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2. LA DIMENSIONE NON VERBALE

2.4 LA DIMENSIONE CINESICA

2.4.4 IL SIGNIFICATO DELLE ESPRESSIONI FACCIALI

Per comprendere in maniera adeguata il significato delle espressioni facciali, riportiamo qui una suddivisione proposta da Anolli (2012, pp.165-170) che riguarda due approcci differenti all’analisi e all’interpretazione delle espressioni facciali. Egli attua una distinzione tra una prospettiva emotiva e una comunicativa.

2.4.4.1 La prospettiva emotiva

La prima, ovvero la prospettiva emotiva, si rifà all’opera di Darwin risalente al 1872 e intitolata L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali. “Per Darwin”, spiega Anolli (2012, p.165), “le espressioni facciali sono innate e universali, esito della selezione naturale”. Kappas, Krumhuber e Küster (in Hall, Knapp 2013, p.135), specificano tuttavia che “Charles Darwin era piuttosto consapevole che ci fossero forti influenze culturali sul comportamento espressivo ma, dato che l’intento del libro consisteva nella dimostrazione della continuità evolutiva, gli aspetti regolatori in particolare come funzione di un comportamento culturale acquisito sono stati relativamente de-enfatizzati”213. Sta di fatto che negli anni Sessanta, come sottolinea Anolli (2012, p.165) c’è stata una “ripresa della concezione evoluzionistica di Darwin applicata allo studio delle emozioni e delle loro espressioni”. In particolare, risulta rilevante l’apporto di Paul Ekman, il quale in collaborazione con il collega Wallace V. Friesen, elabora un sistema di decodificazione delle espressioni facciali noto come Facial

Action Coding System (FACS). “Il FACS”, afferma Tessaro (in Padoan 2014, p.134), “si

occupa di analizzare i micromovimenti e le microespressioni che si manifestano in tempi brevissimi, al massimo in un secondo”. De Lavergne (2010, p.3)214 spiega che tale sistema “scompone le espressioni di 40 muscoli del viso in unità minime, permettendo di riconoscere le 6 emozioni dette fondamentali, presenti in tutte le culture”215. Secondo Tessaro (in: Padoan 2014, p.134) si tratta del “più comprensivo, completo e versatile sistema di decodifica”. Queste emozioni di base di carattere universale e di

213 “Charles Darwin was quite aware that there were strong cultural influences on expressive behavior, but because the intent of the book was to demonstrate evolutionary continuity, regulatory aspects, particularly as a function of learned cultured behavior were relatively deemphasized”

214https://www.univ-montp3.fr/infocom/wp-content/REC-La-communication-non-verbale2.pdf Data ultima consultazione: 16/07/2018

215 “décompose les expressions des 40 muscles du visage en unités minimales permettant de reconnaître les 6 émotions dites fondamentales, présentes dans toutes les cultures”

manifestazione immediata, in quanto prodotte da specifici programmi neuromotori, sono: la gioia, la collera, la paura, la tristezza, il disgusto e la sorpresa e hanno una dimensione privata, individuale e non sociale, pubblica (cfr. Anolli 2012, p.166). Sono inoltre state decodificate delle emozioni secondarie, elencate da Tessaro (2014, p.135) in una tabella complessiva: “vergogna, gelosia, imbarazzo, colpa e timidezza”. La prova dell’universalità delle emozioni di base viene fornita da un articolo chiave pubblicato nel 1969 che riporta uno studio in cui delle fotografie di volti americani rappresentanti le sei emozioni sopracitate sono state mostrate a dei partecipanti provenienti da una serie di paesi tra cui Giappone, Brasile, ma anche a membri di tribù e comunità non alfabetizzate. Kappas, Krumhuber e Küster (in Hall, Knapp 2013, p.136) affermano che “Ekman e i suoi colleghi hanno riportato che tutte le sei emozioni sono state ben riconosciute”216.

Ekman, come ci riferisce Anolli (2012, p.166), ha ammesso che nell’esibizione delle espressioni emotive “esistono rilevanti differenze culturali”, come anche “regole da cui dipende se un’emozione verrà manifestata apertamente, modificata oppure repressa” (Ricci Bitti, Cortesi 1977, p.49). A tal proposito Henry W. Seaford ha ipotizzato l’esistenza della cosiddetta “Southern syndrome”, secondo la quale gli abitanti della Virginia, in particolare, avevano in comune delle espressioni facciali. Egli afferma: “Le sue componenti principali erano l’elevata frequenza di contrazione del muscolo orbicolare della bocca, del muscolo depressore e triangolare del labbro inferiore”217 (Seaford in: Kendon et al. 1975, pp.151-155). Tali regole culturali, dette anche di ostentazione o di esibizione, sarebbero influenzate da norme sociali “frutto di apprendimento e diverse fra le culture” (Ricci Bitti, Cortesi 1977, p.50). Ekman e Friesen (1969, p.57) definiscono queste regole display rules. Esse sono delle “tecniche di gestione” (Anolli 2012, p.166) delle espressioni emotive facciali che “tengono conto “delle caratteristiche di personalità dell’individuo che esprime l’emozione, di quelle di coloro che osservano l’ostentazione dell’emozione, e del contesto sociale” (Ricci Bitti, Cortesi 1977, p.50). In questo modello, a detta di Anolli (2012, pp.166-167) “occorre distinguere tra espressioni genuine (involontarie e non intenzionali) e false (volontarie e intenzionali)”. Emerge che le persone, in base a determinati contesti, possono decidere di celare alcune espressioni e simularne altre, per rispettare gli standard e le norme culturali in atto. Tuttavia, Ekman (1989, p.7) sostiene che ci siano delle “microespressioni” che valgono come indizi non verbali di bugia, a cui dedica opere successive.

