IV.5. Guido Gozzano e le fiabe
IV.5.1 Premessa
Il discorso che si è tenuto finora, per concludersi, merita di protrarsi nel primo decennio del Novecento, nella produzione letteraria di Guido Gozzano. Egli è generalmente inserito nel filone dei Crepuscolari, quei poeti che, venendo dopo d’Annunzio e Pascoli, devono «accontentarsi delle briciole»171, come disse Giuseppe Antonio Borgese quando coniò per la prima volta l’aggettivo “crepuscolare” nel saggio Poesia crepuscolare, uscito nel 1910 sul quotidiano La Stampa.
Come è noto, questi poeti si trovano a vivere in un periodo storico e culturale particolarmente fragile e sensibile al cambiamento sociale: l’Ottocento era stato un secolo animato da forti ideali patriottici e identitari che avevano generato una letteratura fondata sul medesimo approccio nei confronti della realtà: una visione del mondo certa, rigidamente inquadrata e immutabile, animata da valori rassicuranti di onestà, coraggio, generosità, senso di pietà e rispetto per il prossimo; ad esse si contrapponevano valori negativi di ribellione, ambizione snaturata, violenza, che trovavano forma nello scontro tra bene e male, tra buoni e cattivi, tra esempi positivi e negativi da imitare o da respingere. Naturalmente non è possibile estendere questa mentalità, caratterizzante nei Promessi sposi, nei Malavoglia, nelle fiabe popolari e in quelle d’autore, a tutto il secolo, perché è chiaro come questo sia solo l’approccio dominante, che ha sempre le sue eccezioni. Sono proprio queste infatti a trovarsi concentrate sul finire dell’Ottocento e a farsi sentire nel panorama letterario del primo decennio del Novecento tra i Crepuscolari, in cui si colloca appunto Guido Gozzano. Il problema di questi
171 Cit. in CESARE SEGRE, CLELIA MARTIGNONI, Testi nella storia. La letteratura italiana dalle origini al Novecento,
153
poeti era soprattutto di natura storica dal momento che, usando ancora le parole di Borgese, cosa ci si poteva aspettare «dopo le Odi barbare di Carducci, dopo l’Otre, dopo la Morte del cervo [due liriche della raccolta dannunziana Alcyone], dopo quella dozzina di liriche dannunziane, nelle quali la nostra lingua mostrò veramente tutto il suo potere?»172. Borgese dunque si rendeva conto del livello raggiunto da poeti come d’Annunzio e Pascoli nei quali, anche se in modi diversi, la realtà veniva vista come sicura e forte dei valori etici e civili, raccontabile con una lingua altrettanto rigida e capace di inquadrare perfettamente la realtà; ciò infatti sarà messo in crisi proprio con l’ingresso nel XX secolo, quando i repentini cambiamenti economici, sociali e culturali stravolgono le certezze riguardanti la concezione e il valore dell’uomo nella società, prospettando un mondo in cui le logiche del mercato dominano la realtà umana, le scelte individuali e personali. Gozzano, come i Crepuscolari in genere, sono riusciti, come disse Montale, a far cozzare “aulico e prosaico”, a rinnovare il linguaggio poetico innalzato da d’Annunzio rendendolo mite e dimesso, malinconico e sognante; viene data importanza alla quotidianità, anche a quella più materiale e poeticamente poco interessante, che acquisisce valore nuovo, non perché sveli delle verità inusitate ma perché diventa il mezzo con cui manifestare uno stato d’animo di irrequietezza, malinconia, assenza di speranza e di fiducia nel futuro, che non trova più slancio in valori alti e nobili ma che si limita a trovare il suo “rifugio” in questi ambienti inattivi, inutili e privi di spirito. Gozzano sembra vivere in un perenne stato di torpore, di incapacità d’azione e di trasporto emozionale; l’unico stato d’animo che sembra appartenergli è la malinconia, che ricorre anche come intercalare in La signorina Felicita ovvero la felicità. Il poeta sente certamente il peso della vita ma al tempo stesso ne è attratto e vorrebbe goderne; purtroppo però gli manca la forza d’animo, specialmente perché ritiene che cercare la felicità sia uno sforzo inutile se poi la morte, che è sempre lì ad incombere,
154
può spazzare via tutto in un istante. L’attaccamento alla vita e la stanchezza di amare si racchiudono in alcuni versi della poesia Invernale: Gozzano si trova su un lago ghiacciato e quando sente spezzarsi il ghiaccio sotto i piedi, alle grida «Resta, se tu m’ami!»173 della donna che era con lui sente di non dover dare ascolto. «Le dita liberai da quelle dita, / e guadagnai la ripa, ansante, vinto…»174, così il poeta, per quella «voluttà di vivere infinita!»175, abbandona da
vile qual è la donna, dimostrando di non essere forte abbastanza a pensare per due, ma di riuscire a malapena a trovare la forza per sé.
