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Una nuova sensibilità: il Romanticismo

Dal punto di vista culturale e ideologico il Settecento si prospetta come un secolo particolarmente interessante per le conquiste ottenute negli ambiti più disparati, dall'economia alla politica, dalle istituzioni alle leggi, dalla mentalità alla letteratura, tutti orientati verso un'apertura al cambiamento, fino alla Rivoluzione.

Il Settecento è chiamato “secolo dei Lumi”, intendendo in questo senso il predominio della ragione, della logica, della razionalità, del pragmatismo, come strumenti per conoscere il mondo in tutte le sue declinazioni: non solo le strutture sociali, l'economia e la politica venivano analizzati con parametri di oggettività per individuarne ingiustizie, disparità e tutto ciò che in generale era visto come fonte di infelicità per gli uomini, ma anche la religione, la letteratura, l'arte, e quindi tutti quegli ambiti generalmente legati alla soggettività, all'inclinazione personale, alla sensibilità d'animo, venivano guardati con l'occhio della razionalità e del realismo. La religione e la superstizione poi erano concepite come delle sovrastrutture che offuscavano la realtà, che rabbonivano le persone più umili distogliendole dal comportarsi in modo ostile alle autorità secolari di nobiltà e clero con la minaccia di una punizione divina: nella società dei Lumi gli intellettuali rifiutavano categoricamente la fede in Dio e i culti,

2 Riguardo agli accenni storici si vedano i manuali CESARE SEGRE, CLELIA MARTIGNONI, Leggere il mondo:

letteratura, testi, culture, voll. 4, 5, 6, Milano, Mondadori, 2001; ALBERTO DE BERNARDI, SCIPIONE GUARRACINO,

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confidando solo nella propria ragione come aiuto per risolvere anche i problemi più intimi dell'animo. La letteratura, conformemente alla mentalità illuminista, ritraeva il mondo contemporaneo con estremo realismo, criticando il degrado dei costumi, le incoerenze e le ingiustizie della società, come si può evincere anche dalle commedie di Goldoni e da Il giorno di Parini.

Contemporaneamente al dilagare in tutta Europa della nuova mentalità razionale, figlia della Rivoluzione industriale e della emergente società proto-borghese, si manifestò una sensibilità diametralmente opposta che alla ragione sostituiva il cuore e i sentimenti, al rifiuto di Dio e della religione rispondeva con una ripresa del Cristianesimo e con una fede pura e genuina in un Dio, l'Assoluto o l'Infinito, in cui l'uomo potesse ritrovare il proprio ruolo e il fine della propria vita. All'osservazione del presente e del progresso economico, che appariva arido e fine a se stesso, si sostituiva uno sguardo al passato medievale impregnato di spiritualismo, anche laddove questo toccasse la superstizione, il mito, la leggenda, il meraviglioso e il terribile che, per quanto lontani dal reale, erano la manifestazione di un forte vitalismo, di uno stretto attaccamento alle tradizioni popolari e di un indissolubile legame tra gli uomini. Essi, condividendo questo retroterra culturale, sentivano di essere uniti da uno spirito vivo e capace di resistere nei secoli, il Volksgeist di cui parlò Hegel, e di avere un forte legame con la natura; anch'essa infatti sembrava dotata di quello stesso spirito che le permetteva di mostrarsi sia come conforto sia come nemica.

Questa è quella che si suole chiamare sensibilità romantica, originatasi già a fine Settecento nell'Europa del nord, in Inghilterra e in Germania, e diffusasi con maggiore pregnanza all'indomani della Restaurazione. Alla sensibilità romantica propriamente detta si unirono l'idea di libertà e di unità nazionale, manifestandosi in un forte attaccamento alla patria e al popolo che per la prima volta diventava sia protagonista della storia sia destinatario della

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nuova poesia a cui gli intellettuali guardavano per creare un legame spirituale tra i compatrioti. Va notato che questo nuovo approccio nei confronti della letteratura, nonché delle tradizioni popolari di età immemore, era nato in Germania, una terra che da secoli viveva in un contesto di frammentazione politica ma che evidentemente era molto sensibile alla cultura popolare, quella riguardante i miti, le leggende e naturalmente le fiabe. In un periodo di grandi sconvolgimenti politici, economici, sociali, etici ed ideologici, essa era riemersa attirando gli stati d'animo irrequieti dei poeti tedeschi e generando una forma totalmente nuova di poesia, rivolta al popolo e riguardante il popolo, oltre ad una inclinazione per gli studi folclorici ed etnografici.

