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Da «Cenerentola» a Chi vuol fiabe, chi vuole?

IV.3. C'era una volta Luigi Capuana

IV.3.4 Da «Cenerentola» a Chi vuol fiabe, chi vuole?

A dimostrazione del grande fascino provato da Capuana per il mondo del fantastico, si annovera fra le sue attività la fondazione di una rivista designata alla pubblicazione di fiabe e altri tipi di racconto per bambini, costruita sull’idea che l’educazione dei piccoli dovesse basarsi sull’imitazione dell’esempio di vita:

in fatto di educazione, null’altro ha valore se non l’esempio di vita, non le perorazioni, non gli aforismi, non le regole, che, se così fosse, a quest’ora avremmo avuto un’umanità meno trista. L’esempio soltanto ha valore di insegnamento educativo, perché sospinge alla imitazione; quindi, tanto più appare viva la creatura d’arte e tanto più appaiono le azioni che ella compie, tanto più potenti sono le sensazioni e i sentimenti, che hanno scaturigine schietta nei sensi e nell’animo del lettore. E quando identiche sensazioni o identici sentimenti vengono ripetendosi nel lettore con forza o con insistenza, allora possono riuscire a dare a quella particolare attitudine di vita, che appunto è il risultato dell’opera educativa.112

112G. E. NUCCIO, Luigi Capuana dei giovani, in «Giornale della Domenica», 5, V, 1910, p. 2, cit. in A. CARLI, Prima

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La rivista «Cenerentola», fondata nel 1892, nacque con un titolo significativo che fa trasparire l’interesse di Capuana per le fiabe classiche della tradizione popolare millenaria e che assegna alla dolce principessa il ruolo di fata benefica, che «recherà ogni settimana, puntualmente, come mazzo di fiori freschi e fragranti, novelle, fiabe, commediole, poesie, fantasie, notizie curiose, giuochi, disegni, musica facile ma non volgare»113, accompagnata dai

suoi amici «Pulcettino, Cappuccetto rosso, il Gatto con gli stivali, il Mago, La bella dormente nel bosco, che sanno dire e fare tante graziosissime cose da gente allegra e spigliata»114. Lo

scrittore infatti acutamente comprende come «l’immaginazione sia la facoltà meglio sviluppata dell’età fanciullesca, e che solo per questa via si possa forse utilmente fare il tentativo di modificare l’indole di coloro che dovranno poi essere gli attori della futura società»115.

Da questa breve parentesi editoriale, destinata a concludersi nel 1894, viene gettata una luce diversa sul Capuana scrittore di fiabe: non più solo un appassionato di folclore e tradizione popolare, intrisa di verismo e di veicolazione della sua visione rigida del mondo, ma anche strumento per educare, divertendo, le future generazioni, senza scendere nel moralismo più pregnante ma comunque cercando di trasmettere esempi positivi e imitabili.

Nel 1894 vede la pubblicazione un’altra raccolta di fiabe, intitolata Il Raccontafiabe, in cui, riprendendo l’allegoria della fata Fantasia e del Mago Tre-pi con cui aveva chiuso la raccolta di C’era una volta… Fiabe, Capuana si trova nuovamente di fronte all’ostacolo dell’invenzione di nuove storie e trova come soluzione quella di distruggere gli oggetti che la Fata gli aveva dato, ottenendo così una polvere in grado di ispirarlo magicamente nella formulazione di nuove fiabe, alle sole parole di “C’era una volta…”

113L. CAPUANA, Editoriale, in «Cenerentola», 1, I, 1892, p. 1, cit. in A. CARLI, Prima del «Corriere dei piccoli»,

cit., p. 123.

114L. CAPUANA, Editoriale, cit., p. 2., cit. in A. CARLI, Prima del «Corriere dei piccoli», cit., p. 125.

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In questo modo, sempre allegoricamente, Capuana asserisce l’impossibilità di riutilizzare oggetti ormai usurati per generare nuovi racconti: l’unico modo è avvalersi degli strumenti già in uso però ripresi con una nuova forma, quella della polvere. In questa nuova raccolta le fiabe presentano grossomodo la medesima forma e struttura di quelle precedenti però, come hanno notato Aristodemo e De Meijer116, si fa più intensa la descrizione delle

emozioni che vivono i personaggi; l’autore ci si sofferma più a lungo, recuperando sensazioni e sfumature tipicamente romantiche, apportando caratteristiche originali che stridono con lo «stile astratto» che Lüthi nota essere peculiare della fiaba europea117. Per farsi un’idea sulle

differenze di questa raccolta analizzeremo la fiaba di Piuma d’oro.

