DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di Laurea Magistrale
Strategia, Management e Controllo
TESI DI LAUREA
Le aziende familiari nell'economia agroalimentare
della "Maremma Toscana". Il caso Fattoria Le Pupille
Candidato: Ludmila Deli
Relatore: Chiar.mo Prof. Nicola Lattanzi
Desidero ringraziare il Professor Nicola Lattanzi per la
disponibilità e per i preziosi suggerimenti che hanno
orientato il lavoro di ricerca e redazione della presente tesi.
Ringrazio la Signora Elisabetta Geppetti, che ha contribuito
a rendere completa la tesi condividendo con me la storia, i
successi e il futuro di Fattoria Le Pupille.
A mio marito. Alla mia famiglia. Ai miei amici, vicini e
lontani. E a coloro che hanno condiviso con me questi anni
universitari, fatti non solo di studio, ma anche di lavoro, di
cura per le mie passioni e della mia splendida bambina.
Sollevando pesi e triplicando le gioie. Grazie.
a Lorella
Sogno una società in cui tutte le donne che raggiungono un ruolo importante e di grande responsabilità nel proprio lavoro, continuano a svolgerlo rimanendo donne, amiche, madri. Come fai tu.
INDICE
Introduzione ……… 8
CAPITOLO 1
Le family business in Italia ……….13
1.1 Profili aziendalistici delle family business ………...13
1.1.1 Aziende familiari e definizioni ………..14 1.1.2 La conduzione strategica e il confronto tra generazioni …….18 1.1.3 Il passaggio generazionale: criticità, esigenze formative e
sviluppo delle competenze ………..20
1.2 Aspetti dimensionali, modelli di governance e organizzazione
delle PMI familiari italiane………..……….. 28
1.2.1 Organizzazione e processi di governance nelle family
business ……….29 1.2.2 Le PMI nell’epoca della globalizzazione: quali prospettive
di sviluppo? …..……….………32
CAPITOLO 2
Il settore agroalimentare in Italia ………....36
2.1 Il settore agroalimentare del mercato italiano tra crisi, crescita
e innovazione ……….38
2.2 Il settore agroalimentare italiano all’interno del mercato
europeo: vantaggi e limiti…………...………...43
2.3 Le possibilità di sviluppo delle aziende agroalimentare a livello globale ……… 48
CAPITOLO 3
L’andamento dell’economia nella “Maremma Toscana” con
3.1 Caratteristiche delle imprese agricole in Toscana e le loro
prospettive per il futuro ……….54
3.2 Il settore agroalimentare in Maremma ………59
3.2.1 Cenni storici e breve descrizione del territorio della
Maremma ……….61 3.2.2 L’economia della provincia di Grosseto: evoluzione
punti di forza e criticità da affrontare ...………65
CAPITOLO 4
Le family business agroalimentari ……….76
4.1 Le aziende familiari e comparto agroalimentare: uno sguardo
d’insieme ………..76
4.1.1 Evoluzione verso modelli di leadership più strutturati ………….78
4.2 Le family business agroalimentari nella “Maremma Toscana”
con particolare focus su quelle della provincia di Grosseto ………80
CAPITOLO 5
Il caso: Fattoria Le Pupille ………...86
5.1 Fattoria Le Pupille e la Signora del Morellino ……...………....86
5.2 L’azienda in breve: dalle origini alla maturità ………87
5.2.1 Prodotti e mercati ………..90 5.2.2 Organizzazione e gestione aziendale ………92
5.3 L’ingresso dei figli in azienda e il family planning ……….95
Conclusioni ………...101
Introduzione
La presente tesi costituisce un tentativo di approfondimento del tema delle aziende familiari operanti nel comparto agroalimentare, con particolare focus sulle aziende e la realtà imprenditoriale della Maremma.
Il punto di partenza del lavoro è rappresentato dalla presentazione di alcuni contributi letterari che hanno tentato di definire l’azienda familiare e di delinearne le principali caratteristiche e tratti distintivi.
Così si è cercato di chiarire in primo luogo il significato del termine, giungendo poi all’analisi dell’aspetto dimensionale, modelli di organizzazione e governance e le principali criticità delle PMI familiari italiane.
Viene dunque affrontato il tema del ricambio generazionale, le sue principali criticità e sul come possono essere superate, le principali sfide che le family business si trovano ad affrontare e le loro prospettive per il futuro in un mercato globale ed in continua evoluzione.
L’attenzione si sposta poi sul comparto agroalimentare, che rappresenta la seconda industria manifatturiera in Italia1, mediante un excursus tra le principali caratteristiche del settore, i principali mercati di realizzo, i vantaggi e i rischi del mercato unico europeo e dell’adesione ai trattati di libero scambio, come quelli tra UE e il Canada (CETA) e UE e gli Stati Uniti (TTIP).
Un dato che emerge dai vari studi è che più del 80% delle aziende operanti in queste settore sono a conduzione familiare e più della metà hanno una dimensione medio grande. L’analisi in questo lavoro però si focalizza sulle aziende familiari di piccola e piccolissima dimensione, essendo così la quasi totalità delle aziende agroalimentari sia in Toscana che in Maremma. Il sistema economico agroalimentare, sia a livello di Paese che in Toscana, ha dato prova di una maggiore stabilità rispetto ad altri settori di fronte alla crisi economica, in quanto è riuscito a perdere valore aggiunto in maniera più contenuta, pur risentendo comunque degli effetti negativi generati dalla perdurante recessione, che ha determinato un calo dell’occupazione e degli investimenti sostenuti dalle imprese, con ricaduta sulla permanenza sul mercato, sul fenomeno dello spopolamento e sul presidio e la protezione del territorio in cui le aziende operano.
Ad affrontare la crisi hanno contribuito soprattutto la presenza di una vitivinicoltura orientata alle produzioni di qualità, che continua a consolidarsi, di un settore agroalimentare fortemente competitivo anche e soprattutto sui mercati internazionali e dell'olivicoltura. L’agroalimentare toscano vanta ad oggi un patrimonio di 16 DOP e 15 IGP e un catalogo che raccoglie 461 Prodotti Agroalimentari Tradizionali di cui 110 sono “Made in Maremma”, comprese le 32 specialità comuni a tutta la regione. Mentre per quanto riguardano le denominazioni d’origine controllata, su 31 DOP e IGP toscani, ben 14 sono presenti in Provincia di Grosseto. La Maremma si conferma, inoltre, come una terra ricca di vini di qualità con 10 vini DOP e uno IGP.
