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La fiaba, com'è noto, è un genere orale. La sua bellezza riposa così, essenzialmente, sopra l'arte con cui il narratore espone e rielabora i materiali che gli sono offerti dalla tradizione [...]. È cosa da ascoltare, in cui gesto e intonazione, mimica e pause, tengono un ruolo capitale. Ancora un passo e diremo tranquillamente che la fiaba è un genere teatrale, che postula un recitante e un pubblico, anche ridotto a un ascoltatore solitario. Come struttura miniteatrale, la fiaba discopre ancora le proprie origini rituali. Con Gozzi, approdando alla scena, la fiaba conquista così uno spazio e una struttura predestinati.18

Così Edoardo Sanguineti ci porta avanti di un secolo nella nostra rassegna fiabesca e ci prospetta una soluzione nuova: le fiabe teatrali di Carlo Gozzi per l'appunto. Soffermarsi su questa parentesi teatrale è d'obbligo perché segna il punto di raccordo tra l'eccezionalità di una raccolta di fiabe popolari, entrate nella letteratura ufficiale come genere comico per l'argomento basso e la lingua altrettanto umile del dialetto napoletano, anche se nasconde un ventaglio di ideali e di sentimenti barocchi in contrasto con la rigida mentalità controriformista, e la nuova sensibilità romantica e post-unitaria di un'Italia in cui, come notò Jolles, piovevano fiabe.

Abbiamo iniziato il nostro discorso con Straparola e Basile, due casi isolati e scarsamente considerati nel panorama culturale che pur avendoli generati li ripudiava, perché non adatti a

17M. RAK, Fonti e lettori nel «Cunto de li cunti» di G. B. Basile, cit., p. 114.

18EDOARDO SANGUINETI, La donna serpente come fiaba in CARLO GOZZI, La donna serpente, Genova, Edizioni

del Teatro di Genova, 1979, cit. da LUCIO FELICI, Le fiabe teatrali di Carlo Gozzi in Tutto è fiaba: Atti del Convegno

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rappresentare i canoni della nuova letteratura italiana, e li relegava a prodotti di consumo da spendere come passatempo. Quello che gli accademici non avevano considerato era il successo che l'opera di Basile avrebbe riscontrato in Europa, specialmente in Francia dove Charles Perrault scrisse per la corte del re Sole i Contes de ma mère l'Oye (I racconti di Mamma Oca), dove Galland tradusse in francese Le mille e una notte e dove addirittura il romanzo si apprestava a perdere terreno in favore di una ricca produzione di fiabe.

È proprio questo retroterra culturale francese che suggerisce a Carlo Gozzi l'idea di rappresentare sulla scena teatrale alcune tra le fiabe più note tra il pubblico italiano. Parlare di Carlo Gozzi comporta inevitabilmente affrontare il tema del teatro e delle ideologie che hanno animato la nota polemica con Carlo Goldoni. Quello che ci preme sottolineare in questa sede è la scelta da parte di un drammaturgo, influenzato dalla logica del mercato e dalla necessità di realizzare prodotti accattivanti, di optare per un soggetto di umile origine come le fiabe ma sicuramente conosciuto e amato da ogni strato sociale. Il merito di Gozzi è stato quello di rendere popolare, ovvero appartenente all'immaginario della gente comune, un genere che era nato proprio tra gli strati sociali più umili e che non aveva mai ricevuto riconoscimenti ufficiali; a Venezia finalmente, dopo la parentesi di Straparola, un pubblico eterogeneo può andare a teatro pagando un biglietto per assistere ad uno spettacolo divertente ma anche in grado di suscitare, grazie al mondo meraviglioso e fiabesco che viene ricreato sul palco, sentimenti nostalgici per un passato atavico in cui quegli stessi racconti venivano narrati davanti al fuoco tra le mura domestiche, usanza che la società moderna stava sempre più ridimensionando a vantaggio di altre forme di intrattenimento comunitario, che prevedessero anche un tornaconto economico. Inoltre, come ha osservato Matilde Serao19, la riesumazione delle fiabe è vista come

un modo per distrarre il pubblico dalla realtà del teatro goldoniano, quel teatro che sembrava

