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4.2. Le ipotesi di impossibilità di rinnovazione degli atti d

4.2.1. Morte, infermità, irreperibilità del dichiarante

In base a quanto appena detto possiamo affermare che il collegamento tra l’art. 195 c.p.p. comma 3 e l’art. 512 c.p.p.377 porta ad

individuare nel decesso, nell’infermità, e nell’irreperibilità del testimone (più in generale della fonte di prova), i casi tassativamente previsti di sopravvenuta irripetibilità, i quali consentono la lettura di dichiarazioni precedentemente rese.

L’ipotesi della morte378 è quella che presenta minori difficoltà

perché la mera constatazione dell’evento integra il presupposto della lettura a meno che questa fosse prevedibile.

L’art. 512 c.p.p. è applicabile anche nel caso di morte del dichiarante dovuta a suicidio379 perché tale evento non può essere equiparato alla volontaria sottrazione all’esame prevista dall’art. 526 comma 1 bis c.p.p. che presuppone la potenziale attuabilità dell’audizione.

Problemi interpretativi si sono posti con riferimento ai casi di morte presunta380 art. 48 c.c. e di assenza art. 58 c.c., anche se la questione può essere risolta mediante un’interpretazione estensiva dei concetti di morte ed irripetibilità. La dichiarazione di morte presunta dal

377 C. cost., ord. 19 gennaio 1995, n. 20, in Giur. Cost., 1995, pag. 233 in tale pronuncia

la Corte ha sottolineato la necessità di una lettura coordinata tra gli art. 512 e 195 c.p.p. e ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 512 e 514 c.p.p. sollevata con riferimento agli artt. 3 e 112 Cost.

378 Nel concetto di morte si ricomprende tanto quella biologica, quanto quella celebrale

e il caso di morte presunta.

379 Sul punto v. Cass. Pen., Sez. I, 22 novembre 2002, n. 2596.

380 La morte è presunta nel caso in cui una persona viene ritenuta deceduta

dall'ordinamento, attraverso una pronuncia del tribunale, la quale avviene nei casi in cui questa si sia allontanata dal luogo del suo ultimo domicilio o dall'ultima residenza e non abbia fatto avere più sue notizie per un periodo di tempo determinato indicato in 10 anni.

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punto di vista giuridico e quindi anche agli effetti del processo penale, determina una situazione analoga a quella del decesso naturale.

L’assenza presuppone che una persona non sia più comparsa nel luogo dell’ultimo domicilio o dell’ultima residenza e non se ne abbiano più notizie da almeno 2 anni (art. 48 c.c.).

In questi casi è ammissibile la produzione in dibattimento ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p. della sentenza del giudice civile che abbia dichiarato la morte presunta o l’assenza per permettere il meccanismo previsto dall’art. 512 c.p.p.

In assenza di un provvedimento in sede civile, la mera pendenza di un procedimento volto alla dichiarazione di assenza o di morte presunta non sarà sufficiente e sarà necessario fornire la prova dell’irreperibilità del teste in ambito penale381.

Più problematica appare la soluzione nel caso di infermità del dichiarante. E’ evidente come non qualsiasi tipo di infermità sia tale da poter impedire la successiva esperibilità dell’esame; ad esempio nel caso di difficoltà di deambulazione del testimone che configura come causa assoluta di impossibilità a comparire per legittimo impedimento, si consente al giudice di disporre l’esame nel luogo in cui il teste si trova

ex art. 502 c.p.p.

Quindi l’infermità non deve determinare una mera difficoltà ad assumere l’atto in dibattimento per attivare il meccanismo della lettura

ex art. 512 c.p.p., ma deve presentarsi come un’impossibilità assoluta di

ripetizione.

L’ipotesi di morte celebrale è equiparabile tanto alla morte biologica quanto all’infermità impeditiva dell’escussione del teste, in tutti gli altri casi, spetterà al giudice del dibattimento valutare l’ipotesi in cui ci si trovi davanti ad una patologia che impedisca di assumere la prova in giudizio. Per tale motivo, collegata al tema dell’infermità,

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come causa di irripetibilità delle dichiarazioni, troviamo l’art. 196 c.p.p.382.

La norma in questione attiene alla capacità a testimoniare e al 2° comma prevede che il giudice d’ufficio possa ordinare opportuni accertamenti con mezzi consentiti dalla legge, qualora si ponga la necessità di valutare le dichiarazioni del testimone per verificarne l’idoneità fisica o mentale.