Tuttavia, nonostante la produzione incentrata sulla qualità, la maggiore pressione competitiva derivante dall’apertura dei mercati, dall’ingresso di nuovi concorrenti che possono contare su minori costi di produzione e da
consumatori sempre più esigenti in termini di qualità, varietà, prezzo, flessibilità e tempestività dell’offerta, impone ai vari operatori del settore la considerazione di altre variabili, oltre la qualità, capaci di influenzare i processi di creazione del valore. Anche il tema dell’innovazione assume notevole importanza in merito alle capacità di sviluppo imprenditoriale delle imprese, e qui per innovazione si intende non soltanto un miglioramento del prodotto o del processo di produzione, ma anche delle pratiche manageriali.
Verrà sottolineato più volte durante il presente lavoro, come una delle peculiarità più rilevanti dell’azienda familiare, in particolare quelle del settore agroalimentare e non solo in Maremma, è che la maggioranza dei capi d’azienda2 ha più di 60 anni, e che possiedono una formazione lavorativa non strettamente dipendente dal titolo di studio conseguito. Infatti nel 67% dei casi, il capo azienda ha un titolo inferiore al diploma. In particolare, sul territorio della Maremma, a causa del suo passato difficile, del quale verranno dati cenni nel capitolo 3, ancora oggi si percepisce una scarsa cultura imprenditoriale e manageriale.
Verrà quindi affrontato il tema della professionalizzazione e managerializzazione delle aziende familiari, intesa come analisi dell’impostazione della gestione aziendale e dei percorsi di sviluppo secondo le logiche, le tecniche e gli strumenti ispirati ai principi delle pratiche manageriali3.
L’ultimo capitolo di questo lavoro di tesi presenta un caso di azienda familiare di successo nel comparto agroalimentare maremmano. La storia
2 La Toscana al 6° Censimento generale dell’agricoltura – Risultati definitivi;;
Settembre 2012 www.regione.toscana.it
3 Anselmi L., Lattanzi N., Il family business Made in Tuscany, FrancoAngeli, Milano
della Fattoria Le Pupille e della Signora del Morellino viene proposta a conclusione di questo lavoro per dimostrare che l’impiego di principi e tecniche gestionali unita ai valori e alla passione per questa terra, sono leve strategiche importanti per lo sfruttamento del grande potenziale che offre questo territorio.
CAPITOLO 1
Le family business in Italia
1.1 Profili aziendalistici delle family business
Ci sono vari motivi per i quali una persona decide di creare qualcosa di grande e vivo come un’impresa. Tra questi vi può essere il desiderio di creare qualcosa di nuovo e unico, di dimostrare a sé stessi e agli altri il possesso e il saper impiegare le proprie capacità organizzative e imprenditoriali per dare vita a qualcosa di importante, il desiderio di longevità, sperando che la propria “creatura” possa tramandare mediante gli eredi, l’impronta, il genio e il duro lavoro del fondatore.
Per fare un’impresa ci vuole qualcuno che abbia un sogno nel quale crede moltissimo, qualcuno che ne faccia la propria ragione di vita, che si impegna anima e corpo e che sappia circondarsi di persone che condividono gli stessi obiettivi, perché le imprese non sono fatte solo di macchinari, muri o bilanci, ma soprattutto di uomini, di progetti, di sogni4. Per sopravvivere e per crescere, ogni azienda deve generare il fattore produttivo più importante di tutti: il capitale umano. “Un capitale umano “speciale”, dotato di quelle qualità e di quei principi morali che si sono sedimentati nel corso della nostra lunga evoluzione storico-culturale (senso della giustizia, onestà, lealtà, ecc.);; un capitale umano fatto di sognatori, di leader visionari ed al contempo pragmatici, per i quali la dimensione
dell’essere venga prima di quella dell’avere. […] Ciò che maggiormente ci differenzia dall’animale è la spiritualità, è il pensiero astratto, ma è anche la consapevolezza del fatto che prima o poi ce ne andremo”5.
Per questo motivo uno degli aspetti più difficili da affrontare e verso il quale ci sarà sempre reticenza, è il ricambio tra generazioni di imprenditori. Nel citato contributo di Zocchi, egli suggerisce che vi sono due aspetti molto importanti da non trascurare nel ricambio generazionale:
- sviluppare le conoscenze delle giovani leve come la struttura, organizzazione, settore, prodotti dell’impresa;;
- lo sviluppo delle competenze: in particolare i figli devono sviluppare competenze critiche, fondamentali per assumere ruoli di responsabilità. Inoltre, Zocchi suggerisce che la successione generazionale necessita di una pianificazione che si sviluppi lungo due binari ben distinti, quello aziendale e quello familiare e che nel descrivere questo processo è più opportuno parlare di “sinergia generazionale” che di “passaggio generazionale”.
1.1.1 Aziende familiari e definizioni
Ogni volta si parla di azienda familiare, l’attenzione quasi sempre si sposta sul processo di ricambio generazionale essendo uno degli aspetti più critici durante la sua vita. Prima di affrontare questo argomento, si cercherà di riprendere e analizzare i vari contributi letterari in materia che hanno tentato di studiare e analizzare le caratteristiche di tale fenomeno e di delimitare un perimetro entro il quale, un’azienda verrà definita familiare.
A tal fine, è doveroso innanzitutto richiamare il concetto di aziendalità, requisito indispensabile per poter considerare nell’ambito delle aziende le iniziative imprenditoriale ed il riconoscimento del fatto che il fine di ogni azienda è il conseguimento di un equilibrio economico-finanziario durevole.6 Quindi, prima di incominciare a parlare di aziende familiari, occorre precisare che l’unità economica in oggetto debba possedere i requisiti di aziendalità e che presenti un soggetto economico dominato da una o poche famiglie che assicuri non solo l’apporto di capitale di rischio, ma anche la guida, la leadership, la funzione imprenditoriale.7 Infatti, non tutte le realtà economiche familiari possono essere considerate aziende, poiché spesso si tratta di mere attività artigianali, oppure attività non sistematiche, nelle quali, a seconda dei casi, manca l’organizzazione, la visione strategica degli obiettivi competitivi economici e finanziari, gli strumenti contabili e manageriali per supportare le decisioni, un rapporto fruttuoso e solido con i vari stakeholder. Pertanto, oltre l’aziendalità, anche l’impresa deve avere anche una spiccata imprenditorialità, due elementi che contraddistingue l’azienda vera e propria dalle altre attività economiche. L’imprenditorialità inoltre, rappresenta una grande dote, la quale corredata anche dei giusti strumenti conoscitivi, organizzativi e gestionali, è in grado di risolvere i problemi specifici della conduzione di ogni realtà aziendale.
