• Non ci sono risultati.

La certificazione dell’azione: il filtro di ammissibilità

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 120-125)

3. La nuova azione di classe introdotta nel Codice di procedura

3.2 La certificazione dell’azione: il filtro di ammissibilità

ammissibili-tà dell’azione di classe sulla base dei criteri già dettati dall’articolo 140-bis del Codice del consumo:

“La domanda è dichiarata inammissibile: a) quando è manifestamente infondata;

b) quando il tribunale non ravvisa omogeneità dei di-ritti individuali tutelabili ai sensi dell’articolo 840-bis;

c) quando il ricorrente versa in stato di conflitto di in-teressi nei confronti del resistente;

d) quando il ricorrente non appare in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei fatti va-lere in giudizio”

L’unico elemento differenziale rispetto all’azione di classe consumeristica consiste nella mancata reiterazione nella nuova normativa dell’obbligo di notificazione dell’atto introduttivo al Pubblico Ministero e, quindi, la sua partecipazione eventuale al-la fase preliminare di discernimento circa l’ammissibilità dell’azione.

La riproposizione anche all’interno della nuova normativa del filtro di ammissibilità appare oggi poco più che un residuato tralaticio del passato, dacché tale fase processuale, già di dubbia utilità nella normativa consumeristica (233), risulta oggi, a mag-gior ragione, sprovvista di qualsiasi funzione di tutela sostanzia-le e, sicuramente, non assolve alla funzione di tutela per cui è stata prevista dal sistema americano. Si è ricordato, infatti, che la certification of the class prevista dalla Rule 23 e, in particola-re, la verifica di adequacy ivi contemplata era strettamente con-nessa alla natura rappresentativa della class action, dovendo svolgere il ruolo di verifica che i diritti dei membri assenti sa-rebbero stati adeguatamente protetti da parte del representative party proponente, in quanto l’azione dal medesimo introdotta sarebbe stata vincolante anche nei loro confronti.

Tuttavia, oggi, l’azione di classe prevista dal codice di rito si è definitivamente liberata di qualsiasi funzione rappresentativa di diritti altrui senza alcuna possibilità che l’esercizio della me-desima possa incidere, positivamente o negativamente, nella sfera soggettiva dei membri della classe, salvo che questi non facciano espressamente richiesta di adesione. D’altro canto, an-che laddove si volesse collegare la previsione della fase di am-missibilità all’esigenza di garantire una possibilità di adesione informata in favore del membro della classe, non è chi non veda come tale garanzia è già ampiamente offerta dalla nuova norma-tiva considerato il fatto che la legge consente l’adesione del membro della classe – e l’esercizio giudiziale del diritto risarci-torio del medesimo – una volta che è stata emessa la sentenza che definisce l’azione del proponente.

Anche da tale prospettiva, dunque, non si comprende per quale ragione il legislatore abbia ritenuto di dover appesantire

l’azione di classe di una fase astrattamente destinata alla tutela dei membri della classe, benché da un lato, questi ultimi non sa-rebbero comunque in alcun modo pregiudicati nei loro diritti dall’eventuale decisione dell’azione di classe promossa dal pro-ponente; dall’altro lato, la decisione se profittare del giudicato favorevole dell’azione di classe è esclusivamente delegata ad una loro scelta volontaria che può essere perfettamente assunta in maniera “informata” all’esito del giudizio e, come tale, non merita ingerenza da parte dell’organo giurisdizionale.

A diverse conclusioni non sembra, neppure, potersi perveni-re cambiando totalmente angolo visuale e riguardando la fase di filtro di ammissibilità non in funzione protettiva dei membri della classe esterni al procedimento, bensì in un’ottica di salva-guardia degli interessi del convenuto il quale potrebbe essere esposto a significativi danni patrimoniali (fluttuazioni di merca-to) ed all’immagine per il sol fatto di essere destinatario di un’azione di classe, fosse anche temeraria, ricattatoria o di ca-rattere esemplare. Ed infatti, l’ipotetica protezione che potrebbe essere consentita dalla fase di scrutinio dell’ammissibilità della domanda è resa del tutto inefficace dall’articolo 840-ter, comma 2, che impone alla cancelleria del tribunale la pubblicazione del ricorso per l’azione di classe e del decreto di fissazione d’udienza entro 10 giorni dall’emissione di quest’ultimo; tempi a tal punto contingentati da essere addirittura anteriori al termi-ne disponibile per il ricorrente per decidere se dare corso all’azione notificando l’atto introduttivo al convenuto. In tale ottica, l’eventuale danno per l’impresa convenuta opererebbe per effetto di legge e non per causa direttamente imputabile al ricorrente che, nello spatium deliberandi fra il deposito del ri-corso e la notificazione del medesimo, potrebbe anche decidere di desistere spontaneamente dall’azione (234).

