L’abbigliamento, insieme agli accessori, “comunicano con quale atteggiamento interpersonale ci si pone verso gli altri (per esempio in una posizione di dominanza e di potere)” (Bonaiuto, Maricchiolo 2003, p.25);

- “Indicare un ruolo occupazionale” (Argyle 1992, p.229).

Neuland e Schlobinski (2017, p.156) osservano in questo caso che “del tutto liberi tuttavia non lo siamo da tempo: i lavoratori di molte aziende sono ad esempio tenuti ad indossare un certo tipo di vestiario, che dimostra il fatto che lavorano per una data azienda”286. Rientra anche qui il caso delle uniformi, “delle gerarchie militari o religiose (le quali mostrano ruoli più convenzionali), ma anche le uniformi professionali (dalle tute degli operai al camice del personale sanitario, dal completo giacca e cravatta del professionista o del manager o alla tenuta sportiva degli atleti, ecc.” (Bonaiuto e Maricchiolo 2003, p.25).

Si può dunque affermare con un certo grado di sicurezza che “l’abbigliamento sui corpi in movimento si tramuta in una serie di simboli e segni di un sistema di

280 http://www.tekstilec.si/wp-content/uploads/2014/12/321-333.pdf Data ultima consultazione: 05/07/2018

281 “movement that insisted on the negation of the existing values, strict social conventions, and they along with their clothes were in the spirit of these principles”

282 “Chaotic, worn-out, made from the used second-hand fabrics, striking colours with the addition of heavy makeup and dyed neon hair colours”

283 http://www.tekstilec.si/wp-content/uploads/2014/12/321-333.pdf Data ultima consultazione: 05/07/2018

284 “radical skinhead, who wears boots, leather jackets, and short haircuts and association of the characteristics that is typical for their foreground belligerence, discipline and chauvinism”

285 http://www.tekstilec.si/wp-content/uploads/2014/12/321-333.pdf Data ultima consultazione: 05/07/2018

286 “ganz frei sind wir allerdings längst nicht: So müssen z.B. Mitarbeiter vieler Firmen Kleidung tragen, die sie als solche ausweist”

comunicazione preciso e complesso, come il linguaggio verbale”287 (Vicary in: Poyatos 1988, pp.292-293). Vicary in questa sua ultima citazione giunge ad una sorta di similitudine tra linguaggio verbale e linguaggio vestemico. Alcuni autori infatti ritengono che la vestemica sia un vero e proprio linguaggio, come possiamo leggere in Balboni (2014, p.72), il quale nel titolo del paragrafo ad essa dedicato puntualizza che verrà affrontato il tema del “vestiario come linguaggio”. La parola linguaggio accostata alla moda, dunque all’abbigliamento e ad aspetti affini, la troviamo anche in Kosowska- Ślusarczik (2014, p.169), nel suo articolo intitolato per l’appunto “il linguaggio della moda come veicolo di informazioni personali”288.

Tale linguaggio viene appreso a partire dal periodo di socializzazione. Argyle, (1992, p.231) riprendendo lo studio di Stone (1970), spiega che i bambini attraversano tre fasi del comportamento, da lui così elencate:

- Stadio precedente al gioco: si indossano vestiti scelti dalla madre; - Stadio del gioco: si mettono dei vestiti seguendo la fantasia;

- Stadio del gioco sociale: si indossano uniformi di gruppo e riconosciute che indicano l’identità come membro di un gruppo o come singolo individuo.

Argyle (1992, p.231) indica gli adolescenti e “altre persone che non sono in possesso di una precisa immagine di sé” come coloro che manifestano maggiore preoccupazione per il loro aspetto esteriore e “molto desiderosi di avere esattamente lo stesso aspetto di altri membri del loro gruppo”. Con l’età adulta “si raggiunge poi una fase di costruzione e codificazione dell’apparenza di sé, accessibile a tutti e utilizzata per mostrare agli altri e a sé stessi un’identità e un ruolo sociale specifici” (Bonaiuto, Maricchiolo 2003, p.25).