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III.2. Romanticismo e Risorgimento: l'idea di popolo in Italia

III.2.2. La rinascita del popolo in Italia

Alfio Vecchio28 ha notato come la vera letteratura romantica, nella sua accezione più

europea e in particolare tedesca, sia stata per l'Italia quella prodotta dal Verismo e dalla Scapigliatura in cui per la prima volta c'era l'esigenza sociale ed etica di cogliere e risolvere i problemi concreti della nascente società di massa: è il popolo vero, quello povero e umile dei contadini del Meridione e del proletariato e quello ricco e ambizioso della borghesia terriera e industriale a diventare protagonista non solo dei romanzi ma anche delle inchieste giornalistiche e delle indagini in campo statistico, linguistico e folclorico.

Con circa cinquant'anni di ritardo rispetto alla Germania dei fratelli Grimm, anche l'Italia si munì di raccolte di canti popolari e di fiabe, riesumate dalla viva voce della gente comune, ma con una sensibilità diversa rispetto ai colleghi d'oltralpe. Se abbiamo visto che in Germania il popolo era avvolto da un'aurea di spiritualità e nobiltà d'animo, in quanto custode del Volksgeist, la nuova idea di popolo in Italia risentiva enormemente del Positivismo, corrente che con la sua visione analitica puntava ad analizzare con metodo scientifico anche le discipline riguardanti l'uomo: nacquero proprio in questo periodo infatti la psicologia, la sociologia, l'etnografia, il folclore e la statistica, perciò era prevedibile che anche il popolo venisse visto come un oggetto da osservare e analizzare29, incanalando le raccolte di letteratura e di tradizioni

popolari in questa direzione.

Il ritardo dell'Italia nel prendere in considerazione il popolo tutto, dagli strati più umili e

28A. VECCHIO, Op. cit., p. 74.

29 Si veda a riguardo degli studi statistici il saggio di SILVANA PATRIARCA, Patriottismo, nazione e italianità nella

statistica del Risorgimento in Immagini della nazione nell'Italia del Risorgimento, a cura di Alberto Mario Banti,

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poveri a quelli più ricchi, era dovuto alla mentalità elitaria che concepiva la letteratura, per quanto accessibile ai nuovi ricchi della borghesia, un patrimonio culturale che né si poteva abbassare e svalutare, rivolgendosi ai più umili, né poteva permettersi di affrontare tematiche riguardanti gli usi, le tradizioni e la cultura narrativa degli stessi, considerate dai più delle cose di poco conto e per nulla all'altezza per guadagnarsi un posto nelle lettere. Il Romanticismo italiano, come abbiamo già avuto modo di osservare, era completamente diverso da quello tedesco, pur fondandosi su una medesima situazione geo-politica: l'unica voce fuori dal coro per l'Italia fu Niccolò Tommaseo il quale sembrava dotato di una sensibilità molto più spiccata che lo accomunava ai folcloristi tedeschi come J. G. Herder e i fratelli Grimm. Tommaseo è ricordato, tra le altre cose, per aver raccolto i Canti popolari toscani corsi illirici greci, iniziando il suo lavoro nel 1832 per poi pubblicarlo nel 1841; il suo intento era quello di dare valore al popolo e alle sue tradizioni e precisamente a quelle di contadini e pastori, immortalate nei canti che, appresi da bambini, continuavano ad intonare durante il lavoro. Pur non trattandosi di fiabe, ma di canti, l'opera di Tommaseo ci interessa per i moventi e i sentimenti che stavano alla base del suo lavoro che lo avvicinano ai prodotti nati dalla concezione naturalistica della nazione tedesca, dal momento che anche per costui il popolo racchiudeva in sé un coacervo di buoni sentimenti, fatti di semplicità, pietà, pudore, tenerezza, che generarono una poesia estremamente dolce e legata alla natura, la quale meritava di essere studiata senza pregiudizi:

nel povero tuttavia sono mirabili la semplicità, la pietà, la tenerezza, il pudore, quelle modeste virtù dei dì di lavoro che fanno tollerabile, sole, la vita. Ma per apprezzarle in altrui, conviene un poco sentire in sé la dolcezza, convien saperle scoprire nascose sotto a pregiudizi e a difetti talvolta spiacenti. […] Non è la poesia delle corti e delle scuole di umanità, che ne' canti popolari cerchiamo; è l'espressione, più o meno felice, di sentimenti naturali, o sulla natura innestati da inveterate opinioni; sentimenti, che quand'anco non fosser poetici, sarebbero degni di studio. Amiamo il popolo: e con riverenza di discepoli ammaestriamolo.30

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Un'inclinazione, quella di Tommaseo, insolita e rara in Italia dal momento che il popolo e i suoi sentimenti, se si vuole un po' idealizzati, non erano motivo di interesse, anzi abbassarsi a ciò avrebbe costituito un decadimento delle lettere.

La sensibilità italiana cominciò a cambiare all'indomani dell'Unità: quella nazione ideale che aveva animato il Risorgimento non esisteva, l'Italia versava in uno stato di estrema povertà e analfabetismo, le masse non si sentivano italiane perché non erano stati dati loro gli strumenti per esserlo e fu per questo che l’ideologia positivista portò alla fondazione di nuovi ambiti di ricerca, tra cui si annovera il folclore. Il popolo diventava così oggetto di discussione e di studio analitico, perché costituiva un problema sociale ed economico, oltre che etico, e perché si dovevano fare quegli italiani che mancavano alla neonata Italia.

Da questo presupposto prende avvio il discorso sulla fiaba ottocentesca, periodo in cui in Europa e anche in Italia diventa un genere letterario di largo utilizzo, avviandosi su due percorsi paralleli. Da un lato la fiaba diventa oggetto di studio degli intellettuali che, attraverso la stesura stenografica dei racconti che sentono pronunciare dalle narratrici del popolo, redigono ampie raccolte regionali di fiabe, destinate al pubblico accademico come testimonianza del folclore italiano; dall'altro, il fatto che la fiaba sia comunque un genere popolare dalla struttura semplice e ripetitiva, permette di sfruttarla come strumento per educare i giovani delle famiglie borghesi ai valori di rispetto per le istituzioni, amore patrio, rispetto del lavoro e contemporaneamente per togliere dall'analfabetismo le masse popolari, educandole allo stesso tempo ai valori civili della nuova classe dirigente.

Analizzando per prima cosa la fiaba appartenente al folclore italiano, si potrà far partire la riflessione dall'osservazione del panorama europeo: l'Ottocento è un secolo ricco di novità e, riguardo al folclore e agli studi sulla fiaba, numerose furono le teorie elaborate da studiosi

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europei, nella fattispecie inglesi e tedeschi31. Questo fermento inizialmente non solleticò la

curiosità degli italiani ma solo nel 1864 presero avvio lavori di traduzione delle teorie sulla fiaba32 e di raccolta delle fiabe di gran parte delle regioni italiane. Tra queste è bene ricordare

le Novelline di Santo Stefano di Angelo De Gubernatis seguite dall'importante lavoro di Vittorio Imbriani che scrisse nel 1871 la Novellaja fiorentina e nel 1877 la Novellaja milanese riportando le fiabe così come gliele avevano raccontate le narratrici, in dialetto e senza modificare alcunché; diversamente invece Gherardo Nerucci raccolse le Novelle popolari montalesi, trascrivendo le fiabe dalle testimonianze orali e rielaborandole a suo piacimento, senza però compromettere le caratteristiche del genere.