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IV.3. C'era una volta Luigi Capuana

IV.3.1 Luigi Capuana verista

Luigi Capuana nacque nel maggio del 1839 a Mineo, in provincia di Catania, da una famiglia di possidenti terrieri; visse in un ambiente ricco di tradizioni paesane e di folclore che lo avvicinarono, fin da giovanissimo, a tutto ciò che riguardava la sua Sicilia: dalla poesia dialettale, ai racconti ascoltati davanti al focolare, oltre all’interesse per la condizione di miseria del popolo siciliano a ridosso dell'unificazione che avrebbe trovato espressione nel Verismo, portando Capuana, insieme a Verga, ad essere uno dei teorici più significativi del movimento. Egli iniziò a studiare giurisprudenza ma l'amicizia con il filologo Leonardo Vigo lo condusse sulla strada della letteratura e, una volta abbandonati gli studi, si dedicò al teatro e alla critica letteraria, per cui fu fondamentale il suo trasferimento nella vivace Firenze che gli offrì l'opportunità di incontrare personalità inserite nel contesto letterario, raffinando così le sue conoscenze che applicò al giornalismo e alla critica letteraria; la sua attenzione fu rivolta principalmente alle forme d'arte della modernità che lo invogliarono a cimentarsi di persona

72 Le informazioni biografiche sono state tratte da: ENRICO GHIDETTI, voce “Luigi Capuana” in Dizionario

biografico degli Italiani, versione online, http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-capuana_(Dizionario- Biografico); ANNA STORTI ABATE, Introduzione a Capuana, Bari, Laterza, 1989.

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nella scrittura di romanzi, racconti e, dopo l'incontro con Ferdinando Martini, anche di fiabe per bambini.

Di Luigi Capuana è importante segnalare sia l’eclettismo circa gli svariati interessi che lo attirarono, dalla letteratura alla storia, dalle scienze naturali alle pratiche occulte dello spiritismo, diffuso in quegli anni in contrapposizione al Positivismo, sia la capacità di “contraffare” prodotti letterari, sfruttando la sua grande capacità imitativa: un esempio fra tutti riguarda la scrittura di un “falso d'autore”, di un canto che imitava perfettamente la lingua degli antichi siciliani ma che era solamente frutto dell'invenzione burlesca di Capuana, cosa che peraltro compromise l'amicizia con Leonardo Vigo, che aveva preso per autentico il componimento con la conseguenza di aver messo alla berlina le sue competenze filologiche. Duratura e caratterizzata da stima reciproca fu invece l’amicizia con il conterraneo Giovanni Verga con cui Capuana condivideva la passione per le tradizioni popolari della Sicilia e l’adesione alle novità letterarie che guardavano al romanzo realistico e alla novella come generi della modernità, gli unici che potessero rappresentare in modo vero e autentico la complessità della nuova società ottocentesca che aveva bisogno di una forma d’arte in grado di rendere la verità, sia nei contenuti sia nella lingua. Come ha scupolosamente osservato Anna Storti Abate73, l’adesione di Capuana al Verismo riguardava più la ricerca di una forma inesplorata

che fosse capace di ritrarre il più fedelmente possibile la vita vissuta dai siciliani, piuttosto che la veicolazione di messaggi politici ed economici che servissero, per quanto poco, ad instillare una riflessione sulla condizione misera e degradata della Sicilia, provocata dalla cattiva gestione statale all’indomani dell’Unità nazionale. Capuana infatti apparteneva a coloro che, animati da un fervente patriottismo, guardavano agli esiti positivi che l’azione risorgimentale aveva generato; egli ignorava completamente gli squilibri economici e le tensioni sociali del

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Meridione, osservando la realtà in modo un po’ deformato nel senso che Capuana prediligeva personaggi tipo, a volte bizzarri e pittoreschi, che in qualche modo sfatassero i pregiudizi sul cliché del siciliano sanguigno. Il risultato era la descrizione della condizione gretta di un paese, non così diversa dalla situazione del resto d’Italia; diversamente Verga aveva tratteggiato i suoi personaggi in modo da far emergere realisticamente la parlata, la mentalità, le necessità materiali nel contesto precario del Meridione, rivolgendosi a quell’umanità diseredata che lottava contro il proprio destino, ottenendo così un quadro perfettamente aderente al vero. Come ha evidenziato Anna Storti Abate, tra Verga e Capuana, c’era una differenza nel modo di osservare e descrivere il popolo:

mentre il primo si calava interamente dentro l’ambiente rappresentato e sapeva riprodurlo dal punto di vista di coloro che vi erano immersi e non avevano altra esperienza del mondo che quella, Capuana invece guardava alla vita di paese dal di fuori, con gli occhi del cittadino colto, che osserva curiosamente un’esistenza tanto diversa dalla sua. Per questa ragione, mentre i personaggi di Verga erano seri, o talvolta addirittura tragici, questi di Capuana sono generalmente macchiette comiche.74

A confronto con Verga, Capuana sembra in difetto delle caratteristiche più innovative del Verismo, circa la rappresentazione di un mondo e di una mentalità osservata dal punto di vista di chi la viveva, ma se lo si paragona ai bozzettisti regionali come Matilde Serao e Renato Fucini, sulla scia di una riflessione proposta dalla Storti Abate, il merito di Capuana sta nella capacità di evitare il populismo e l’eccessivo sentimentalismo in cui era facile incappare quando si voleva innalzare il valore sociale e culturale del popolo più degradato.