Come avevamo già osservato per Cecina, in cui ricorre il tipo della punizione del protagonista per le sue cattive azioni, Piuma d’oro viene punita con un incantesimo per i cattivi comportamenti tenuti fin da bambina e per cui nessuno l’ha mai rimproverata. Oltre ad elementi formali quali la ripetizione della profezia della vecchia fata, i momenti di raccordo tra un episodio e l’altro e il lieto fine dopo un’affannosa ricerca della principessa da parte del reuccio, si percepisce un uso diverso della lingua e dello stile narrativo: la lingua è quella di matrice fiorentina, non ci sono coloriture siciliane né espressioni tipicamente parlate né modi di dire, ma viene ricreata quell’omogeneità linguistica che, come aveva notato Riccardo Cimaglia, non era stata raggiunta in C’era una volta… Fiabe. Al di là della trama semplice, basata ancora una volta sull’esito negativo della «prova preliminare», sul conseguente danneggiamento e sulla ricerca dell’oggetto del desiderio da parte del reuccio con il prevedibile lieto fine, troviamo espresso un argomento morale che riguarda l’importanza che ha il rimprovero da parte dei

116D. ARISTODEMO, Op. cit., pp. XIX

117 Per Lüthi infatti rientrano nello «stile astratto» l’azione rapida e lineare in totale assenza della dimensione

spazio-temporale, le ripetizioni di episodi e motti, e soprattutto l’assenza di profondità psicologica dei personaggi e di causalità, insieme ad uno stile superficiale per nulla attento ai dettagli; in Ivi, p. XVIII.

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genitori nei confronti delle cattive azioni dei figli, per far sì che diventino delle persone rispettose ed educate col prossimo.

C'era una volta un Re e una Regina che avevano una figlia bella quanto la luna e quanto il sole; tanto frugola però, che facendo il chiasso metteva sossopra tutto il palazzo reale; capricciosa e bizzosa poi quanto può essere una bambina che i genitori non sgridavano mai. Più grosse le faceva e più questi ne ridevano: - Ah, ah, che frugolina! Ah, ah, che frugolina! […] (La vecchia) a tavola, coi servitori, mangiava zitta zitta in un canto, quand'ecco quella frugolina della Reginotta che le versa la saliera e la pepaiuola nella minestra: - Sentirete che sapore! E tutti i servitori a ridere: - Ah, ah, che frugolina! Ah, ah, che frugolina!118

Dal punto di vista strutturale, in Piuma d’oro vengono spesso disseminate frasi allusive a qualcosa che sta per accadere, in qualche modo presagendolo, secondo uno stile evidentemente molto più ricercato e meno vicino al sentire popolare e allo stile orale, essendo espedienti inquadrabili soprattutto nel racconto scritto. Rientrano in questo novero di allusioni la battuta iniziale in cui il narratore prevede già quello che sarebbe successo ai genitori della bambina, «Ma un giorno piansero, e come! della loro eccessiva benevolenza»119, seguita dalla frase detta

dalla reginotta alla vecchia, dopo averle messo tanto sale e pepe nella minestra per dispetto, «Sentirete che sapore!»120, ripetuta più avanti dalla stessa vecchia quando, accolta nel suo

palazzo, le fa mangiare cibi fatti col sale e col pepe («sentirai che sapore!»)121. Inoltre, viene

ricreata un’atmosfera di mistero quando Piuma d’oro giunge in un palazzo dallo «strano odore di sale e di pepe»122, facendo ricordare al lettore l’episodio di parecchi anni prima circa il

dispetto fatto alla vecchia. Questi elementi permettono di cogliere, già solo ad una lettura superficiale, la differenza di sensazioni che questa fiaba genera nel lettore rispetto alla raccolta precedente: una lingua omogenea, una serie di rimandi intratestuali e una maggiore intensità di sensazioni, rese ad esempio con le descrizioni minuziose del paesaggio:

Che spettacolo! Città, montagne, pianure, fiumi, boschi, tutto le passava via sotto di sé, quasi lei stesse ferma e le cose fuggissero precipitosamente per l'opposta direzione. Se il vento talvolta

118LUIGI CAPUANA, Tutte le fiabe, Roma, Newton Compton editori, 1992, formato digitale Aldo Manuzio, p. 86.