Nonostante, dunque, non sia possibile rintracciare nella fase di filtro alcuna esigenza di protezione delle parti coinvolte dal

234 Non a caso, infatti, l’articolo 140-bis del Codice del consumo pre-vede, al comma 9, che la pubblicità dell’azione di classe sia effettuata esclusivamente a seguito della decisione circa l’ammissibilità dell’azione di classe all’esito della fase di filtro.

giudizio, ovvero a questo rimaste esterne, il legislatore, ciò non di meno, ha ritenuto di dare centralità, nella valutazione di am-missibilità, al requisito polimorfo della adequacy of representa-tion, ribadendo la richiesta di svolgere una duplice espressa ve-rifica: che il proponente sia in grado di tutelare adeguatamente i diritti individuali omogenei e che il medesimo non versi “in conflitto di interessi nei confronti del resistente”. Sul primo re-quisito, si rinvia a quanto detto relativamente alla disciplina americana (235) ed a quella consumeristica (236), senza, tuttavia, potersi tacere che appare del tutto irrazionale la scelta di far di-chiarare inammissibile un’azione individuale risarcitoria perché l’attore, o il suo legale, non sono in grado di gestire adeguata-mente il giudizio introdotto: in quel caso, l’esito infelice del contenzioso ricadrebbe esclusivamente in capo al proponente per cui imputet sibi l’errata introduzione del giudizio o la mala scelta del legale, con statuizione che meriterebbe di essere di merito e non processuale, onde non consentirne la riproposizio-ne (identiche considerazioni valgono anche per i requisiti di manifesta infondatezza e non omogeneità del diritto che non dovrebbero, comunque, consentire una definizione del giudizio in rito).

L’analisi del secondo, ovvero il conflitto di interessi, offre, invece, lo spunto per rimarcare quanto fin’ora affermato circa l’individualismo della nuova azione di classe e la totale insussi-stenza di una teoria di rappresentatività ad essa sottostante.

Il primo dato da rilevare, infatti, è l’errata formulazione della norma nella parte in cui richiede la verifica dell’insussistenza del conflitto di interesse del proponente “nei confronti del resi-stente”, laddove, invece, il rapporto fra ricorrente e resistente è fisiologicamente conflittuale così come sono (e devono) essere apertamente conflittuali gli interessi delle due parti contrapposte in giudizio. È verosimile, dunque, ricondurre l’indicazione di “resistente” ad un (altro) lapsus calami del legislatore, laddove forse quest’ultimo intendeva riferirsi alla “classe”.

235 v. Cap. 1, § 3.2.

Anche così, però, la norma non risulterebbe di facile appli-cazione, considerato che il problema sottostante l’errata formu-lazione normativa è sostanziale e non meramente formale. Alla stregua della legislazione interna, infatti, il conflitto di interessi viene in rilievo fra rappresentante e rappresentato nell’ambito di un rapporto di mandato qui, invece, insussistente ed inconfigu-rabile: si è, infatti, visto che l’azione individuale risarcito-ria/restitutoria del proponente non comporta la regolazione del diritto individuale omogeneo del membro della classe né, in ogni caso, un’ingerenza nella sfera dei diritti soggettivi del me-desimo, salvo che quest’ultimo non decida di profittare del ri-sultato positivo raggiunto dal proponente; date queste premesse, non è rinvenibile in tale contesto un rapporto, neppure implici-to, di mandato o di rappresentanza che possa presentare elemen-ti di conflittualità.

Per dare una qualche applicazione alla norma in esame, dun-que, una totale rideterminazione del significato di “conflitto di interessi” rilevante ai fini della valutazione di ammissibilità dell’azione si impone. La ricostruzione preferibile pare quella che demanda al giudice una verifica che fra proponente e resi-stente non sussista un qualche accordo collusivo diretto ad orientare la sentenza in maniera favorevole a quest’ultima: ipo-tesi che, pur non determinando una lesione dei diritti soggettivi dei membri della classe potrebbe, comunque, causare l’effetto pregiudizievole, mediato ed indiretto, di dissuadere questi ulti-mi dall’agire in giudizio per la tutela dei diritti individuali oppu-re potoppu-rebbe orientaoppu-re i tribunali aditi dalle azioni risarcitorie in-dividuali ad uniformarsi ad una decisione, in realtà, frutto di un accordo collusivo. Resta, comunque, inteso che, anche ove così interpretato, tale requisito di ammissibilità dell’azione è destina-to a rimanere sostanzialmente inattuadestina-to/inattuabile, consideradestina-to che sarebbe demandato al giudice, privo di potere inquisitorio, il discernimento dell’esistenza di un accordo collusivo che nes-suna parte in causa ha, ovviamente, interesse che emerga in giudizio.

3.3 La regolazione del diritto individuale del proponente e gli

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 120-125)