A tal proposito va menzionato il romanzo considerato il manifesto del Verismo italiano, scritto nel 1879 e intitolato Giacinta, che si sarebbe inserito nel dibattito letterario e che avrebbe inaugurato uno stile compositivo tipico del Capuana, ossia quello della ricerca di una forma nuova che fosse in grado di adattarsi all’osservazione della natura, forma che rappresentava per lo scrittore la vera espressione dell’arte e a cui lavorò con grande zelo: il risultato fu il romanzo

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realistico basato sul principio dell’impersonalità, che fu rispettata al punto da far parlare Benedetto Croce in modo non proprio lusinghiero:

l’arte impersonale dovrebbe essere un’arte che non ride e non piange, che non lascia trapelare simpatie e antipatie, che non colora passionalmente e sentimentalmente le proprie rappresentazioni. Ora, un’arte siffatta non c’è mai stata e non potrà mai esserci. Innanzi agli spettacoli che lo toccano l’uomo non rimane inerte, e la rappresentazione s’impregna del suo sentimento e del suo giudizio, quali che siano. […] L’atteggiamento da naturalista, che assume il Capuana, ha, a mio parere, importanza fondamentale per intendere l’opera sua, e anche per ritrovare la fonte riposta di una certa deficienza che in quella si avverte. L’opera è, generalmente, un po’ fredda. […] La scarsa vena di sentimento, o il proposito ond’egli l’ha repressa ed essiccata, dà origine ad un difetto artistico. […] Manca la spontaneità. A me sembra che il Capuana, […] non ha potuto indovinare il tono della narrazione, - che non si ottiene mai dai fatti estrinseci ma è dato dalla reazione soggettiva, e quei fatti non avevano parlato in nessun modo al suo spirito d’artista; - onde ha colato il racconto in certe forme stereotipe, press’a poco a quel modo che i naturalisti e i medici descrivono gli oggetti e i «casi» con schemi più o meno fissi.75

Così Benedetto Croce ammette la sua non piena adesione allo stile narrativo di Capuana, ritenendo che l’eccessiva impersonalità porti ad osservare la realtà in modo troppo freddo e arido, togliendo ai personaggi il sentimento dell’artista che dovrebbe esserne l’anima, per poter arrivare al cuore del lettore. Giacinta, e poi Il marchese di Roccaverdina, sono ritenute le opere migliori di Capuana circa il suo espletamento dei valori del Verismo; tuttavia una parte della critica, e lo stesso scrittore76, ritengono che le opere migliori di Capuana siano quelle scritte per

l’infanzia in cui ebbe modo di spaziare attraverso le sue innumerevoli passioni, dal folclore, al Verismo, al fantastico che si riallaccia al suo interesse per lo spiritismo.

Oltre ai due romanzi sopra citati, Capuana scrisse numerosi racconti e saggi critici per le riviste, spaziando da quelle per adulti, il «Fanfulla», a quelle per ragazzi, come il «Giornale per i bambini», manifestando specialmente per quest’ultime uno speciale interesse che lo portò a pubblicare dal 1882 diverse raccolte di fiabe e a fondare una propria rivista per i più piccoli, non a caso intitolata «Cenerentola».

Luigi Capuana dunque dedicò tutta la sua vita alla critica letteraria e partecipò al dibattito italiano sul Naturalismo e sul Verismo, diventando così una delle personalità più interessanti

75B. CROCE, La Letteratura della Nuova Italia, vol. III, cit., pp. 100-108.

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anche nel contesto europeo. Insegnò a livello accademico, scrisse romanzi in cui raggiunse quella forma realistica votata all’impersonalità che aveva teorizzato nei suoi saggi e poi, quando quasi per caso scrisse la sua prima fiaba La Reginotta, rimase affascinato dall’universo fiabesco, e fantastico in genere. Mise così la sua fantasia e il suo stile intriso di verismo e di folclore a servizio dei più piccoli, pubblicando diverse raccolte di fiabe e di racconti e dedicandosi al giornalismo per ragazzi, cosa che lo avrebbe reso uno degli autori per l’infanzia più apprezzati non solo in Italia ma anche in Europa.