Stando così le cose viene da chiedersi perché in Italia, una terra che proprio come la Germania era sempre stata divisa in tanti stati autonomi, questa sensibilità per il popolo, per la nazione e per la poesia popolare abbia faticato ad imporsi e perché, una volta attecchita, non abbia sentito la necessità di elevare a letteratura “ufficiale” e colta, i generi più popolari come il romanzo, cosa che invece si era verificata in Germania e in Inghilterra.

La risposta a questo quesito ci viene data da Giovanni Berchet che nella Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo3 del 1816, considerata non a caso il Manifesto del Romanticismo

italiano, critica la mentalità degli intellettuali italiani che hanno una concezione accademica della letteratura, fatta cioè per pochi eletti e troppo legata ai modelli classici latini e greci con cui i cosiddetti «classicisti» volevano esaltare la cultura italiana. Il discorso di Berchet vorrebbe risollevare il decadimento delle lettere, togliendole dal piedistallo su cui si trovavano e facendo loro vedere il mondo vero di un popolo da sempre escluso dalla ricezione delle lettere e ora più

3 Il titolo completo è Sul «Cacciatore feroce» e sulla «Eleonora» di Goffredo Augusto Bürger. Lettera semiseria

di Grisostomo al suo figliuolo, rintracciabile nell'edizione GIOVANNI BERCHET, Opere. Scritti critici e letterari, vol. II, a cura di Egidio Bellorini, Bari, Laterza, 1912, pp. 8-58. Tutte le citazioni che seguono sono tratte da questa

edizione dell’opera. Esiste anche la versione digitale;

http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?id=oai%3Awww.bibliotecaitaliana.it%3A2%3ANT000 1%3Asi037&mode=all&teca=BibIt

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che mai affamato di letteratura: egli voleva mostrare come fosse possibile creare opere artisticamente elevate pur rivolgendosi ad un pubblico più ampio e inesperto e pur affrontando argomenti vicini al vissuto quotidiano, comprensivo dei problemi economici e sociali, dei nuovi ideali rivoluzionari e delle tradizioni. Berchet accusava gli studiosi italiani di essere troppo pedanti nel leggere i classici e di pensare solo a celebrare le lodi dell'Italia come patria indiscussa della cultura e degli studi intono alle lettere classiche, fucina degli insegnamenti morali ed etici più nobili e alla base di tutta la cultura europea; il grande errore degli intellettuali sarebbe proprio questo eccessivo fossilizzarsi su una letteratura che certamente aveva il suo prestigio ma che non poteva essere l'unico motivo di interesse, in un'epoca in cui gli spiriti dei popoli si stavano risvegliando, scoprendo per la prima volta di appartenere ad un gruppo coeso e forte, in grado di fare grandi cose se guidati dalle persone giuste, capaci di comprenderli e di sostenerli. Si considerino a riguardo le parole dello stesso Berchet;

Alle calunnie […] non istate ad opporre altro che la dignità del silenzio […] ma de' consigli giovatevi: […] vincete l'avversità collo studio, smettete una volta la boria di reputarvi i soli europei che abbiano occhi in testa, smettete la petulanza con cui vi sputate l'un l'altro in viso e per inezie da fanciulli, unitevi l'un l'altro coi vincoli di amorosa concordia fraterna, senza della quale voi sarete nulli in tutto e per tutto. E poiché perspicacia d'intelletto non ve ne manca, solo che vogliate rifarvi delle male abitudini, lavorate, ve ne scongiuro, e lavorate da senno. Ma prima di tutto spogliatevi della stolida divozione per un solo idolo letterario. Leggete Omero, leggete Virgilio, che Dio ve ne benedica! Ma tributate e vigilie e incenso anche a tutti gli altri begli altari che i poeti in ogni tempo e in ogni luogo innalzarono alla natura. E quantunque a rischio di lasciare qualche dì nella dimenticanza e i volumi dell'antichità e i volumi de' moderni, traetevi ad esaminare da vicino voi stessi la natura, e lei imitate, lei sola davvero e niente altro. Rendetevi coevi al secolo vostro e non ai secoli seppelliti; spacciatevi dalla nebbia che oggidì invocate sulla vostra dizione; spacciatevi dagli arcani sibillini, dalle vetuste liturgie, da tutte le Veneri e da tutte le loro turpitudini, cavoli già putridi; non rifriggeteli. Fate di piacere al popolo vostro; investigate l'animo di lui; pascetelo di pensieri e non di vento. Credete voi forse che i lettori italiani non gustino altro che il sapore dell'idioma e il lusso della verbosità? Badate che leggono libri stranieri, che s'accostumano a pensare e che dalle fatuità vanno ogni dì più divezzandosi. Badate che i progressi intellettuali d'una parte di Europa finiranno col tirar dietro a sé anche il restante. E voi con tutta la vostra albagia rimarrete lì soli soli, a far voi da autori insieme e da lettori. Insomma siate uomini e no cicale; e i vostri paesani vi benediranno, e lo straniero ripiglierà modestia e parlerà di voi coll'antico rispetto.4

