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IV.3. C'era una volta Luigi Capuana

IV.3.5 Conclusione

Luigi Capuana, teorico del Verismo insieme al suo conterraneo e amico Giovanni Verga, si avvicina al folclore mosso da una curiosità innata e da una tendenza all’eccentricità, convinto che la tecnica dell’impersonalità si potesse applicare a tutti gli aspetti del reale, compresi quelli che di reale avevano ben poco, come la magia e il fantastico che regnano nelle fiabe. Molti si sono chiesti perché un intellettuale così votato al vero, alla realtà concreta, si fosse avvicinato ad un genere per l’infanzia così immaginoso come la fiaba. Le risposte che sono state date si ricollegano alle radici stesse del Verismo a cui sembrano aggrapparsi anche le fiabe: il Verismo indaga la vita vera e spesso cruda della popolazione più umile e degradata adottando una tecnica impersonale che cerchi di dare voce alla massa, adottandone il punto di vista; a questo si riallaccia inevitabilmente tutto il mondo del folclore che è nato e si è tramandato proprio nelle umili case dei popolani, diventando lo specchio delle loro frustrazioni e dei loro desideri, materializzati appunto nella fiaba. Per tale ragione, come sostengono alcuni critici, riprendere questo genere è l’occasione di ripercorrere le tappe della cultura popolare e non è un’infrazione

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ai principi veristi: Gina M. Miele si trova d’accordo con Luigi Russo quando afferma che «quel mondo di immaginazione fiabesche aderisce strettamente alle sue esperienze di folklorista, di novelliere “popolare”, di rievocatore verista della vita paesana»126 e ciò non esclude che egli

solo in un secondo momento, possa essersi lasciato andare a quel mondo giocoso dove «può liberarsi dalle pregiudiziali veristiche e trovare un tono di maggiore abbandono, d’incanto e di poesia, manifestando con sincerità la sua aria buona e aperta e, qualche volta, con atteggiamento sornione, la sua garbata canzonatura»127; canzonatura per un mondo in cui non sempre si

riusciva a trovare la soluzione, in cui a volte si manifestava una critica al Positivismo e ai suoi mezzi di indagine che rivelavano l’incapacità del cambiamento sociale e al cui fallimento si poteva rispondere solo con una vena satirica. In questo quadro si colloca il romanzo-fiaba Il re Bracalone, in cui la satira politica si nasconde nelle maglie della fantasia e della magia, mezzo che Capuana aveva compreso essere un buon metodo educativo e riflessivo: come ha notato Mario Zangara128, nel suddetto romanzo sono disseminate delle critiche nei confronti di un

progresso che rischiava di compromettere quell’ordine sociale a cui comunque Capuana era strettamente aderente in quanto conservatore convinto; lui che vedeva il socialismo come una «sciocca sentimentalità con cui certi furbi lusingano i più bassi appetiti delle classi agricole e operaie»129 e i movimenti popolari come disordine sociale, trova il modo di educare le giovani

generazioni ad una comprensione della società coeva ma soprattutto ad un ideale da rispettare. È Nicolò Mineo che, analizzando le ultimissime fiabe di Capuana, Si conta e si racconta. Fiabe minime del 1913, osserva come in generale nelle fiabe dell’autore si fronteggino sempre due mondi opposti, quello dei re e quello del popolo;

126L. RUSSO, I narratori, Milano-Messina, Principato, 1951, p. 88, cit. in G. M. MIELE, Op. cit., p. 309.

127G. MARCHESE, Capuana: poeta della vita, Palermo, Edizioni Andò, 1964, pp. 4-5, cit. in G. M. MIELE, Op. cit.,

p. 309.

128MARIO ZANGARA, Luigi Capuana, Catania, La navicella, 1964, pp. 127-149.

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è una società bipartita nella sua concezione naturale e storica: da una parte i dominanti dall’altro i dominati. […] I detentori del potere sono travolti e dominati da un altro potere, preternaturale. […] Ogni forma di potere umano è sempre subordinata a quest’altro potere e non può che accettarne le regole e le direzioni. È l’idea dell’esistenza di un vero potere, preponderante, che governa la vita, come una inconoscibile legge superiore ed eterna, che interviene variamente portando i suoi soggetti verso assetti definitivi attraverso una serie di sperimentazioni e di prove130.

