• Non ci sono risultati.

4.3. La visione della Corte Europea dei Diritti dell’uomo

4.3.2. Il caso Al-Khawaja e Tahery

Il quadro europeo così delineato appare mutato dalla sentenza del 15 dicembre 2011, Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito della Grande camera, la quale ha segnato un punto di svolta nella consolidata giurisprudenza europea in materia di contraddittorio ed ha ridisegnato il diritto dell’imputato a confrontarsi con il proprio accusatore.

I giudici di Strasburgo si sono mostrati aperti al dialogo, in modo tale da rendere più flessibile la regola della prova “sola o determinante”, hanno chiarito il significato di tale espressione, ed hanno in parte riformato la condanna contro il Regno Unito, pronunciata il 20 gennaio 2009 dalla sezione IV della Corte di Strasburgo (nel caso Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito) per violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lettera d) Conv. Eur. Dir. Uomo, perché i giudici nazionali avevano fondato la condanna dei due ricorrenti solo o in misura determinante sulle dichiarazioni di testimoni assenti in dibattimento.

Quindi in entrambi i casi le condanne si fondavano su dichiarazioni assunte in carenza di dialetticità, per tale motivo, gli accusati avevano presentato ricorso alla Corte europea, la quale aveva

462Cfr. ivi, pag. 535.

166

condannato (gennaio 2009) il Regno Unito sulla base della consolidata giurisprudenza del tempo.

Nell’aprile del 2009 lo stato inglese però chiede che la decisone della camera sui casi Al-Khawaja e Tahery vengano riesaminati dalla Grande camera asserendo come motivazioni la dubbia precisione e assolutezza del test della prova “sola e determinante”, locuzione che nei fatti appariva sfuggente ed inoltre secondo il Governo britannico tale regola non avrebbe senso nei sistemi di common low, perché non terrebbe conto delle garanzie procedurali che l’ordinamento in questione prevede per controbilanciare l’uso del “sentito dire”463.

Prima di esaminare la risposta data dalla grande camera alla questione appare necessario descrivere in sintesi i due casi congiuntamente affrontati da essa.

La sentenza emessa il 15 dicembre 2011 dalla Grande Camera, come già detto, riunisce due ricorsi decisi dalle sezioni della Corte europea: nel primo l’azione era promossa da Al-Khawaja contro la Gran Bretagna; nel secondo l’azione era promossa da Ali-Tahery contro l’Irlanda del Nord.

Nel caso Al-Khawaja il ricorrente era un medico accusato di violenza sessuale su due pazienti dopo averle ipnotizzate. La prima donna dopo aver raccontato a due amici e alla polizia la dinamica dell’accaduto, si suicida. Nel corso del dibattimento venivano sentiti i due testimoni de relato (i confidenti della vittima deceduta) e letti i verbali delle sommarie informazioni che la donna aveva rilasciato alla polizia giudiziaria.

Nel prosieguo del processo veniva esaminata la seconda vittima e altre due donne, anch’esse pazienti dell’imputato, le quali narravano

463 F. Zacchè, rimodulazione della giurisprudenza europea sui testimoni assenti, in

www.dirittopenalecontemporaneo.it pag. 2. A. Balsamo, La corte di Strasburgo e i testimoni assenti: gli sviluppi del “nuovo” processo avviato dalla sentenza Al- Khawaja, in Cass. Pen. , 2013, pag. 2837. Cfr. F. Zacchè, op. cit, pag. 216.

167

che nel corso delle visite mediche il dott. Al-Khawaja aveva fatto loro delle proposte sessuali. Venne altresì appurato che le donne in questione non si conoscevano tra loro. Terminata l’istruttoria il giudice invitava la giuria a valutare con le opportune cautele la responsabilità dell’accusato in relazione alla prima paziente dove le accuse erano fondate da dichiarazioni rese dalla vittima medesima nella fase delle indagini preliminari quindi in assenza di contradditorio e da dichiarazioni de relato.

Al termine del processo Al-Khawaja veniva condannato dalla giuria per violenza sessuale con riferimento ad entrambi i capi di imputazione.

Diverso il caso Tahery, il ricorrente era accusato di aver accoltellato alle spalle un uomo, nel corso di una lite in presenza di più persone.

Sul luogo del fatto la persona offesa e gli altri testimoni dichiararono di non aver visto l’autore del fatto. Due giorni più tardi, durante le indagini, uno dei presenti all’accaduto aveva cambiato versione dichiarando alla polizia di riconoscere nel ricorrente il responsabile dell’aggressione.