19MATILDE SERAO, Carlo Gozzi e la fiaba in La vita italiana del Settecento. Conferenze tenute a Firenze nel 1895,

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«volesse continuare […] la esecranda opera della Enciclopedia e della rivoluzione francese»20

nel senso che cercava di mostrare la verità sulla decadenza dei costumi dell'aristocrazia veneziana e contemporaneamente sulla sua perdita dei valori più alti e nobili che il ceto emergente della “borghesia” medio-bassa cominciava a scoprire e ad imitare, colpendo così nel vivo la sensibilità di uno scrittore appartenente a quella stessa aristocrazia che Goldoni infangava.

Gozzi scrisse dieci fiabe teatrali21 tra il 1761 e il 1765, attingendo la materia da fonti

letterarie italiane, francesi e orientali, personalizzandole attraverso l'incursione delle maschere della commedia dell'arte, per inserire oltre a momenti di comicità anche la sua polemica nei confronti della società settecentesca, e moventi alle azioni dei personaggi che di solito sono assenti.

La prima fiaba rappresentata fu L'amore delle tre melarance, di cui possediamo solo un'analisi riflessiva perché basata probabilmente su un canovaccio, ed è molto simile alla cornice del Cunto de li cunti di Basile, cioè alla storia della principessa Zoza di cui si è parlato precedentemente. La scelta di riprendere questa fiaba è riconducibile alla volontà di coinvolgere il pubblico in una storia che appartenesse all'immaginario collettivo, come sicuramente sarà stato a quel tempo in cui tutte le fiabe del Basile circolavano oralmente ed erano ben conosciute dal popolo.

La critica22 vede in Gozzi un uomo ancorato al passato, fedele alla commedia dell'arte

20 Ivi, p. 267.

21 Oltre a L'amore delle tre melarance, Gozzi scrisse Il corvo, attingendola dalla raccolta di Basile e strutturandola

in parte in prosa e in parte in versi su uno sfondo meraviglioso dal tono melodrammatico, e Turandot, attinta da

Le Mille e un giorno di Petis de la Croix e Lesage, che sarebbe diventata famosa grazie alla riproduzione operistica

di Giacomo Puccini nel 1926. Accanto a queste fiabe più significative troviamo Il re cervo, La donna serpente,

Zobeide, I pitocchi fortunati, Il mostro turchino, L'augellin belverde, Zeim, re de' geni.

22M. PETRINI, Le «Fiabe teatrali» di Carlo Gozzi in La fiaba di magia..., cit., pp. 182-189; L. FELICI, Op. cit., cit.,

p. 175; A. JOLLES, La fiaba nella letteratura occidentale moderna, cit., pp. 185-194; ALBERTO BENISCELLI, La

messinscena di una «fanfaluca misteriosa»: “L'amore delle tre melarance” in La finzione del fiabesco. Studi sul teatro di Carlo Gozzi, Genova, Marietti, 1986, pp. 61-73; SUSANNE WINTER, Le fiabe teatrali- componenti e

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tradizionale e quindi un conservatore rispetto alle novità goldoniane. Sembra proprio che la fiaba consenta al drammaturgo veneziano di ritornare con la mente e lo spirito ad un passato che si vorrebbe non perdere e tanto meno contaminare con le idee illuministe rivoluzionarie; per questo motivo si sarebbe accanito contro la riforma teatrale di Goldoni che voleva portare in scena il realismo della società borghese veneziana affidando le scene a copioni ben studiati nelle battute e non più improvvisati. Tuttavia, secondo l'analisi condotta da Alessandra Iacobelli23, anche Gozzi sarebbe a suo modo un riformatore della commedia: pur avendo scelto

un mezzo fantastico e irreale come la fiaba ci sarebbe in lui la stessa volontà di rappresentare la società contemporanea e di criticarne le incoerenze. La fiaba sarebbe allegoria della realtà che va osservata, come in epoca barocca, al contrario, in modo speculare.