Fatta questa premessa, si può identificare l’impresa familiare in “un’ attività imprenditoriale che possa intimamente identificarsi in una famiglia per una o più generazioni e dove l’influenza della famiglia sull’impresa è legittimata dalla titolarità di tutto o parte del capitale di rischio ed esercita anche
6 Giannessi E., Appunti di economia aziendale, Pellegrini, Pisa, 1970
7 Anselmi L., Lattanzi N., (a cura di) Il family business Made in Tuscany ,Franco
attraverso la partecipazione di alcuni suoi membri al management”.8 In questo caso si può rilevare come oltre la proprietà da parte della famiglia, la famiglia deve manifestare anche l’esercizio del comando9. Più restrittiva è invece la concezione proposta da Dell’Amore, il quale nel suo lavoro Le
fonti del risparmio così recita: “Si dice familiare un’impresa in cui i portatori
di capitale appartengono ad un'unica famiglia o a poche famiglie collegate tra loro da vincoli di parentela o affinità”.10 Questa definizione come è facile osservare, restringe le aziende familiari ai casi in cui il capitale sociale sia interamente nelle mani della famiglia. Infine, secondo Donneley, l’impresa famigliare si “identifica con almeno due generazioni di una famiglia e quando questo legame ha avuto una mutua influenza sulle politiche dell’impresa e negli interessi ed obiettivi della famiglia”11.
Si considera invece più attuale, in base anche all’allargamento del concetto di famiglia (famiglia di fatto, famiglie allargate o famiglie costituite da due persone dello stesso sesso), la definizione tratta dal lavoro curato da Dematté e Corbetta12 i quali si riferiscono all’azienda familiare come un’unità economica dove “il capitale sociale e le decisioni fondamentali risultano controllate da un’unica famiglia o da poche famiglie collegate tra loro da vincoli di parentela, di stretta affinità o da solide alleanze”. In questo caso la definizione è più ampia, perché considera anche le famiglie non basate sul tradizionale vincolo del matrimonio, così come anche le “solide alleanze” puntando in questo caso, anche alla presenza di aziende familiari
8 Schillacci C.E., I processi di transizione del potere imprendotoriale nelle imprese
familiari, Giappichelli, Torino,1990, p.7.
9 Anselmi L., Lattanzi N., (a cura di) Il family business Made in Tuscany ,Franco
Angeli, Milano, 2016, p.28-29.
10 Dell’Amore G., Le fonti del Risparmio, Giuffrè, Milano 1962
11 Donneley R.G., The Family Business, Harvard Business Review, July – August,
1964, pp. 93-105.
12 Dematté C., Corbetta.(a cura di), I processi di transizione delle imprese familiari,
di tipo aperte, fenomeno purtroppo, ancoro non molto diffuso in Italia, ma comunque attuale.
Viene considerata troppo semplicistica e applicabile solo nei confini di un determinato territorio, la definizione di azienda familiare proposta da Unioncamere13, ed in particolare:
- Imprese dove una persona detiene una quota superiore al 50% - Imprese dove le quote detenute da più persone con vincolo di
parentela (comprovato dal fatto di avere lo stesso cognome) sono superiori al 50%
- Imprese dove le quote detenute da più gruppi familiari (che singolarmente non supererebbero il 50%) sono superiori al 50%;; Il territorio della Maremma, un po’ a causa del suo passato difficile, un po’ perché per moltissimi anni, l’attività principale è stata la mera produzione di prodotti agricoli, purtroppo, ancora, viene considerato a bassa inclinazione imprenditoriale. Molte imprese sono piccolissime, alcune di loro sono medio grandi, moltissime non arriveranno nemmeno ad un ricambio generazionale. Pertanto, ai fini del presente lavoro, si considererà come azienda familiare, l’azienda dove:
• almeno un membro della famiglia detiene il 50% del capitale sociale • almeno un membro della famiglia esercita il controllo e decide sulle
scelte aziendale
• non necessariamente è stato affrontato un primo ricambio generazionale;;
Secondo l’articolo 230-bis del codice civile invece, l’impresa familiare viene contraddistinta dal lavoro prestato in modo continuativo dai familiari ai quali vengono riconosciuti determinati diritti in relazione alla quantità e alla
13 Anselmi L., Lattanzi N., (a cura di) Il family business Made in Tuscany ,Franco
qualità dell’attività svolta. Per familiari qui si considerano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. Questo modo di intendere l’azienda familiare non va confuso invece con l’impresa a base
familiare, la quale rappresenta un’evoluzione di quella appena ricordata,
nel senso che è aperta alle nuove aggregazioni familiari, libera di adottare anche una struttura o modello, anche societario, capace di far fronte alle continue esigenze giuridiche, economiche e finanziarie.
1.1.2 La conduzione strategica e il confronto tra generazioni
Le aziende familiari rappresentano la tipologia di imprese quantitativamente più numerosa all’interno del sistema produttivo italiano. Sulla base di dati recenti, si stima che tale tipologia di imprese sia pari ad oltre l’85% del totale. Questo significa che il destino segnato di migliaia di giovani italiani è quello di entrare nell’azienda di famiglia, con un ruolo attivo e assumendosi in modo più o meno concreto e responsabile, l’impegno di portare avanti ciò che ha iniziato il genitore.
Nelle imprese familiari, in cui sono presenti potenziali eredi, la successione è un processo di transizione che pone molti problemi ricorrenti: la scelta dell’erede, il suo ingresso in azienda, la sua preparazione, la gestione delle varie dinamiche non solo tra generazioni ma anche all’interno della stessa generazione (il rapporto tra fratelli, cognati e rispettive famiglie ecc.), perché famiglia significa amore e uguaglianza, mentre l’azienda è organigramma ed efficienza.14
Quando un figlio o una figlia entra nell’azienda di famiglia, due mondi molto diversi fra loro si sovrappongono e questo porta spesso a situazioni di
conflitto, di disequilibrio e talvolta, se non si interviene in modo tempestivo e adeguato, può portare anche alla morte dell’azienda stessa.