Nel corso del dibattimento la vittima riferiva di non aver visto chi l’avesse colpita alle spalle. Il pubblico ministero chiedeva l’ammissione delle dichiarazioni del testimone che aveva per primo accusato Tahery, il quale si rifiutava di comparire in dibattimento per paura, cagionata da intimidazioni ricevute da ignoti.

Il giudice ammetteva le dichiarazioni, invitando la giuria, anche in questo caso, a valutare con cautela le dichiarazioni del teste assente raccolte durante le indagini in assenza di contraddittorio con la difesa.

168

Al termine del giudizio venne disposta sentenza di condanna per il signor Tahery464.

In risposta agli altri motivi del ricorso esposti dal Regno Unito sopra richiamati la Grande Camera ha ribadito la regola generale secondo la quale serve una giustificazione seria perché il testimone non venga sentito in udienza pubblica. E’ onere delle autorità nazionali adottare tutte le misure idonee ad assicurare la presenza del testimone al processo, accertando le ragioni di una sua eventuale assenza per non violare l’art. 6, co. 1, C.e.d.u.

In caso di morte, l’unico modo per assicurare al giudizio dichiarazioni testimoniali è la loro lettura.

Se la fonte di prova venisse intimorita, la questione potrebbe presentare diverse ipotesi: la paura potrebbe essere provocata da minacce o da altre azioni perpetrate dall’accusato anche per interposta persona; oppure potrebbe essere determinata da una paura generale derivante dalle conseguenze dovute dalla deposizione nel processo.

Secondo la grande Camera nella prima ipotesi è sempre legittima la lettura delle dichiarazioni assunte senza contraddittorio, perché non si può permettere all’imputato (o chi agisce per suo conto o con la sua approvazione) di trarre profitto da azioni incompatibili con i diritti della vittima e dei testimoni; chi adotta tali comportamenti rinuncia al proprio diritto d’interrogare il testimone ex art. 6, co.3, lett. d) C. e.d.u.

Se viceversa la paura deriva dalla notorietà dell’imputato, non è sufficiente un timore soggettivo del teste. Prima di disporre la lettura in questa circostanza, le corti nazionali devono condurre un’indagine

464 Cfr. F. Zacchè, op. cit, pag. 215. Negli stessi termini, Cfr. R. Casiraghi, op.cit, pag.

215. C. Valentini, Contraddittorio, immediatezza, oralità, in AA. VV., I principi europei del processo penale. A cura di A. Gaito, Giuridica, 2016, pag.469.

169

accurata per accertare se le preoccupazioni abbiano un fondato motivo oggettivo465.

La Corte e.d.u. prosegue affermando che il principio della prova “sola o determinante” non risulta essere impreciso: “sola” significa esclusiva, “ determinante” deve essere inteso invece in senso stretto come relativo ad una prova la cui importanza è tale da comportare la soluzione del caso. Se la deposizione di un teste assente è avvalorata da altre prove, il suo carattere determinante dipenderà dalla forza probatoria delle altre prove: più queste sono rilevanti, meno la deposizione del testimone assente sarà suscettibile di essere considerata determinante.

A questo punto, la Corte ha precisato che la regola della prova sola o determinante non va interpretata in maniera assoluta. La giurisprudenza sull’articolo 6, co. 1, C.e.d.u. insegna che, quando si prende in considerazione l’equità complessiva del procedimento, devono tenersi in considerazione le garanzie legali che sono state applicate, l’ampiezza delle possibilità procedurali offerte alla difesa per compensare gli ostacoli con i quali essa si deve confrontare e la materia in cui il giudice ha condotto il procedimento.

Quindi nel caso in cui una condanna si fondi, in tutto o in parte, sulle dichiarazioni di un teste assente, andrebbe esclusa comunque una violazione dell’equità processuale, qualora esistessero forti garanzie procedurali idonee a controbilanciare la prova solo o determinante466.

