Attività economiche
2.2 Il settore agroalimentare italiano all’interno del mercato europeo: vantaggi e limit
L’Unione Europea, come sappiamo, è un'organizzazione internazionale politica ed economica a carattere sovranazionale, che comprende ad oggi
28 paesi membri. La sua formazione sotto il nome attuale risale al trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 e del quale Italia è uno dei Paesi fondatori. Nata con lo scopo di promuovere la pace (“mai più guerre tra noi!”), oggi l’UE si occupa anche degli affari esteri, difesa, politiche ambientali ecc. degli stati membri. Tra queste competenze c’è soprattutto quella di regolare le politiche economiche (agricoltura e commercio) degli stati membri e assicurarsi che i rispettivi Stati implementino tali regolamenti all’interno dei propri ordinamenti giuridici.
In particolare, la politica agricola comune, è nata nel 1962, dal ricordo della fame del dopoguerra, quando ancora gli Stati membri erano soltanto sei e aveva l’obiettivo di ottenere raccolti più abbondanti, grazie a un maggiore ricorso alla tecnologia e a una maggiore efficienza.
Ancora oggi la sicurezza dell’approvvigionamento della popolazione è l’obiettivo principale della politica agricola, anche se con il passare del tempo, sono emerse nuove priorità, in particolare la sostenibilità e il mantenimento delle piccole imprese agricole nelle zone rurali e la sicurezza alimentare mediante l’Autorità per la sicurezza alimentare (EFSA), tra l’altro, con sede a Parma.
Far parte di un’organizzazione sovranazionale, ci permette di disporre di molti diritti, ma comporta anche il rispetto di vari obblighi, con i rispettivi vantaggi e limiti. Vediamo per primo alcuni dei vantaggi:
Ø accesso libero al mercato di 28 Paesi e più di mezzo miliardo di consumatori;; solo nel periodo gennaio - maggio 2017, il 65% delle vendite estere nazionali di prodotti agricoli, per un valore di 10,6 miliardi di euro, sono state realizzate sul mercato comunitario. Sempre nei primi cinque mesi del 2017 la Germania, con 2,8 miliardi di euro, si è confermata primo sbocco commerciale dell'Italia52;;
Ø ad oggi, il 40 % del bilancio dell’UE è destinato all’agricoltura (poco meno di 60 miliardi di euro, corrispondente in media a 112 euro per cittadino europeo all’anno)53. Per quanto riguarda l’Italia, nella programmazione 2014-2020 sono stati stanziati in totale 37,5 miliardi di euro per il sostegno all’agricoltura, di cui circa 27 miliardi di euro in pagamenti diretti agli agricoltori e circa 10 miliardi di euro destinati allo sviluppo rurale. Negli ultimi anni i pagamenti diretti si sono rivelati un’importante rete di sicurezza per gli agricoltori italiani. Nel 2014, ad esempio, gli imprenditori agricoli del nostro paese hanno ricevuto oltre 3,9 miliardi di euro, sotto forma di pagamenti diretti a favore di circa 1,16 milioni di aziende agricole. Nel 2014 inoltre, l’UE ha speso per l’Italia più di 614 milioni di euro per le misure di mercato, da destinare principalmente al settore vitivinicolo e ortofrutticolo. È vero che sempre di risorse italiane si tratta, dato che l’Italia è uno dei contribuenti attivi al bilancio UE, vale a dire che paghiamo più di quanto ne abbiamo ritorno, anche se non è detto che da solo, il nostro Paese, con tutti gli altri problemi che ha (es. uno dei più grandi debiti pubblici del mondo), sarebbe stato in grado di destinare altrettante risorse ad un settore così importante come l’agricoltura;;
Ø controllo e sicurezza alimentare mediante la summenzionata EFSA – agenzia europea indipendente, la quale produce consulenza specialistica per consentire alla Commissione europea, al Parlamento europeo e agli Stati membri dell'UE di prendere decisioni efficaci e puntuali in materia di gestione del rischio, grazie alle quali viene assicurata la protezione della salute dei consumatori europei e la sicurezza del cibo e della catena alimentare.