L’imprenditore fondatore di solito è una persona molto carismatica, che ha gestito gli affari sulla base di una logica informale e non programmata, basandosi sul suo intuito imprenditoriale, sulla sua voglia di rischiare. La seconda generazione invece è cresciuta e vissuta in una realtà storica diversa: i ragazzi hanno studiato, magari in qualche business school di prestigio, hanno viaggiato, hanno svolto stage o periodi di lavoro in aziende e paesi diversi, magari in qualche multinazionale, imparando o specializzandosi in complesse strategie di marketing, di vendita o organizzative. Dopo tali esperienze, l’ingresso nell’azienda di famiglia è molto difficile, poiché i modi diversi di fare e vedere le cose, si scontrano con quelle del fondatore o anche all’interno della stessa generazione, nel caso vi siano più successori.
Non è semplice per il figlio o la figlia che entra in azienda di “essere all’altezza del padre” che ha fondato una attività di successo dal nulla, ma anche per il genitore-imprenditore è altrettanto difficile gestire questo processo, poiché come accade nella maggior parte delle imprese italiane, spesso il fondatore è allo stesso tempo proprietario, leader, manager e genitore. Questo rappresenta un aspetto molto delicato, perché pone il genitore - imprenditore ad esprimere pareri riguardo la dote imprenditoriale dei figli e non sempre questi sono obiettivi. È quindi frequente che l’inserimento dei figli in azienda venga fatta a prescindere dalle loro effettive capacità, attribuendo loro un ruolo non sempre in linea con le proprie aspirazioni, così come può capitare nei contesti dove più figli partecipano all’attività dell’impresa e che nonostante il ruolo e l’effettivo apporto di competenze, ai figli si tende a offrire la stessa ricompensa.
Altro caso particolare è quando ogni membro della famiglia si sente in diritto “di dire la sua”, a prescindere dal contenuto dell’idea proposta, tentando di affermare sé stesso all’interno della famiglia, più per il desiderio di sentirsi considerato, riconosciuto, apprezzato, che per la voglia di partecipare alla vita aziendale. Il contrario accade invece, quando per timore di provocare contrasti, si tende a tenere per sé i propri giudizi sulle questioni aziendali, convinti che il miglior modo per evitare conflitti, sia quello di mantenerlo latente. Anche questo atteggiamento è ugualmente dannoso per l’azienda poiché preclude la possibilità di un confronto tra i pro e i contro sulle nuove proposte aziendali.
1.1.3 Il passaggio generazionale: criticità, esigenze formative e
sviluppo delle competenze
Si sa, l’Italia è un paese molto fertile per quanto riguarda le imprese a base familiare, tanto da avere la concentrazione più alta al mondo. In base a recenti dati statistici, il 60% delle imprese quotate al listino di Piazza Affari e il 50% di quelle con un fatturato superiore ai cinquanta milioni, sono a base familiare15. Purtroppo soltanto il 50% delle aziende di famiglia riescono ad arrivare alla seconda generazione e appena il 15% arriva alla terza. Le statistiche suggeriscono poi che, in Italia un quarto delle aziende con un fatturato superiore ai dieci milioni di euro è gestito da imprenditori ultrasessantacinquenni16. Infatti, molto spesso succede che l’imprenditore fondatore, non solo non sposta la sua visione nel lungo periodo, facendo
15 Cfr. Marini, Imprese di famiglia, successioni in crescita, in Il Sole 24 Ore del 31
marzo 2014
16 Cfr. Ciravegna, Passaggi difficili tra padri e figli, in Il Sole 24 Ore del 14 maggio
previsioni sul futuro della sua impresa anche nel caso in cui verrà a mancare, ma è proprio terrorizzato dall’idea che qualcun altro possa gestire, investire le risorse aziendali accumulate nel tempo o assistere a cambiamenti di metodo o vedere compiere affari non condivisi. Spesso infatti, alle figlie si preferisce lasciare le proprietà immobiliari per evitare di trovarsi in azienda con il genero-estraneo17. A volte si ricorre addirittura a generose donazioni, si sceglie la liquidazione o l’alienazione dell’azienda pur di tenere a debita distanza i discendenti18. Si potrebbe pensare alla sindrome19 da après moi le deluge, tipica di chi ha fatto tanto nella sua vita, magari partendo da niente, e pensa che nessun altro è in grado di portare avanti il suo lavoro o meglio, la sua “creatura”.
Così come ad essere traumatizzata può risultare l’impresa, che a seguito di un passaggio generazionale pianificato male, può risultare in mani a familiari privi di capacità gestionali e riluttanti ad affidarsi al supporto di manager esterni alla famiglia e quindi totalmente inidonei a sostituire il fondatore.
Altro caso di criticità si registra nel caso in cui vi è una tendenza dei familiari ad attingere in modo piuttosto frequente alle casse dell’impresa per soddisfare esigenze per lo più personali, senza avere la premura di restituire i soldi o di re-investire abbastanza in azienda. In questo modo si ha un aumento della leva finanziaria esterna, concessa grazie alla fiducia riposta dagli istituti di credito nei confronti del capostipite dando luogo alla c.d. sindrome dell’azienda povera e della famiglia ricca20. Un altro caso di
17 Cfr. Logroscino, Aziende, come restare in famiglia, in Il Sole 24 Ore del 6 febbraio
2004.
18 Anselmi L., Lattanzi N., (a cura di) Il family business Made in Tuscany ,Franco
Angeli, Milano, 2016, p.129-130.
19 Baricco A., I barbari – saggio sulla mutazione, Feltrinelli, 2008, p. 35.
20 Anselmi L., Lattanzi N., (a cura di) Il family business Made in Tuscany ,Franco
Angeli, Milano, 2016, p.132-133.
conflittualità come conseguenza del fenomeno della deriva generazionale, cioè dell’aumento del numero dei familiari coinvolti nell’azienda, è quando rami diversi della famiglia, distanti anagraficamente, anche se a volte riconducibili alla stessa generazione, si trovano a dover gestire l’impresa familiare. In presenza di tali condizioni, diviene fisiologico il palesarsi di obiettivi e interessi, di vedute diversi, che insieme danno luogo a situazioni, a volte anche gravi, di conflittualità21.
Le risposte a tali problemi presuppongono complesse analisi sul terreno della giurisprudenza ma anche della psicologia perché attorno all’impresa gravitano non solo problemi legati alla gestione, conservazione e trasferimento in modo equo del suo patrimonio ma anche le relazioni tra il fondatore, i figli (anche di madri diverse), i nipoti, cugini, ex coniugi ed attuali partner conviventi.