119 Ibidem 120 Ibidem 121 Ivi, p. 89 122 Ibidem

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soffiava meno forte, ella scendeva, girando, poi tornava a essere sollevata e sbalzata fino alle nuvole, andando sempre avanti, sempre avanti, sorpassando nuove città, nuove montagne, nuove pianure, boschi più fitti, fiumi più larghi. Tutt'a un tratto s'accorse che la terra era sparita. Acqua, acqua, acqua, non si vedeva altro, acqua che si agitava in cavalloni spumeggianti, e poi acquai acqua ancora... Era il mare. Quando il vento la faceva scendere giù, Piuma d'oro aveva paura. Una volta gli spruzzi dei cavalloni le arrivarono proprio alla faccia, e si credette perduta. Ma ecco una folata che la fa risalire, e la spinge a riprendere la corsa precipitosa... E ancora acqua, acqua, acqua!... Poi le parve che il sole si spegnesse nel mare, e che un velo vi si stendesse sopra, mentre in alto, nel cielo buio, apparivano le stelle.123

Senza sapere il perché, probabilmente spinto da una smania irrefrenabile e fuori controllo di raccontare fiabe, il Raccontafiabe, e Capuana dietro di lui, ormai invecchiato si mette a raccontare le sue ultime storie, che confluiranno nella raccolta Chi vuol fiabe, chi vuole? e che segnano una svolta nella modalità di articolazione delle stesse, basate sempre, certamente, su quegli espedienti narrativi che il genere prevede e che tanti studiosi da Propp a Lüthi a Greimas hanno codificato, ma orientandosi anche in una direzione più moralista, che lo scrittore aveva già sperimentato nel romanzo fiabesco Re Bracalone del 1895: quel moralismo che egli aveva sempre evitato in C’era una volta… Fiabe, che aveva sottilmente insinuato nel Raccontafiabe, trova ampio spazio invece nell’ultima raccolta Chi vuol fiabe, chi vuole?, rivelandosi spesso troppo sottile o macabro per un pubblico giovane, come osserva Robuschi Romagnoli124.

Nonostante questo parere negativo che trova inadeguate per i ragazzi queste fiabe, va comunque segnalata la loro inclinazione poetica e non più l’ossequiosa imitazione delle strutture della fiaba popolare le quali via via sfumano i loro contorni per lasciare più nitidezza a momenti di descrizioni intense e poetiche, che innalzano il livello letterario della produzione fiabesca e che smentiscono il giudizio di Croce circa la sua arte di “contraffazione”.

Le fiabe dell’ultima raccolta sono diverse dalle precedenti per via soprattutto dell’intreccio che si fa molto più articolato e complesso, dei personaggi che si fanno scaltri e furbi, com’è ad esempio la comare formica dell’omonima fiaba, e della morale che si fa

123 Ivi, p.88

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esplicita, come in Comare Formica che si conclude con le parole: «e poi, bambini miei, non è bene essere eccessivamente curiosi». Le descrizioni degli stati d’animo dei personaggi sono condotte con estrema attenzione, come quelle dei paesaggi in cui il lettore si immedesima; si veda per concludere questo passo tratto da Radichetta:

Si avviò, verso il tramonto, portando il bambino addormentato nella tasca del grembiule; ed era già notte quando arrivò là dove il bosco s'infittiva di più. Procedeva tentoni, urtando spesso in un tronco d'albero, impigliandosi in una siepe, col cuore che le tremava ad ogni rumore, ad ogni grido di uccello notturno, a ogni sguisciare di animali impauriti dalla sua presenza. L'amore del figliolino le infondeva coraggio. E così, prima della mezzanotte, arrivò nella radura dove, secondo la gente, venivano le Fate a ballare e a divertirsi. In alto, fra i rami degli alberi, s'intravedeva un filo di luna. […] Ed ecco, alla mezzanotte in punto, un lumicino tra gli alberi, e poi, di qua, di là, quasi sbucassero dai tronchi, le Fate, vestite di abiti fosforescenti, coronate di fiori freschi, che si abbandonano a un ballo vorticoso, tenendosi per mano, e così agili, così leggere, che pareva non toccassero il suolo coi piedi calzati di sandali di oro.125