Questo potere non può che portare al lieto fine, in base ad una legge oscura e imprevedibile che si occupa di ripristinare un ordine; per questo infatti nelle fiabe Capuana presenta personaggi socialmente elevati che per le lor malversazioni vengono puniti e troveranno pace solo dopo essersi pentiti; la soluzione quindi, come notava Barsotti, è di natura morale e intima, non ci sono vincitori né vinti ma colui che è stato vinto dal vizio e dal male, trovata la forza di cambiare e di chiedere perdono, diventa vincitore e il vero eroe della storia; come notava G. M. Miele «by punishing prideful kings and self-serving ministers, Capuana insinuates that a governing body must overcome egotism and learn to be humble, honest, and selfless in order to better serve its community»131.

Questa visione conservatrice del mondo e della società contemporanea emerge in tutte le fiabe, dalle prime alle ultime raccolte; certamente intercorrono numerose differenze nello stile, nella lingua e nella trama però quello che resta intatto è la ripresa di un genere millenario in cui la “contraffazione” di crociana memoria certamente c’è stata, relativamente alla ripresa di tutte quelle strutture narrative che afferiscono alla fiaba e che l’autore non poteva non rispettare, però Capuana ha introdotto elementi originali132 che hanno permesso, nonostante le

critiche negative di Croce e di altri come lui, di rendere la fiaba non solo il genere prediletto per l’educazione dei giovani nel clima post-unitario, ma anche di riconoscere a Capuana il merito di aver assegnato alla fiaba un valore che non aveva mai avuto: da Basile a Gozzi la

130NICOLÒ MINEO, Trasformazione e stabilizzazione nella fiaba di Capuana: “Si conta e si racconta” in «Annali

della fondazione Verga», 8, 2015, p. 19.

131G. M. MIELE, Op. cit., p. 317.

132 Dal mancato rispetto pedissequo delle funzioni di Propp, alla coloritura vernacolare siciliana, dalla insinuazione

di fiabe senza lieto fine all’imposizione di una visione del mondo bipartita e con differenti esiti e comportamenti tra chi è in alto e chi è in basso nella gerarchia sociale.

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fiaba era considerata un genere inferiore perché di natura e di destinazione popolare; nell’Ottocento, grazie al fascino per il folclore, la fiaba rinasce dalle ceneri dei focolari domestici a cui era da secoli relegata per trovare nuova vita nella carta stampata; circola nei libri e nelle riviste per bambini ma è in grado di parlare anche agli adulti di quel mondo ancestrale che non poteva essere dimenticato e di trasmettere una morale e una visione del mondo con la leggerezza e la semplicità ereditata da Collodi.

Inoltre, la fiaba si inserisce in un panorama culturale ottocentesco che appariva incuriosito da tutto ciò che fosse contrario alla logica positiva razionale, si tratti della nevrosi, del sogno, del déjà-vu o degli spiriti; in questo senso allora il fascino della fiaba stava nel «sentimento del nuovo e del moderno insito nel misterioso, nel dimenticato, nell’arcaico, nel selvaggio, nel preistorico e in tutto ciò che appare lontano dalla “civiltà” e non conoscibile in forma rivelata e assoluta»133. Come osserva ancora Alberto Carli, la fiaba, entrata nella

letteratura, anche se per l’infanzia, «prende le parti del meraviglioso scientemente, scrivendo della magia che annulla e rompe la realtà. Ma per rompere la realtà dell’epoca moderna, sembra quasi che sia necessario al fantastico forgiarsi e svilupparsi sulla base del concreto e del reale»134; per questo allora ancora di più le fiabe di Capuana si avvicinano al Verismo, perché

proprio la realtà dei mestieri, del paesaggio, della lingua vernacolare, mescolata alla magia, alla fantasia e al misterioso, vanno incontro alle esigenze di sovvertimento della realtà e al fascino per il soprannaturale.

133A. CARLI, Prima del «Corriere dei piccoli», cit., p. 193.

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