Come può fare dunque l’imprenditore ad affrontare il problema della pianificazione del passaggio generazionale della propria azienda garantendo un‘equa ripartizione del patrimonio fra i componenti del nucleo familiare, ma allo stesso tempo, passare il suo controllo in mani capaci così da assicurare maggiori possibilità di sopravvivenza della stessa, tutto nel rispetto delle regole della successione necessaria?
Non esiste una programmazione del trasferimento generazionale dell’impresa priva di conflitti fra i partecipanti, così come non esiste, in teoria, un rimedio idoneo a risolvere le situazioni di conflittualità fra i soci familiari in questa fase cruciale per la stessa sopravvivenza dell’impresa. Tuttavia, si proverà ad analizzare brevemente, essendo questo un argomento troppo vasto per i fini che il presente lavoro si propone, alcuni degli strumenti forniti dall’ordinamento giuridico italiano e più in generale,
gli usi comuni, che si propongono in vario modo di prevenire o a mitigare i vari dissidi che possono nascere.22
• Patti di famiglia: un insieme di regole per prevenire liti post mortem, mediante i quali l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte le proprie quote a uno o più discendenti: in tal modo regolamentando in vita il passaggio generazionale dell’impresa familiare.
• Trust – la costituzione di un fondo patrimoniale da parte del capostipite assegnando al trustee il compito di amministrare e guidare il passaggio dei beni.
• Private equity e family office – operazioni mirate e complesse con lo scopo di stabilizzare gli assetti dell’azienda permettendo, da una parte, un graduale inserimento dei figli nella compagine sociale e nei ruoli di gestione e per l’altro, la fuoriuscita di coloro che non sono più interessati a proseguire la strada del fondatore23;;
• Sempre nell’ottica di evitare e/o temperare i litigi nelle imprese a base familiare, alcuni noti imprenditori24 suggeriscono tre accorgimenti che, nella loro esperienza, si sono mostrati notevolmente efficaci. Il primo consiste nell’allontanare dalla sede dell’impresa il parente con “la testa calda”;; si preferisce infatti allontanare tale soggetto corrispondendogli una consistente somma di denaro piuttosto che affrontare litigi e i costi di un eventuale lungo contenzioso. Il secondo consiste nel permettere a ciascun familiare assecondandolo nelle sue aspirazioni imprenditoriali, di compiere tre tentativi;; al terzo insuccesso, il parente viene allontanato. Ed infine l’ultimo
22 Idem p. 135. 23 Idem p. 140 - 141. 24 Idem p. 141
accorgimento consiste nell’impedire a tutti i membri della famiglia di lavorare in azienda e nell’affidarne la gestione a manager esterni.
Circa i conflitti tra gli eredi con età, esperienza di vita, di studio e di lavoro diversi, si rileva che la conditio sine qua non, per ovviare a conflitti nel modo di intendere e desiderare il futuro dell’impresa, si deve avere la consapevolezza di un “bene superiore”, un orientamento di fondo e un sentire comune, ma anche l’orgoglio del nome dell’azienda, l’aver coscienza della responsabilità di mantenere una tradizione, una storia, hanno nel tempo avuto il sopravvento, contribuendo a smorzare le avversità, aprendo la strada ad una maggiore comprensione delle reciproche posizioni, mantenendo comunque elevato lo spirito di collaborazione25.
Per quanto riguardano invece le esigenze formative dei successori e del loro sviluppo delle competenze, si riprende il concetto introdotto all’inizio del presente capitolo, dove si affermava che affinché un’unità economica abbia i requisiti di azienda familiare, essa deve possedere i requisiti di
aziendalità, ma anche di imprenditorialità. Infatti, mentre le aziende gestite
da manager possono guardare al futuro immaginandolo flessibile per quanto riguarda il fattore umano, le aziende familiari appaiono legate al fattore umano in modo naturale, in particolare alle persone che l’hanno costituita, tanto da rischiare seriamente la loro stessa esistenza nel caso viene a mancare o anche nella prospettiva che possa venir meno, il fondatore.
Nascere imprenditore in una azienda familiare è condizione necessaria ma non sufficiente, perché figli si nasce e imprenditori si diventa e si viene riconosciuti tali sulla base della preparazione raggiunta di esperienze e
maturità acquisite. Quindi è essenziale a questo scopo la tipologia di cultura e di esperienze che si pone come base di preparazione per i giovani imprenditori, perché conta non solo essere in possesso del gene imprenditoriale, ma anche di quello manageriale26. A tal fine si possono assumere dei manager con la specifica funzione di supportare le strategie imprenditoriali e condividerle poi, accompagnando l’ingresso dei nuovi membri della famiglia per garantire quella continuità di cui l’impresa necessita per sopravvivere, evolversi e perché no, espandersi. Questa opzione purtroppo non è di facile attuazione, soprattutto nelle realtà di piccola dimensione, perché si teme che possa portare a risultati conflittuali. L’alternativa potrebbe essere lo studio della cultura aziendale, delle condizioni, delle tecniche, delle metodologie manageriali in modo che i giovani chiamati al ricambio generazionale nella funzione imprenditoriale abbiano le conoscenze necessarie e non solo teoriche, ma anche operative, a supporto delle esigenze manageriali. Di solito questi risultati si ottengono programmando da tempo questo percorso, con opportuni studi aziendali o/e esperienze anche in altre realtà.
“L’imparare e l’apprendere devono entrare in una chiara visione strategica e costituire un modus vivendi quotidiano”, in modo che la formazione diventi uno “stimolo per affrontare argomenti in precedenza trascurati o repressi”, e non soltanto “uno strumento di soluzione o di semplificazione di problemi percepiti dall’imprenditore”27 , osserva Padroni (2007) in merito all’importanza dell’azione formativa, soprattutto in un orizzonte strategico di medio lungo periodo.
26 Anselmi L., Lattanzi N., (a cura di) Il family business Made in Tuscany ,Franco
Angeli, Milano, 2016, p.32.
