L’andamento dell’economia nella Maremma Toscana con particolare focus sul comparto
3.1 Caratteristiche delle imprese agricole in Toscana e le loro prospettive per il futuro
Il Censimento dell’Agricoltura 201061 rileva che le imprese agricole toscane sono circa 72.690, il 4% del totale italiano, per una superficie agricola utilizzata di 754.340 ha, di cui il 63% circa coltivata a seminativi, il 12,6% a pascoli permanenti e il restante 23,5% dedicata a coltivazioni legnose. È un dato ormai acquisito che l’agricoltura toscana, per motivi storici oltre che strutturali, abbia intrapreso la strada della differenziazione qualitativa delle proprie produzioni rendendo il nome Toscana e negli ultimi anni anche Maremma Toscana dei brand riconosciuti a livello mondiale.
Tali produzioni rappresentano nel complesso la gran parte della base regionale di esportazione agroalimentare, contribuendo così significativamente alla competitività del sistema economico regionale. Oltre la produzione di qualità, in Toscana si investe molto anche nella produzione biologica. Le aziende biologiche sono 2.442 e rappresentano il
61 La Toscana al 6° Censimento generale dell’agricoltura – Risultati definitivi;;
3,4% delle unità agricole rilevate al Censimento 2010;; la loro incidenza sul totale delle aziende biologiche italiane è del 5,5% e sale al 29,7% se si considerano solo le aziende del Centro Italia. Grosseto, Siena e Pisa sono le province in cui la superficie media biologica supera la media regionale, con valori prossimi a 23 ettari per la provincia grossetana e 19 ettari circa per le altre due.
Il 25% della superficie biologica toscana è riservata alla coltivazione di cereali per la produzione di granella (lo stesso dato corrisponde al 28% per l’Italia) ed il 20% è occupata da olivi per la produzione di olive da tavola e da olio (il dato italiano è pari al 17%);;
Il tessuto imprenditoriale è molto frammentato, infatti il 92% delle imprese sono individuali o comunque di piccole dimensioni, anche se il fenomeno sembra sia in leggera diminuzione. A questa ridotta dimensione strutturale corrisponde una ridotta dimensione economica con conseguenti difficoltà ad investire e una scarsa forza sul mercato. In più, probabilmente per ragioni di natura storico-culturale, gli operatori di questo settore hanno difficoltà a coordinarsi per creare strutture di aggregazione dell’offerta o per iniziative collettive per la logistica e commercializzazione. Tuttavia, negli ultimi anni, il sistema si è organizzato sempre più spesso in consorzi e associazioni di produttori, e ha visto una grande diffusione dei sistemi di filiera corta, della vendita diretta (presso sagre, manifestazioni, mercati dei produttori), dei Gruppi di Acquisto Solidale.
Il Censimento 2010 ha rilevato, per la prima volta, un set di informazioni relative anche al livello di informatizzazione delle aziende agricole, in un contesto in cui le nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione stanno modificando sempre più rapidamente anche i sistemi produttivi, soprattutto in termini di efficienza e sviluppo.
In uno scenario come quello nazionale, in cui nemmeno 4 aziende su 100 (3,8%), possiedono un pc per svolgere le proprie attività (anno di riferimento 2010), la Toscana si colloca in una posizione non molto elevata, pur superando la media nazionale e quella delle regioni del Centro Italia (4%): infatti, se regioni, come la vicina Emilia Romagna, sfiorano il 10%, nella nostra regione nemmeno il 6% delle aziende agricole (5,9%) dichiara di possedere un computer. Si presuppone che nel prossimo Censimento dell’agricoltura che sarà effettuato nel 2020, il livello di informatizzazione sarà più elevato, ma pur sempre non in passo con i tempi a causa di una avversione al cambiamento che spesso si rileva soprattutto tra i capi d’azienda in età più avanzata. Di conseguenza, l’attenzione si sposta su un altro aspetto molto importante all’interno di queste aziende, che è il capitale umano ed è un fattore strutturale critico, in particolare per quanto riguarda
appunto l’età e le competenze.
La maggioranza dei conduttori ha più di 60 anni e resta il problema del ricambio generazionale alla guida delle aziende, poiché risulta che solo il 4,6% di loro ha meno di 35 anni. Non solo, i dati della distribuzione dei capi d’azienda toscani per livello di istruzione, evidenziano uno scenario già noto a livello nazionale nel quale la loro formazione lavorativa non è strettamente dipendente dal titolo di studio conseguito: nel 67% dei casi, infatti, il capo dell’impresa ha un titolo inferiore al diploma e fra coloro che hanno conseguito un titolo superiore, solo l’11% ha scelto un percorso ad indirizzo agrario. Un altro fatto che emerge chiaramente dai dati è che all’aumentare dell’età del conduttore diminuisce la dimensione fisica delle aziende.
Tuttavia, nonostante un generale clima di sfiducia e di fatica per andare avanti, i margini di crescita e di miglioramento per le nostre aziende è molto ampio.
La vera sfida sarà quella di promuovere e favorire la diffusione all’estero – dentro e fuori l’UE – del modello di produzione agroalimentare toscano di qualità legata al territorio, come valore culturale oltre che economico, in linea con principi etici e sociali condivisi a livello globale da una quota
sempre più crescente di consumatori.