Di conseguenza, grazie ad un controllo efficace e tempestivo, i prodotti presenti sul mercato europeo sono tra i più sicuri al mondo. Politica agricola comune, lo dice la parola stessa, significa porre in essere delle misure e attuare dei regolamenti al fine di armonizzare le varie regioni presenti sul territorio europeo, molte delle quali sono più indietro di quelle italiane sia come tecnologie utilizzate che a livello culturale, in più, Italia viene classificata come paese industriale, cosa che la rende ancora più suscettibile ai vari limiti imposti dalla UE. A questo proposito si possono ricordare le famose quote latte che erano uno strumento di politica agraria comunitaria che imponeva agli allevatori europei un prelievo finanziario per ogni chilogrammo di latte prodotto oltre un limite stabilito. Questo regime di prelievo supplementare che aveva lo scopo di limitare la produzione del latte per mantenere i prezzi entro una certa soglia, per moltissimi anni ha danneggiato tanti produttori italiani, molti dei quali hanno cessato l’attività, e anche lo Stato, a causa delle ingenti multe pagate. Per fortuna dal 1 aprile 2015 questo regime è cessato e si è tornati al mercato libero.
Europa è anche una comunità a livello politico, di conseguenza se si decide di assumere una posizione verso uno stato esterno, tutti gli altri la devono seguire. È il caso della Russia e la crisi in Ucraina. Dal marzo 2014 l'UE ha gradualmente imposto misure restrittive nei confronti di questo paese, in risposta all'annessione illegale della Crimea e alla deliberata destabilizzazione dell'Ucraina, come le restrizioni alla cooperazione economica, le sanzioni economiche e altre misure diplomatiche. La Russia a sua volta ha risposto con un embargo di prodotti agricoli fino al 31/12/2017, che ha colpito in modo particolare l’agroalimentare: sono oltre 50 le categorie di prodotti banditi tra i quali quelli caseari e ortofrutticoli, carne e salumi, pesce e derivati. Le imprese italiane in due anni hanno perso circa 500 milioni di euro. L’embargo ha
favorito, inoltre la nascita di un mercato della contraffazione del Made in
Italy54.
Un altro limite che i produttori agricoli italiani si trovano ad affrontare è quello di operare in un mercato unico senza frontiere ma con mercati nazionali distinti;; sono diversi i costi che le nostre imprese devono sostenere per la loro produzione come quello dell’energia, trasporti, fisco ecc. rispetto per esempio ai produttori rumeni o ungheresi. Come conseguenza, i prodotti italiani spesso hanno un prezzo molto più alto rispetto ai principali competitor europei. Per rimanere sul mercato e rimanere competitivi, molte delle materie prime (es. olio di oliva, prosciutto, latte, grano, riso) vengono importate a prezzi più bassi, come il grano canadese di bassa qualità55 e mescolato con un poco di grano italiano, facendo pasta che viene poi venduta come prodotto italiano.
La buona notizia è che il 20/07/2017, proprio per venire incontro ai piccoli produttori che producono il vero Made in Italy, il Ministro delle Politiche Agricole e per lo Sviluppo Economico, hanno firmato due decreti interministeriali per introdurre l'obbligo di indicazione dell'origine del riso e del grano per la pasta in etichetta. I provvedimenti introducono la sperimentazione per due anni del sistema di etichettatura, nel solco della norma già in vigore per i prodotti lattiero caseari56. "È un passo storico - ha dichiarato il Ministro delle Politiche Agricole. […] Puntiamo così a dare massima trasparenza delle informazioni al consumatore, tutelare i produttori e rafforzare i rapporti di due filiere fondamentali per l'agroalimentare Made in Italy. Con questa decisione l'Italia si pone
54 www.euronews.com;; notizia del 29/06/2016 55 www.cia.it ;; speciale CETA
all'avanguardia in Europa sul fronte dell'etichettatura, come chiave di competitività per tutto il sistema italiano”.
Si può concludere quindi che con una costante attività di vigilanza da parte della classe politica sull’applicazione dei vari regolamenti europei e senza perdere di vista i comparti della nostra economia che più necessitano di tutela, come il Made in Italy, operare all’interno del mercato europeo non può che fare bene sia all’economia dell’intera regione che ai suoi consumatori, perché la concorrenza fa bene non solo a questi ultimi, ma anche a chi la fa, purché sia leale.