27 Padroni G., Aspetti della complessità e sensibilità “postmoderna” nelle dinamiche
La formazione, in senso lato, può comprendere più possibilità di focalizzazione28:
• general management training, intesa come formazione mirata allo sviluppo delle abilità manageriali, trasversali all’organizzazione aziendale, che può essere acquisita tramite i canali tradizionali di apprendimento (università, master vari) oppure mediante esperienze più mirate (learning by doing);;
• formazione di funzione e/o di settore, più specializzante rispetto alla prima, riferita all’apprendimento delle logiche e degli strumenti necessari per operare proficuamente in settori competitivi o funzioni operative specifici, da sviluppare per lo più direttamente sul campo;; • formazione per la successione, finalizzata al trasferimento del know-
how che proiettano la storia ed i valori dell’azienda e della famiglia in un’ottica dello sviluppo e della continuità;;
In questo senso si rileva una certa difficoltà nel distinguere tra “avere competenze” e “agire con competenza”29, ovvero tra il semplice possesso di competenze e la possibilità e capacità di qualificare una persona come competente.
Nella Figura 1, Drucker (1995) offre una rappresentazione grafica dove è possibile individuare, all’intersezione dei tre domini (individuo, contesto, formazione), uno spazio perfetto dove poter collocare la complessa nozione di “family member competente” in completo contrasto rispetto al
28 Anselmi L., Lattanzi N., (a cura di) Il family business Made in Tuscany ,Franco
Angeli, Milano, 2016, p. 198
29 Le Boterf G., De la compétence. Essai sur un attracteur étrange, Editions
“familiare incapace”, il quale l’autore suggerisce di tenere a debita distanza dalla gestione aziendale30.
Figura 1. L’intersezione tra caratteristiche individuali, contesto dell’azienda familiare e formazione: il nucleo di competenze per lo sviluppo e la durabilità dell’azienda familiare
Non esiste un percorso formativo ideale, in quanto dipende dal contesto, dall’individuo e dal tipo di formazione. È utile a questo proposito distinguere anche il concetto di capacità, inteso come l’attitudine a porre in essere una determinata attività, come caratteristica personale di un individuo, dal concetto di competenza, che indica un insieme di risorse funzionali (esperienza, conoscenza, abilità) a fronteggiare una serie di situazioni in un determinato ambito di attività. Non è detto che il possesso di vari titoli qualificanti significhi assumere in modo automatico delle competenze necessarie per ricoprire certi ruoli, in quanto molto spesso alcune abilità di origine esperienziale hanno una valenza altrettanto importante.
30 Drucker P.F., Il grande cambiamento. Imprese e management nell’età
“Nell’era moderna”, scrive Drucker (1993)31, “la risorsa critica per l’impresa non è più rappresentata dal capitale o dal lavoro, ma dalla conoscenza e dai soggetti che la generano”. “La promozione dell’apprendimento individuale e collettivo”, prosegue Paneforte (200532), “rappresenta pertanto la vera sfida odierna per l’impresa che mira a competere e a imporsi sui mercati locali e globali”.
Per concludere sul tema della formazione, si riporta anche il contributo di Ward (1990), secondo il quale, due appaiono le strade che il potenziale erede può seguire nella propria formazione: lo sviluppo di un piano di formazione individuale personalizzato da una parte, e lo studio sistematico della storia, della cultura, della strategia e filosofia aziendale, dall’altra. Questo processo richiede anni, bisogna programmarlo per tempo e che alla sua base presuppone una forte presenza dei genitori e tempo dedicato ai figli per la loro educazione.
1.2 Aspetti dimensionali, modelli e organizzazione delle
PMI familiari italiane
Dalle varie definizioni enunciate all’inizio del presente capitolo, si può evincere che principalmente, due sono gli elementi che costituiscono un’azienda familiare: i sentimenti familiari e gli asset patrimoniali della famiglia. Questa interazione dinamica tra famiglia e azienda, patrimonio e azienda, famiglia e patrimonio, possono subire variazioni in intensità e in natura, in base alla presenza del nucleo familiare e del suo patrimonio nella gestione aziendale. Infatti, in molti casi la gestione aziendale è influenzata anche dal patrimonio personale dell’imprenditore e dei suoi familiari,
31 Drucker P. F., Post-capitalist Society, Harper, New York 1993
32 Paneforte S. (a cura di), Il processo di apprendimento individuale e organizzativo.
perché nonostante giuridicamente separato dalle attività aziendali, esso rappresenta di fatto una fonte indiretta di sostentamento per l’azienda. È facile quindi intuire che nelle aziende familiari, soprattutto quelle di minori dimensioni, ci sia un institutional overlap tra famiglia e impresa con una certa resistenza a formalizzare criteri e strumenti di governance e organizzazione, un rapporto tendenzialmente più stretto tra proprietari, manager e collaboratori, grazie alla prossimità fisica data la piccola dimensione, il ridotto numero di addetti e le intense relazioni interpersonali. Tuttavia, con il succedersi delle generazioni, la varietà degli orientamenti personali e dei percorsi professionali conseguiti, questa sovrapposizione tra struttura di governance e struttura manageriale tende a diminuire. Gli assetti della governance infatti non sono statici, ma si evolvono adattandosi alle esigenze delle generazioni che si susseguono nel tempo, mettendo a disposizione della famiglia un insieme di strumenti, più o meno formali, che possono operare come camera di compensazione delle diversità (esigenze personali, priorità, capacità, livello di impegno ecc.), dove il valore della famiglia e della sua storia costituisce pur sempre un collante33.
1.2.1 Organizzazione e processi di governance nelle family
business
A seconda del livello di coinvolgimento della proprietà nella gestione aziendale, Corbetta (1995)34 distingue quattro tipi di azienda familiare: azienda familiare assoluta, azienda familiare chiusa stretta, azienda
33 Anselmi L., Lattanzi N., (a cura di) Il family business Made in Tuscany ,Franco
Angeli, Milano, 2016, p. 77
familiare chiusa allargata e aperta. Pare quindi assumere un ruolo importante in modo particolare l’età dell’impresa, dato che inizialmente ogni azienda passa da una proprietà interamente detenuta da una persona, ad una proprietà diffusa nell’ambito di più famiglie, spesso appartenenti a più generazioni e a diversi rami della famiglia. Fino a quando la proprietà e il controllo dell’impresa è in mani all’imprenditore o poche persone della famiglia, il problema della governance non si pone;; con la crescita dimensionale e l’avvio di processi di ricambio generazionale, con l’allargamento dei componenti della famiglia coinvolti nella proprietà e una successiva differenziazione dei ruoli in azienda, esercitare da soli il governo dell’azienda diventa complesso e richiede un sistema di
governance più formalizzato, articolato in più organi, distinti per compiti e
responsabilità.
