III.2. Romanticismo e Risorgimento: l'idea di popolo in Italia
III.2.1. Lo spirito del popolo tedesco e i fratelli Grimm
Il nazionalismo naturalistico della Germania ci porta inevitabilmente a parlare del folclore e della «scoperta del popolo»23, come l'ha definita Peter Burke, che ha luogo proprio durante il
Romanticismo. È in questo periodo, e particolarmente in Germania, che si comincia a guardare al passato medievale come periodo storico di libertà politica e di forte spiritualismo, ed è proprio questa propensione al passato che stimola l'interesse per l'origine del popolo tedesco, per i suoi usi e costumi e per la sua millenaria tradizione di poesie, canti, feste e riti. È J. G. Herder uno dei primi a parlare di cultura popolare e «a concepire la poesia come proprietà comune di tutta l'umanità, non come possesso privato di pochi individui colti e raffinati»24. Sarà sempre lui,
insieme ai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, a redigere le prime raccolte non solo di racconti popolari, ma anche di canti, proverbi, leggende e tutto quanto contribuisse a dare forma e corpo allo spirito del popolo tedesco. Per i poeti tedeschi il popolo era inteso nella sua complessità, dall'umile contadino al più nobile, ma era principalmente tra gli strati più umili che si celava lo spirito autentico, sincero e spontaneo del popolo tedesco, contrapposto all'eccessivo rigore e conformismo degli intellettuali influenzati dall'Illuminismo. L'interesse nei suoi confronti nasceva principalmente da ragioni estetiche e politiche: nel primo caso la poesia popolare era l'alternativa genuina, spontanea, all'eccessivo rigore dato alla ragione nella moda francese
22 A questo proposito Berchet dice: «Di qui, più che lettori appassionati, noi riesciamo critici freddi. E prima di
dare una lagrima alle sventure di Eleonora, noi metteremo sul bilancino i gradi di verisimiglianza che ha la storia della fanciulla, e non li pagheremo della nostra credenza che grano per grano», in G. BERCHET, Op. cit., p. 48.
23PETER BURKE, Cultura popolare nell'Europa moderna, Milano, Mondadori, 1980, p. 10.
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dell'Illuminismo, nonché espressione di quel primitivismo tanto cercato e amato dai poeti tedeschi per cui l'antico e le tradizioni millenarie risiedevano proprio tra il popolo. Nel secondo caso mostrarsi vicini al popolo, alle sue tradizioni, ai suoi rituali, era una scelta politica rivoluzionaria perché osteggiava la secolare struttura feudale.
Questa poesia popolare dunque assunse un valore fondamentale proprio alla luce del nazionalismo dato che, come scrisse un intellettuale finlandese «non esiste patria senza una poesia popolare. La poesia non è altro che il cristallo in cui una nazionalità può rispecchiarsi; è la sorgente che porta alla superficie ciò che di veramente originale v'è nell'anima del popolo»25.
Questa spiccata sensibilità ci porta ad affrontare, seppur in maniera cursoria, il lavoro compiuto dai fratelli Grimm che sta alla base del progetto di raccolte popolari in Italia: si tratta della raccolta di fiabe, il Kinder-und Hausmärchen, in due volumi, pubblicata in ben sette edizioni, la prima nel 1812 e la seconda nel 1819. Il fine dell'opera era recuperare dalla voce delle umili narratrici quei racconti su cui si fondava l'identità del popolo tedesco perché, disse Wilhelm Grimm, «i racconti meritano maggiore attenzione […] non soltanto per la loro forma poetica che ha un fascino particolare e che ha lasciato in ciascuno di coloro che li hanno intesi nella loro infanzia un prezioso insegnamento insieme con un dolce ricordo, ma anche perché fanno parte della nostra poesia nazionale»26.
Il loro obiettivo primario era compilare un'opera scientifica che fosse l'emanazione del patrimonio nazionale del loro paese e contemporaneamente uno strumento utile ai folcloristi, come ha osservato Giuseppe Cocchiara27, anche se essa si fondava su un errore metodologico
che portò a fondere le varianti di una stessa fiaba per restituirne la forma primitiva, senza considerare la personalità del singolo narratore. I due studiosi ritenevano che i racconti avessero
25 Ivi, p. 15.
26G. COCCHIARA, Storia del folklore in Europa, cit., p. 262.
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come autore l'anima collettiva del popolo, di ispirazione divina, e che si avvalessero di un linguaggio semplice e ingenuo che per i Grimm era il linguaggio popolare ma che in realtà erano stati loro ad inventare, plasmando così la forma del genere, modello indiscusso per tutte le fiabe successive.
La definizione di Chabod di un nazionalismo volontaristico per l'Italia assume maggior valore alla luce di quanto detto circa il nazionalismo tedesco: come ha osservato Burke l'Italia aveva già una letteratura nazionale e una lingua letteraria, per di più aveva sempre investito sulla cultura nobile delle lettere con il Rinascimento, il Classicismo e l'Illuminismo e non aveva mai mostrato interesse né per la cultura popolare fatta di canti, racconti, né per i dialetti; quando questo interessamento c'è stato in passato era limitato alla letteratura prodotta in zone periferiche d'Italia (il Veneto di Straparola e la Campania di Basile, ad esempio) o alla letteratura di intrattenimento non ufficiale.
Durante il primo Ottocento italiano, l'interesse per il popolo trovava fondamento nell'idea astratta di una “nazione delle lettere”: il popolo importava nella misura in cui rappresentava un'ideologia politica di unità e libertà, e culturale di elevazione del patrimonio del passato, nonché di produzione di opere destinate a forgiare lo spirito italiano, ma limitatamente agli intellettuali patrioti e non alle masse di gente umile; esse erano estromesse sia dal progetto unitario sia dalla letteratura romantica, e naturalmente non c'era nessun interesse per la ricchissima letteratura popolare.
È in questo senso dunque che ha ragione Chabod a parlare di nazionalismo volontaristico perché di fatto esso è proprio l'esito di un accordo sigillato dalla letteratura del passato e da quella del presente, aperta solamente a chi aveva i mezzi economici e la sensibilità per fruirne: se in Germania anche l'umile contadino si sentiva nobilitato dall'avere opere che custodivano il suo mondo letterario, messo allo stesso livello di scrittori di ben altra levatura, in Italia questo
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non fu né realizzato né pensato e quindi spiega il perché fosse necessario, all'indomani dell'Unità politica, “fare gli Italiani” che evidentemente non esistevano.