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Il caso Keating v. Superior Court

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 47-51)

2. Clausola compromissoria e arbitrato di classe

2.1 Il caso Keating v. Superior Court

La storia giurisprudenziale dell’arbitrato di classe negli Stati Uniti inizia negli anni ’80 con il caso Keating v. Superior Court (84), quando la Corte Suprema della California autorizzò un tri-bunale della California a concedere la certification di un’azione di classe proposta da un gruppo di plaintiffs, consentendo di proseguire, poi, in arbitrato la trattazione del giudizio, nelle forme di un arbitrato di classe.

Il caso nasce dall’iniziativa giudiziale promossa da due fran-chisees nei confronti del franchisor in relazione ad una contro-versia ritenuta comune ad altri circa ottocento operatori di fran-chising che costituivano la classe nell’interesse della quale gli attori dichiaravano di agire.

Nell’agire in giudizio dinanzi alla Corte della California, gli attori tentavano di aggirare la clausola compromissoria contenu-ta nel contratto di franchising, ritenendo la clausola “unenfor-ceable” in quanto inserita all’interno di un contratto per adesio-ne. La Corte d’Appello della California rigettava l’eccezione degli attori ed ordinava la prosecuzione del giudizio dinanzi al collegio arbitrale nelle forme dell’azione di classe, contestual-mente concedendo la “certification”.

La causa veniva, dunque, presentata dinanzi alla Corte Su-prema della California, laddove gli originari attori, nuovamente, chiedevano dichiararsi l’invalidità della clausola compromisso-ria ed il franchisor convenuto, nuovamente, chiedeva dichiarar-si improcedibile l’arbitrato di classe in favore dell’arbitrato in-dividuale.

La Corte Suprema della California, pur riconoscendo che i contratti di franchising costituivano dei contratti per adesione,

84 Keating v. Superior Court, 167 Cal. Rptr. 481, 483-84, 490 (Ct. App. 198o), vacated, 643 P.zd 1192. (Cal. 1982).

rigettava l’impugnazione degli attori volta a far dichiarare l’invalidità della clausola compromissoria. Tuttavia, la Corte prestava grande attenzione all’ipotesi in cui le clausole arbitrali fossero inserite in contratti per adesione al solo fine di bloccare un’azione di classe altrimenti correttamente esperibile.

Nel suo reasoning, infatti, la Suprema Corte californiana ri-levava che le clausole arbitrali apparivano frequentemente nei contratti per adesione standardizzati e che i tribunali le applica-vano dando per assunto che l’arbitrato non vanificasse le ragio-nevoli aspettative delle parti. Tuttavia, la Corte puntualizzava che una clausola compromissoria avrebbe potuto essere utilizza-ta per proteggere il soggetto predisponente il contratto da qual-siasi forma di procedimento di classe, con l’effetto di precludere la proposizione di molte azioni individuali:

“[T]he class suit “both eliminates the possibility of repetitious litigation and provides small claimants with a method of obtaining redress for claims which would otherwise be too small to warrant individual litigation.” Denial of a class action in cases where it is appropriate may have the effect of allowing an un-scrupulous wrongdoer to “retain[] the benefits of its wrongful conduct.”.

If the right to a class-wide proceeding could be auto-matically eliminated in relationships governed by ad-hesion contracts through the inclusion of a provision for arbitration, the potential for undercutting these class action principles, and for chilling the effective protection of interests common to a group, would be substantial” (85).

Conseguentemente, la Corte rilevava che la clausola com-promissoria avrebbe potuto rivelarsi “oppressive and may de-feat the expectations of the non-drafting party”. A fronte di tale rischio, due erano i possibili scenari adottabili:

(i) il primo, quello di ritenere che gli accordi di arbitrato contenuti nei contratti per adesione non potessero operare al fi-ne di precludere l’esercizio di azioni di classe altrimenti ammis-sibili (86). La Corte, tuttavia, riconosceva che un simile risultato sarebbe stato contrario alla legge ed alle politiche pubbliche;

(ii) il secondo, quello effettivamente adottato dalla Corte, per cui l’arbitrato stesso procedesse “on a class-wide basis”.

La Corte, dunque, sottolineava che la complessità procedura-le che implicava l’arbitrato di classe, compresa la “certifica-tion” della classe e gli strumenti di protezioni dei membri della classe assenti, avrebbe dovuto continuare a gravare sul tribunale che sarebbe rimasto coinvolto durante tutto il processo:

“The court would have to make initial determinations regarding certification and notice to the class, and if class-wide arbitration proceeds it may be called upon to exercise a measure of external supervision in order to safeguard the rights of absent class members to ad-equate representation and in the event of dismissal or settlement. A good deal of care, and ingenuity, would be required to avoid judicial intrusion upon the merits of the dispute, or upon the conduct of the proceedings themselves and to minimize complexity, costs, or de-lay”.

Benché tale meccanismo processuale ibrido – in parte arbi-trale, in parte giudiziale – potesse risultare eccessivamente one-roso e macchinoso, la Corte affermava laconica che il sacrificio richiesto era necessario in vista di una compiuta tutela dei diritti delle parti e di tenuta del sistema in genarle:

“[W]hat is at stake is not some abstract institutional interest but the interests of the affected parties.... If the alternative in a case of this sort is to force

hun-86 Id.: “would be to hold that arbitration agreements contained in

con-tracts of adhesion may not operate to stay properly maintainable class ac-tions”

dreds of franchisees each to litigate its cause with [the franchisor] in a separate arbitral forum, then the pro-spect of class-wide arbitration, for all its difficulties, may offer a better, more efficient, and fairer solution”. La Corte, da ultimo, rigettava le eccezioni dei convenuti vol-te a far dichiarare inammissibile la prosecuzione del giudizio arbitrale nelle forme dell’arbitrato di classe derivanti dal fatto che i membri della classe assenti si sarebbero ritrovati vincolati da una decisione resa da un collegio arbitrale senza che i mede-simi avessero acconsentito a unirsi all’arbitrato. La Corte statuiva infatti:

“The members of a class subject to class-wide arbitra-tion would all be parties to an agreement with the party against whom their claim is asserted; each of those agreements would contain substantially the same arbitration provision; and if any of the members of the class were dissatisfied with the class repre-sentative, or with the choice of arbitrator, or for any other reason would prefer to arbitrate on their own, they would be free to opt out and do so”.

Definitivamente scardinata ogni preclusione all’esercizio dell’arbitrato di classe, la Corte riservava ai convenuti una ulti-mativa salvaguardia di proseguire il giudizio di classe dinanzi alla Corte anziché dinanzi agli arbitri nelle forme dell’arbitrato di classe laddove vi fosse stato fondato timore che lo svolgi-mento in tale forma potesse pregiudicare i loro diritti o facoltà difensive. Così la Corte:

“[w]hether class-wide proceedings would prejudice the legitimate interests of the party which drafted the adhesion agreement must also be considered, and that party should be given the option of remaining in court rather than submitting to class-wide arbitration”.

La Corte Suprema degli Stati Uniti, infine, negava il certio-rari in merito richiesto dal franchisor soccombente per la

ri-forma della sentenza della Corte Suprema della California sull’arbitrato di classe e, conseguentemente, la decisione di quest’ultima diveniva legge nel proprio Stato (87).

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 47-51)