Esistono diversi contributi letterari che si sono proposti di analizzare gli assetti di governance, facendo riferimento principalmente alla loro tipologia, alla composizione del consiglio di amministrazione, all’eventuale presenza di altri organi collegiali, come ad esempio i consigli di famiglia, così come si sono proposti di studiare le varie forme organizzative, considerando la struttura manageriale, ampiezza e profondità degli ambiti di competenza, caratteri distintivi e grado di formalizzazione. Ai fini del presente lavoro, data la difficoltà di fare generalizzazioni, non solo di fronte ad un’elevata varietà di soluzioni di modelli di governance e forme organizzative, osservabili tra piccolissime, piccole e medie imprese, ma anche all’interno delle PMI familiari della stessa fascia dimensionale, si cercherà di delimitare il campo d’indagine al “tipico” modus operandi delle aziende, nostro oggetto di studio, e cioè quelle che per dimensione e caratteristiche si avvicinano di più alle aziende presenti nel territorio della
Maremma, le quali tra l’altro, rappresentano una buona parte delle PMI familiari italiane.
Come già enunciato, nella maggior parte delle imprese familiari domina ancora la presenza del fondatore, spesso con un’età che supera i 65 anni e questo perché domina il timore che possa essere messo in discussione il modello tradizionale dell’impresa. A tal fine i comportamenti tipici sono35: • il fondatore tende a centralizzare la gestione aziendale e le
responsabilità;;
• il fondatore mantiene la leadership in azienda da un punto di vista organizzativo e societario;;
• il fondatore si avvale di una o due figure chiave interne all’azienda, cui sono assegnati compiti diversi e di elevata responsabilità anche se spesso senza un ruolo ben definito;;
• il fondatore opta per una scarsa definizione dei ruoli in azienda;; Da un punto di vista ideale invece, la best practice di corporate governance, di una qualsiasi tipo di azienda familiare non di piccolissime dimensioni, sarebbe auspicabile che preveda la compresenza dei seguenti “tavoli di lavoro”, in grado di funzionare sia formalmente che sostanzialmente36:
- il tavolo della proprietà, che riunisce i familiari in possesso delle quote sociali per discutere le tematiche in merito alla tempistica e modalità di ingresso in azienda dei membri della famiglia, i sistemi di retribuzione e la loro formazione, la nomina della leadership della famiglia e la nomina del consiglio di amministrazione;;
- il tavolo dell’organo amministrativo, che riunisce i membri del CdA per affrontare le questioni relative alla strategia aziendale;;
35 Zocchi W., Quando la famiglia è azienda, Giappichelli, Torino 2008, p. 29 36 idem, p. 30
- il tavolo del management, che riunisce la struttura manageriale per discutere sulle tematiche più operative e contingenti;;
- il tavolo del controllo societario, che riunisce gli organi dei sindaci e di riscontro del governo economico. Questi soggetti rappresentano i vari stakeholder dell’impresa, riconosciuti come legittimi e hanno la funzione di monitorare l’attività ex post degli amministratori in un’ottica di rispetto dei valori di trasparenza informativa e di responsabilità verso tutti gli interlocutori.
1.2.2 Le PMI nell’epoca della globalizzazione: quali prospettive
di sviluppo?
“Pasquale aprì gli occhi e guardò in alto. […] Sorrise. Andava tutto bene, così bene che meglio non c’era verso. E sarebbe andato tutto bene anche il mese prossimo, e l’anno prossimo, e l’anno dopo ancora. Sempre. C’era un futuro che non finiva mai”37. Con queste parole Edoardo Nesi, descrive “l’età dell’oro”: siamo negli anni Sessanta/Settanta, periodo in cui fare impresa, avere un lavoro e guadagnare bene era semplice e alla portata di tutti, l’unico requisito era “alzarsi la mattina con una gran voglia di fare”. Nesi, scrittore e regista, ex imprenditore in Prato, pur essendo alla terza generazione di imprenditori del settore tessile, ha dovuto chiudere i battenti “sconfitto dall’invasione dei cinesi”. In uno dei suoi libri, Storia della mia
gente, egli descrive il periodo di quando ancora giovanissimo, entrò a fare
parte dell’azienda: “Trattare con le banche era piuttosto facile all’inizio, poiché il lanificio era interamente autofinanziato e il lavoro/compito si riduceva a trattare sui giorni di valuta degli assegni che versavamo e sul
37 Nesi E., L’estate infinita, Bompiani 2015, Milano, p. 408
tasso di interesse del conto;; poi […], con un certo scandalo di mio padre, dovemmo iniziare a ricorrere al credito bancario, e direi che qui potrei essere ripreso seduto nell’ufficio […] del direttore di filiale mentre ci stringiamo la mano sorridendo […], certi tutti e due di essere solo all’inizio di una grande carriera”38.
Si porterà come esempio le PMI di Prato e la testimonianza di Nesi allontanandoci per un attimo dal settore oggetto di questo lavoro, quello agroalimentare, ma solo per la convinzione che i motivi delle tante difficoltà che oggi il tessuto imprenditoriale del nostro Paese si trova ad affrontare, sia trasversale a tutti i settori economici.
Prato con il suo district-based business model studiato e portato come esempio nelle aule delle business school, era fino agli inizi degli anni duemila uno dei centri di produzione di tessuti di qualità più importanti di tutto il mondo. Cos’è cambiato dunque?