Oggi nel mercato globale, in particolare in quello agroalimentare, i beni generici si trovano a pagare una crisi di reputazione agli occhi dei consumatori, mentre i prodotti con un chiaro riferimento geografico beneficiano di un vantaggio competitivo che fa leva sul concetto di made
in, quindi le imprese toscane devono sfruttare al meglio questa loro
capacità di rappresentare ed esprimere il legame fra territorio e prodotto.
Qual è la strada da intraprendere dunque?
Come già osservato, per un’impresa agroalimentare che opera in un contesto di produzioni tipiche, la dimensione limitata è probabilmente un elemento che le garantisce una maggiore aderenza al territorio e a questa tipicità. La piccola dimensione, come si è visto a livello di Paese, non è affatto un incidente di percorso, ma frutto di un percorso storico, una caratteristica costante di lungo periodo dell’economia italiana e che, per alcuni decenni, è stata comunque in grado di ottenere e garantire sviluppo, espansione e internazionalizzazione. Quindi da un lato, la piccola dimensione è un grosso vantaggio, essendo la “distintività” l’unica arma da adoperare per posizionarsi favorevolmente su mercati tradizionali e nuovi, ma dall’altro, le piccole imprese faticano a competere sui costi per ragioni di scala. Qui è doveroso fare un riferimento al ruolo dei Consorzi di Tutela. Essi rappresentano una specificità tutta italiana e sono il frutto di un’evoluzione pluridecennale del modello alla base dei prodotti a qualità certificata. Nel passato e spesso, ancora oggi, il loro ruolo è incentrato in particolare sulla “semplice” azione di vigilanza o gestione amministrativo-
burocratica del disciplinare di produzione. Si tratta di attività di vitale importanza ma, in un contesto complesso e mutevole come quello che stiamo vivendo oggi, rischia di lasciare indietro la struttura rispetto alle vere esigenze. Le esperienze più avanzate che già esistono sul territorio toscano, fanno intravedere l’esigenza della diffusione di una nuova visione del Consorzio di Tutela come centro di raccordo, anche culturale, tra territorio e mondo produttivo oltre che elemento catalizzatore della rete d’imprese a esso sottesa. Si potrebbe quindi tentare di superare l’altro fenomeno molto diffuso nella nostra regione che è la difficoltà di creare
network per collaborare e usufruire di minori costi di acquisto e più visibilità.
Un altro elemento sul quale si potrebbe migliorare riguarda la tecnologia e il successivo accorciamento delle distanze di comunicazione tra i vari operatori del settore, le quali offrono importanti opportunità tra le quali la semplificazione di operare in rete tra imprese e affrontare, pur nel rispetto della propria individualità, le caratteristiche questioni commerciali che ogni impresa si trova ad affrontare: la massa critica, la promozione, il marketing;; ma fare rete seriamente significa anche facilità di fare innovazione, maggiore efficacia nella partecipazione a bandi europei o a fiere nazionali e internazionali importanti.
Per creare innovazione è necessario innanzitutto l’utilizzo di manodopera con qualifiche pertinenti, capace di favorire lo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi processi e gestire lo sviluppo commerciale del settore soprattutto verso i mercati esteri;; bisogna favorire il ricambio generazionale e la partecipazione dei giovani nelle scelte strategiche delle imprese, perché l’innovazione e il miglioramento parte da un’idea, e le idee camminano con le gambe delle persone.
3.2 Il settore agroalimentare in Maremma
La Provincia di Grosseto si caratterizza ancora oggi come territorio a forte vocazione agricola: con 9.108 delle imprese attive nella Provincia62, ha il maggior numero di aziende agricole, anche se negli ultimi anni la Provincia ne ha visto una diminuzione, che ha accomunato in generale tutte le province toscane. Il numero di occupati in questo settore è circa il 12% della forza lavoro totale, infatti l’analisi63 per forma giuridica indica che l’impresa individuale è la tipologia maggiormente diffusa nel settore primario a qualsiasi livello territoriale, con un’incidenza media di oltre 80 punti percentuali, valore decisamente alto, nonostante la continua perdita numerica cui tale tipologia è andata incontro e che si è verificata anche nel 2016: -0,4% tendenziale (-1,5% Livorno e -0,1% Grosseto), contro il -0,8% della Toscana ed il -0,9% dell’Italia (imprese registrate). La superficie agricola utilizzata è fra le più estese della regione (24% della SAU regionale) e rappresenta una elevata percentuale della superficie del territorio provinciale.
Le trasformazioni dei prodotti ortofrutticoli e dei derivati animali rappresenta per la provincia di Grosseto, uno dei settori a più alto e rapido sviluppo rispetto a tutti quelli afferenti all’ambito agricolo, compreso quelli del vivaismo e dell’agriturismo. In provincia di Grosseto questo ambito è andato mutando nel corso degli anni, ma si è sempre adattato alle rinnovate esigenze dei mercati, riuscendo a sopravvivere anche alle contingenze economiche più negative e contribuendo a fornire un
62 Rapporto strutturale sull’economia delle Province di Grosseto e Livorno nel 2016,
elaborato da Centro studi e ricerche CCIAA Maremma e Tirreno