216 “Ekman and his colleagues … reported that all of them were well recognized”

217 “Its primary components were the high frequencies of contractions of the orbicularis oris, the triangularis and the depressor labii inferiori”

I principi appena descritti confluiscono nella cosiddetta teoria neuroculturale, secondo la quale “vivendo in un certo contesto culturale, gli individui apprendono quali eventi sono da considerarsi emotivamente marcati e a quali standard espressivi conformarsi” (Anolli 2012, p.167). In altre parole, “la teoria neuroculturale ha due componenti: l’espressione spontanea delle emozioni e la regolazione dell’espressione che è un processo secondario”218 Kappas, Krumhuber e Küster (in Hall, Knapp 2013, p.136).

2.4.4.1 La prospettiva comunicativa

Il rappresentante di questa prospettiva è Alan Fridlund, il quale negli anni ‘90 sfida la prospettiva emotiva appena descritta e in particolare la teoria neuroculturale di Ekman, attribuendo un significato altro alle espressioni facciali. Fridlund, come afferma Anolli (2012, p.169) “ha sostenuto che le espressioni facciali, più che essere una manifestazione programmata delle emozioni, costituiscono dei segnali per comunicare all’interlocutore i propri interessi e motivi sociali. Anziché essere l’indizio di un’emozione, sono messaggi rivolti a un uditorio”. Fridlund propone dunque una diversa interpretazione della posizione di Darwin sulle azioni facciali con la Behavioral Ecology

View (BEV) (vedi Kappas, Krumhuber e Küster in: Hall, Knapp 2013, p.138), o teoria

dell’ecologia comportamentale. In sostanza egli considera le espressioni facciali come comunicazione in quanto manifestano all’interlocutore le proprie intenzioni in funzione del contesto contingente. Kappas, Krumhuber e Küster (in Hall, Knapp 2013, p.138) si rifanno ad uno studio di Kraut e Johnston (1979) a sostegno della prospettiva di Fridlund: “Kraut e Johnson hanno dimostrato che i sorrisi mostrati in una partita di bowling non erano contingenti al momento effettivo del punteggio o del successo del lancio, ma in maggior parte guardando gli amici”219. Questo studio va a corroborare il fatto che il sorriso possa avere una funzione sociale non associata all’emozione effettiva proveniente dallo stimolo. Anche Goffman, nell’articolo On Face-Work: an Analysis of Ritual

Elements in Social Interaction (in Laver e Hutcheson 1972, p.319) ha una posizione

simile per quanto riguarda il volto nel contesto sociale: “Il termine faccia può essere definito come valore positivo e sociale che una persona si attribuisce in maniera effettiva in base alla linea assunta dagli altri nel momento in cui avviene un contatto particolare.

218 “the neuro-cultural theory has two components: the spontaneous expression of emotion and the regulation of expression that is a secondary process”

219 “Kraut and Johnston demonstrated that smiles shown when bowling were not contingent with the actual moment of scoring or the success of the throw, but mostly with looking at their friends” (traduzione nostra)

La faccia è un’immagine del sé delineata in termini di attributo sociale (e) approvato, seppure l’immagine che potrebbero condividere gli altri, così come quando una persona fa una bella figura per la sua professione o religione perché si mette in mostra in modo positivo”220.

Anolli (2012, p.169) ci spiega quindi che “le espressioni hanno un valore comunicativo intrinseco, poiché anche quando siamo soli, siamo mentalmente in presenza di un uditorio immaginato cui facciamo riferimento …. Fridlund giunge alla conclusione che le espressioni facciali non esprimono emozioni ma unicamente motivi sociali”. Di conseguenza scompare la distinzione di Ekman tra espressioni genuine e false, vista nel paragrafo precedente.

Fridlund sembra quindi aver dato una spinta maggiore allo studio delle espressioni facciali nel contesto in cui vengono manifestate. Infatti, Kappas, Krumhuber e Küster (in Hall, Knapp 2013, p.139) sono dell’idea che “sapere cosa fa l’attività facciale ci aiuterà a capire che cos’è l’attività facciale. Nuovi sviluppi che coinvolgono l’implementazione di sistemi artificiali umani influiranno in modo preponderante sullo studio del comportamento facciale come mai hanno fatto altri sviluppi nei decenni passati”221.