Negli anni Cinquanta e Sessanta, dopo le macerie e rovine lasciate dalla guerra, Prato, come del resto l’Italia intera, conobbe una grande fase di
boom economico fronteggiata in modo prevalente con investimenti in beni
pluriennali basati su flussi finanziari piuttosto prevedibili nel medio termine. Questo favorì lo sviluppo di piccole aziende familiari che inizialmente fecero ricorso, in larga parte, a capitale di debito di breve termine dal sistema bancario, ponendo le basi a un sistema “banco-centrico”39 e ad una sempre maggiore sottocapitalizzazione, grazie anche alla convenienza fiscale di ricorrere più al capitale di debito che all’autofinanziamento. Nei successivi anni Settanta e Ottanta lo sviluppo tecnologico cominciò ad essere sempre di più basato sull’elettronica, costringendo le aziende ad apportare notevoli
38 Nesi E., Storia della mia gente, Bompiani, Milano 2010, p. 22
39 Anselmi L., Lattanzi N., (a cura di) Il family business Made in Tuscany ,Franco
modifiche e adeguamenti ai loro impianti e macchinari. Di conseguenza, le aziende erano costrette a ricorrere ancora più frequentemente e con somme maggiori a richieste di finanziamento per l’ammodernamento e sostituzione degli impianti che via via si aggiungevano ai debiti pregressi e i relativi tassi di interesse da pagare. Un alto rapporto di indebitamento e piani di sviluppo che spesso erano rilegati ad appunti disordinati nelle tasche dei manager-imprenditori-familiari, era ovvio che ad ogni eventuale crisi, il crollo era molto probabile. Erano anni inoltre, in cui le aziende nascevano e prosperavano “al riparo dell’occhio del fisco e delle leggi, in un mondo perfetto e chiuso, protetto […] dai dazi e dalle tariffe40. Nesi, come moltissimi altri piccoli imprenditori, affermano che il declino dell’economia italiana e la chiusura di migliaia di imprese sia stata conseguenza della globalizzazione e dell’apertura dei mercati, soprattutto con l’entrata negli anni Novanta della Cina nel WTO e con la rispettiva migrazione di molte imprese italiane non solo in Cina, ma anche nei paesi dell’Est, dopo il crollo del Muro di Berlino, dando luogo così non solo all’aumento del numero di mercati da conquistare, ma anche ad un drastico abbassamento dei costi di produzione. “Evidentemente i nostri politici e economisti non sapevano nemmeno che quando arrivi in Cina col tuo bel campionario ti accorgi subito, il primo giorno, che non c’è trippa per gatti, perché i cinesi […], non hanno nessun bisogno né di te né dei tuoi prodotti, te li hanno copiati da tempo e li vendono già in tutto il mondo, Cina compresa, a tre lire”41, sostiene in merito Nesi.
A mio avviso la globalizzazione in sé non è un male, ma è stata gestita forse un po’ male dalla nostra classe politica, ma anche dagli stessi imprenditori. La politica poteva fare di più e qualcosa si sta finalmente
40Nesi E., Storia della mia gente, Bompiani, Milano 2010, p. 142 41 idem, p. 141
muovendo in quella direzione (vedasi Cap. 2), sul fronte della tutela del
Made in Italy ad esempio e della tutela di alcuni settori strategici come
quello manifatturiero ma anche agroalimentare. Hanno ragione Nesi e altri imprenditori delusi quando sostengono che non tutti i piccoli industriali e artigiani hanno i soldi o il credito bancario, l’ambizione, le persone, il talento, l’incoscienza o il coraggio di rischiare tutto quanto accumulato negli anni più fortunati per crescere e competere a livello globale. È pur vero però che non si può pensare di continuare all’infinito a fare il mestiere dei propri padri come se fosse un diritto acquisito ed inalienabile;; di poter vendere nel terzo millennio gli stessi prodotti che producevano loro, fatti con le stesse materie prime, con lo stesso stile e packaging e venderli ai soliti clienti, nei soliti mercati. Le imprese che funzionano hanno saputo rinnovarsi puntando sulla qualità dei prodotti, modernizzando la
governance e investendo in nuovi mercati adeguandosi alle richieste della
sua clientela. Oggi non basta svegliarsi la mattina con tanta voglia di fare, occorre anche saper fare cose nuove ed in modo diverso.
Ci sono molte possibilità di sviluppo di crescita e sviluppo delle PMI italiane, perché dispongono di know how, creatività, talenti, passione, di cui il mondo globalizzato avrà sempre bisogno. Sta agli imprenditori decidere se accettare o meno queste nuove sfide. Come disse Charles Darwin: “non è la specie più forte che sopravvive né la più intelligente, ma quella più ricettiva ai cambiamenti”.
CAPITOLO 2
Il settore agroalimentare in Italia
È cosa ormai nota a tutti che negli ultimi anni, il settore agroalimentare in generale, sia stato protagonista presso la massa dei consumatori di un profondo ridisegno di significato sia in senso antropologico quanto scientifico. Oggi mangiare non significa più solo nutrirsi, ma anche prevenire malattie, esplorare culture diverse, abbracciare nuovi modi di vivere e filosofie di vita (es. assumere solo prodotti vegani, biologici o coltivati solo con il metodo biodinamico), comportamenti che prima erano adottati solo dalle élite socio-culturali. Sono vari i fattori che hanno contribuito all’espandersi di questa filosofia del cibo come il desiderio di mangiare poco ma sano, “mangiare solo italiano” in una società sempre più globalizzata, una maggiore attenzione alle tematiche dell’ambiente e la rispettiva riduzione dell’emissione dell’anidride carbonica (prodotti a km 0);; in modo particolare, hanno contribuito i media, televisione in primis, con le numerose rubriche di costume e società.
Questa progressiva autoconsapevolezza dell’importanza
dell’agroalimentare italiano c’è stata non solo tra i consumatori ma anche sul fronte della politica, che attraverso atti concreti, ha poi dato recentemente sostanza a questo ruolo, come si vedrà più avanti nei paragrafi che seguono, così come la fiducia data al Governo per realizzare un evento importante e complesso come l’Esposizione Universale di Milano che come tema ha avuto proprio quello alimentare. Questo
interessamento e sforzo politico sono in realtà la risposta a una realtà produttiva e imprenditoriale che ha dimostrato di poter rappresentare un asset fondamentale nell’economia e cultura nazionale.
Infatti, solo nel 2016 il settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca ha generato un valore aggiunto di 31.567 milioni di euro, pari al 2,1% del valore aggiunto nazionale42 (Figura 2). Se si considera anche il comparto dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco, che con 27,3 miliardi di valore aggiunto pesa l’1,8% sul totale, il complesso del settore agroalimentare rappresenta il 3,9% del valore aggiunto complessivo.
Figura 2. Valore aggiunto a prezzo base per settore di attività economica. Anno 2016
Attività
economiche
Valore aggiunto Unità di lavoro Milioni di
euro Composizione % Variazioni annue % su valori concatenati Variazione annua Agricoltura, Silvicoltura e
Pesca 31.567 2,1 -‐0,7 +0,9
Industria in senso stretto 289.728 19,3 +1,3 +1,7 - di cui Alimentare,
bevande e tabacco 27.251 1,8 +1,1 +0,5 Costruzioni 71.479 4,8 -‐0,1 -‐2,9 Servizi 1.107.811 73,8 +0,6 +1,7 Valore aggiunto ai prezzi
base 1.500.585 100 +0,7 +1,4
Prodotto interno lordo ai
prezzi di mercato 1.672.438 +0,9