In base a tali principi di carattere generale la Corte specifica le decisioni sui casi concreti sopra riportati: nel caso Al-Khawaja l’assenza al dibattimento della teste/persona offesa era derivata dal suo imprevedibile decesso, una causa oggettiva quindi; le dichiarazioni lette davanti alla giuria erano determinanti ai fini della condanna, ma le prove

465 Cfr. F. Zacchè, op. cit. pag. 3 e ss. 466 F. Zacchè, op. cit, pag. 216 e ss.

170

così acquisite erano bilanciate da solide garanzie procedurali previste dall’ordinamento nazionale (le dichiarazioni rilasciate dalla vittima erano state documentate dalla polizia secondo i crismi legali) e l’attendibilità delle dichiarazioni era avvalorata da altri fattori presenti nel caso di specie ( le due testimonianze de relato che confermavano quanto affermato dalla vittima senza che tra le donne ci fosse alcun legame).

Per tali motivi, secondo la Grande Camera, era interesse della giustizia ammettere le dichiarazioni della vittima deceduta, in aggiunta i giudici affermarono che negli episodi di violenza sessuale, in cui sono presenti solo la persona offesa e l’autore del reato è difficile raggiungere prove maggiormente convincenti, soprattutto quando la credibilità di ciascun testimone sia valutata dalla cross-examination.

Per tali motivazioni, nel caso di specie la Corte, giunge a ritenere esclusa la violazione dell’articolo 6, co. 1 e 3, let. d) C.e.d.u.

Per quanto concerne il caso Tahery secondo la Corte, l’indagine svolta dal giudice per accertare i timori lamentati dal testimone era stata appropriata; per tale motivo la scelta di disporre la lettura delle dichiarazioni raccolte senza contraddittorio, nonostante fosse determinante per la condanna, era giustificata; secondo la corte però l’impiego delle dichiarazioni così acquisite, non era stato controbilanciato da sufficienti garanzie.

Secondo i giudici di Strasburgo, il ricorrente non era stato messo nelle condizioni di vagliare la veridicità e la credibilità delle dichiarazioni del testimone assente, attraverso l’esame incrociato, nonostante questi fosse l’unica persona disposta o in grado di dire cosa avesse visto. Ancora possiamo dire che la difesa non aveva potuto citare nessun altro testimone per contrastare le dichiarazioni lette, perché nessuno era in grado di riferire quanto accaduto; anche la vittima nel dibattimento aveva riferito di non sapere chi fosse il suo aggressore e la

171

sua dichiarazioni coincideva con quella del testimone assente solo in alcuni punti e in modo indiretto467.

La Grande Camera ha concluso sostenendo che il carattere determinante della testimonianza e l’assenza degli elementi a sostegno della stessa non abbiano consentito ai giudici di formulare un corretto ed equo giudizio sull’affidabilità della testimonianza medesima per tali motivazioni la Corte ravvisa nel caso di specie la violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. d) C.e.d.u468.

Riassumendo con tale intervento la Grande Camera ritiene che una condanna fondata in maniera esclusiva e determinante sulle dichiarazioni precedentemente rese da un testimone che l’imputato non ha mai avuto modo di esaminare, non comporta inevitabilmente l’iniquità del processo. Anche in tali casi si deve procedere ad una valutazione dell’intero procedimento, articolato in tre passaggi successivi, che prendono il nome da tale pronuncia di “Al-Khawja test”: 1. In prima battuta si deve verificare che vi sia stata una valida ragione (good reason) per la mancata comparsa del teste nel giudizio e quindi per il recupero delle sue precedenti dichiarazioni; tale ipotesi si identifica con l’impossibilità assoluta dovuta a circostanze sopravvenute dell’esame dibattimentale.

2. In seconda battuta si deve verificare se la pronuncia di condanna sia fondata unicamente o in misura determinante sulle dichiarazioni pregresse mai sottoposte a contraddittorio da parte dell’imputato.

3. Infine come ultimo step si deve vedere se nel procedimento realizzato in sede nazionale vi siano fattori di bilanciamento idonei a compensare il danno procurato alla vittima per causa dell’ammissione di dichiarazioni formate unilateralmente. Ci

467 F. Zacchè, op. cit, pag.217. 468Cfr. C. Valentini, op. cit, pag. 471.

172

dovranno quindi essere solide garanzie procedurali che permettano di formulare un corretto giudizio di attendibilità della prova formata in assenza del contraddittorio.

Appare evidente che le maglie del controllo si sono allargate: l’utilizzo di dichiarazioni raccolte al di fuori del contraddittorio, determinanti per la condanna, era all’inizio considerato iniquo secondo l’orientamento originario, adesso invece, dopo tale pronuncia è, entro certi limiti, tollerabile469.