Gozzano allora, più di ogni altra cosa, sente in sé la stanchezza di dover combattere le difficoltà, gli ostacoli, della vita, ma anche di dover vivere sensazioni piacevoli come l’amore che dovendo essere coltivato richiede fatica.
A questo senso di apatia, Gozzano risponde con la fuga: si rifugia nelle piccole cose della quotidianità, nell’illusione e nei ricordi del passato, lieto solo perché legato alla sua giovinezza, nel viaggio in terre esotiche176 e naturalmente nel mondo da sogno della fiaba. A quest’ultimo aspetto allora ci riallacciamo per osservare Gozzano sotto un’altra luce, quella di scrittore per l’infanzia, età a cui si sentiva sempre dolcemente legato.
Le fiabe, uscite tra il 1909 e il 1914 nel «Corriere dei piccoli», e solo successivamente raccolte in volume, si rivelano illuminanti per comprendere a pieno il pensiero di Gozzano, il suo tormento, la sua poetica. Questo stretto legame con le poesie dei Colloqui ci porta inevitabilmente a parlare delle fiabe come continuazione o spiegazione di alcuni nuclei fondanti
173 Invernale, v. 9, in GUIDO GOZZANO, Opere, a cura. di Carlo Calcaterra, Alberto De Marchi, Milano, Garzanti,
1953, p. 87. Tutte le poesie sono tratte da questa edizione.
174 Invernale, vv. 29-30 in Ivi, p. 88. 175 Invernale, v. 28, in Ibidem.
176 Guido Gozzano era stato in India nella primavera del 1912. Da questa esperienza di viaggio in una terra esotica
nacquero dei racconti che univano il piacere delle descrizioni dei costumi e dei paesaggi a riflessioni sociali e filosofiche, confluiti poi nel libro Verso la cuna del mondo, pubblicato postumo nel 1917.
155
del suo pensiero poetico. Partiamo allora dalla poesia che a detta di Elisabetta Tonello177 è il
manifesto della poetica gozzaniana, La via del rifugio: Trenta quaranta, tutto il Mondo canta
canta lo gallo risponde la gallina…
Socchiusi gli occhi, sto supino nel trifoglio, e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò. […]
Socchiudo gli occhi, estranio ai casi della vita. Sento fra le mie dita la forma del mio cranio… Ma dunque esisto! O strano!
vive tra il Tutto e il Niente questa cosa vivente detta guidogozzano!
Resupino sull’erba (ho detto che non voglio
raccorti, o quatrifoglio) Non penso a che mi serba
la Vita. Oh la carezza dell’erba! Non agogno che la virtù del sogno: l’inconsapevolezza!
[…]
Sognare. Oh quella dolce Madama Colombina
protesa alla finestra con tre colombe in testa!178
[…]
Innanzitutto, la poesia si apre con una filastrocca, le cui strofe sono disseminate in tutto il componimento e sono tenute distinte dal resto della poesia dal diverso segno grafico; nella seconda metà del componimento i personaggi della filastrocca (Madama Colombina, tre fanti, tre cavalli bianchi) diventano argomento della poesia vera e propria, perché prendono forma
177ELISABETTA TONELLO, Guido Gozzano: dalla poesia alla fiaba, dalla fiaba alla poesia in «Giornale storico
della letteratura italiana», 2012, CXXIX, 625, pp. 110-128.
178 La via del rifugio in G. GOZZANO, Opere, cit., pp. 5-7; della poesia sono state riportate solo le strofe più
156
nel sogno fatto da «questa cosa vivente detta guidogozzano». L’immagine che Gozzano ricostruisce nella poesia è quella di lui che, disteso supino sul prato, sente recitare una filastrocca dalle nipoti e orienta i propri pensieri prima verso l’esterno e poi verso l’interno: prima vede un quadrifoglio, portafortuna che però non vuole cogliere, segno questo di un’assenza di speranza nel futuro e di quello che la vita gli può offrire, mista anche a paura; poi, chiusi gli occhi, comincia a prendere dimestichezza col suo corpo, di cui percepisce l’esistenza fisica, tanto che la considera quasi come un oggetto fuori da sé, una «cosa vivente», ma non viva, che gli altri chiamano «guidogozzano». Infine, l’ultima immagine, limitatamente alle strofe riportate, è quella del sogno, in cui prendono vita i personaggi sentiti recitare nella filastrocca, a cui il poeta si abbandona con la placidità e la serenità che non ha invece da sveglio, perché immerso nella realtà.
Ecco allora che da questa poesia emergono due temi fondamentali che saranno al centro, anzi alla base stessa, della composizione fiabesca, ovvero la paura, il rifiuto, per la vita reale e per le sue illusioni, e quindi il ripiegamento nel sogno, l’unico momento di pace e di dolcezza.