Il teatro del Gozzi è articolato secondo la specifica modalità disposta a recuperare, dall'irreale mondo alla rovescia della fiaba, motivi ed elementi fantastici, i quali vengono in seguito rivalutati e riattraversati allegoricamente dall'intervento dell'autore e, dunque, resi attivi e simbolicamente espressivi di quei temi e di quegli aspetti della cultura settecentesca che l'autore critica.24

Il panorama che è stato sinteticamente elaborato, circa le modalità con cui la fiaba è entrata in letteratura conquistando lentamente un riconoscimento estetico e morale che prima non aveva, nonché un valore sociale e culturale fondamentale per comprendere da un punto di vista alternativo la sensibilità dell'uomo cinque-seicentesco, ci ha permesso di porre le basi per un discorso ben più ampio che seguirà in questa analisi del genere. Quello che si è potuto notare parlando dei tre autori principali che hanno immortalato la fiaba nella scrittura è stato il fatto che essa era considerata uno strumento con cui intrattenere un pubblico adulto risiedente a corte o appartenente agli strati sociali medio-bassi e quindi un genere riguardante la letteratura di consumo, per il semplice motivo che il soggetto narrato e le modalità espressive erano ritenute

pp. 67-88.

23ALESSANDRA IACOBELLI, Allegoria, fiaba e commedia dell'arte nella «Donna serpente» di Carlo Gozzi in Parola,

musica, scena, lettura. Percorsi nel teatro di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi, a cura di Giulietta Bazoli e Maria

Ghelfi, Venezia, Marsilio, 2009, pp. 503-520.

36 troppo umili per veicolare messaggi seri di alto livello.

Solamente nel corso dell'Ottocento e del Novecento letterati e studiosi di folclore cominceranno a riabilitare le opere del passato e a valorizzare l'importanza del genere della fiaba come unificatore culturale e mezzo educativo del nascente popolo italiano.

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CAPITOLO TERZO

LA FIABA ITALIANA NELL'OTTOCENTO: IL ROMANTICISMO E

LE RACCOLTE REGIONALI DI FIABE POPOLARI

Nella letteratura letterata non trovi nulla che ti rammenti un bel cielo sereno, o variato leggiadramente di chiarore e di nubi, la lieta ubertà delle valli, gli andirivieni del torrente e del poggio, lo stormir delle foglie simile al romoreggiare del fiume, l'aspetto del bosco che sotto a' tuoi piedi si stende quasi un mar di verdura. La letteratura letterata è un gran piano magnificamente coperto d'un bel manto di neve.

N. Tommaseo1

Finora si è parlato delle caratteristiche della fiaba, un genere appartenente alla cultura folclorica di ogni popolo d'Europa e non solo, espressione degli strati sociali più poveri che riflettono in essa i loro desideri più profondi. Questo patrimonio culturale orale, a partire dal Cinquecento con Straparola, si è amalgamato con la letteratura scritta, diventando occasione di intrattenimento per il pubblico eterogeneo della Venezia del tempo o per il pubblico della corte napoletana nel caso delle fiabe del Basile, per poi apparire nel teatro veneziano con le fiabe di Gozzi. Con questi tre autori la produzione di fiabe letterarie si esaurisce e scompare per un secolo per riapparire nella seconda metà dell'Ottocento prima nelle raccolte di fiabe regionali, allo scopo di testimoniare la cultura popolare viva e attiva nelle diverse regioni d'Italia, poi nella produzione di fiabe d'autore, destinate ai ragazzi o alle persone analfabete per essere istruiti alla lingua e all'educazione civica della neonata Italia.

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In questo capitolo si andranno a ripercorrere le tappe del pensiero che hanno portato l'Europa e in particolare l'Italia a scoprire letteralmente il popolo con tutto il suo secolare bagaglio di storie, canti e leggende, per farli confluire in raccolte che, seppur a carattere regionale, testimoniano una cultura omogenea e comune a tutta l'Italia.