Le parole pronunciate da Berchet con una perentorietà tale da scuotere sicuramente, se non

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gli intellettuali più attempati, almeno quelli di nuova generazione5, hanno contribuito, insieme

ad altre testimonianze tra cui quelle di Ludovico di Breme6 e di Pietro Borsieri7, ad instillare

nell'animo dei giovani intellettuali, che si avvicinavano alla letteratura, la curiosità verso il nuovo panorama culturale di risonanza europea. Esso era guidato principalmente dall'individualismo dei sentimenti, alla base della composizione poetica, ormai slegata dalla rigidità di forme, schemi, metri e temi della poesia classica e orientata verso la libertà dell'ispirazione, del genio artistico, dell'originalità. Vitale era distinguersi dalla massa facendo primeggiare l'individuo, il singolo, con i suoi sentimenti più intimi, talmente forti da non poter essere tenuti a freno.

In questo clima la poesia si presentava ad un nuovo pubblico, quello che Berchet chiamava «popolo»8 e che designava il “ceto medio” a cui appartenevano coloro che non erano né

«ottentoti»9 né «parigini»10. Queste due categorie erano entrambe aride, fredde, insensibili alla

poesia romantica e incapaci di cogliere gli effetti travolgenti delle passioni, dei sentimenti, degli ideali ed è per questo che essa poteva rivolgersi solo al popolo, a «tutti gli altri individui leggenti

5 Alberto Mario Banti parla del fatto che il Risorgimento, e quindi il Romanticismo italiano, sia un fenomeno

generazionale, una ribellione, un fenomeno eversivo dei giovani vissuti nella prima metà del XIX secolo, non contro l'autorità della famiglia bensì contro la tirannide, l'oppressione straniera. Si veda a riguardo ALBERTO MARIO

BANTI, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell'Italia unita, Torino, Einaudi, 2000,

p. 33.

6 Il riferimento è al saggio Intorno all'ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani del 1816, rintracciabile della

seguente edizione LUDOVICO DI BREME, Polemiche: Intorno all'ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani, “Il

Giaurro” di Lord Byron, Postille al Londonio, introduzione e note di Carlo Calcaterra, Torino, Unione tipografico-

editrice torinese, 1923.

7 Il riferimento è al saggio Avventure letterarie di un giorno del 1816, rintracciabile nella seguente edizione PIETRO

BORSIERI, Avventure letterarie di un giorno e altri scritti editi ed inediti, a cura di Giorgio Alessandrini, Prefazione

di Carlo Muscetta, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1967.

8G. BERCHET, Op. cit., p. 17.

9 Riguardo all'ottentoto Berchet dice: «Avvolto perpetuamente tra 'l fumo del suo tugurio e il fetore delle sue capre,

egli non ha altri oggetti dei quali domandare alla propria memoria l'immagine, pe' quali il cuore gli batta il desiderio. Però alla inerzia della fantasia e del cuore in lui tiene dietro di necessità quella della tendenza poetica.» in Ivi, p. 15.

10 Riguardo al parigino le parole di Berchet sono le seguenti: «un parigino agiato e ingentilito da tutto il lusso di

quella gran capitale, onde perviene a tanta civilizzazione, è passato attraverso una folta immensa di oggetti [...] quindi la fantasia di lui è stracca, il cuore allentato per troppo esercizio [...] e per togliersi di dosso la noia, bisogna a lui investigare le cagioni, giovandosi della mente. Questa sua mente inquisitiva cresce di necessità in vigoria, da che l'anima a pro di lei spende anche gran parte di quelle forze che in altri destina alla fantasia ed al cuore; […] ed il parigino di cui io parlo […] diventa filosofo.» in Ivi, pp. 15-16.

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e ascoltanti, non eccettuati quelli che, avendo anche studiato ed esperimentato quant'altri, pur tuttavia ritengono attitudine alle emozioni»11.