Al 3° comma la norma precisa che i risultati degli accertamenti disposti prima dell’esame testimoniale, non precludono l’assunzione della testimonianza383.

Dalla ricostruzione di tale norma è possibile affermare che l’inidoneità fisica384 o mentale del teste fornisce al giudice uno

strumento indispensabile per valutare le dichiarazioni, ma non impedisce l’assunzione stessa della testimonianza385.

382 T. Cavallaro, L’applicabilità dell’art. 512 c.p.p. al caso in cui la salute psicologica

del teste minorenne sia a rischio, in Cass. Pen., 2002, pag.1065 e ss.

383 A. Perduca, commento all’art. 196 c.p.p., in AA. VV., commento al nuovo codice

di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, volume II, Utet, Torino 1990, pag. 444.

384 Per quanto concerne i casi di infermità fisica, l’art. 502 c.p.p. distingue nettamente

i casi di impossibilità di deporre dalle ipotesi di mera difficoltà. La norma appena richiamata permette l’esame a domicilio o comunque al di fuori dell’aula di udienza; da tale previsione si ricava quindi che l’inamovibilità determinata dall’infermità non è sufficiente per far ritenere impossibile l’esame e attivare il relativo meccanismo delle letture.

E’ quindi lasciata all’insindacabile decisione del giudice di merito la valutazione nei singoli casi, della qualità e del grado della patologia, restando fermo comunque l’obbligo di dare sul punto adeguata motivazione.

385 Nei medesimi termini Cfr. C. Cesari, op. cit, pag. 135 la quale afferma che dal

combinato disposto dell’art. 196 comma 3 e 512 c.p.p. appare chiara l’intenzione del legislatore di consentire l’esame dibattimentale del testimone nel maggior numero di casi, anche davanti ad ipotesi di infermità fisica o psichica che lo abbiano colpito; “l’idoneità a deporre incide sulla credibilità della deposizione, non sulla sua assunzione, perché l’incapacità naturale – non importa se momentanea o permanente – non pregiudica la capacità giuridica di assumere l’ufficio testimoniale.

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Sorge allora un interrogativo circa la possibilità di leggere l’art. 196 c.p.p. nei termini di prevedere che l’infermità del teste, anche se inabilitante non precluda mai la testimonianza; in base a tale indirizzo la norma potrebbe essere letta come divieto di escludere la prova orale sulla base della ritenuta inidoneità del soggetto a sostenerla.

Per rispondere all’interrogativo appare chiaro e doveroso distinguere due concetti molto diversi tra loro: l’idoneità a testimoniare, la quale si riferisce alla capacità di ricordare e percepire i fatti386 e la possibilità di sottoporre il teste a testimonianza, profilo che attiene alla capacità del soggetto di stare in udienza, di comprendere le domande e dare risposte.

Fatta questa premessa allora è evidente che l’art. 196 c.p.p. prefiguri una soluzione solo per quanto concerne l’idoneità a testimoniare; la norma infatti prevede che l’infermità, che comporta l’inidoneità del teste a rendere dichiarazioni, non impedisce l’assunzione dibattimentale delle stesse, ma offre al giudice, un elemento di valutazione della credibilità del testimone e quindi dell’attendibilità del relativo contributo probatorio.

Diversamente la norma in esame non si estende a ricomprendere i casi in cui l’infermità del dichiarante sia tale da rendere impossibile l’esame dibattimentale. In questa circostanza non si pongono problemi sull’attendibilità o meno delle dichiarazioni eventualmente rilasciate dal soggetto, ma sulla formazione della prova, perché il teste versa nella condizione di non poter deporre in giudizio.

386 Cass., Sez. I, 5 marzo 1997, n. 1362, Taliento, in Cass. Pen., 2008, pag. 2423, dove

si prevede: “la necessità di determinarsi liberamente e coscientemente, ma anche quella di discernimento critico del contenuto delle domande al fine di adeguarvi coerenti risposte, di capacità di valutazione delle domande di natura suggestiva, di sufficiente capacità mnemonica in ordine ai fatti specifici oggetto della deposizione, di piena coscienza dell'impegno di riferire con verità e completezza i fatti a sua conoscenza”.

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In questa ultima circostanza l’infermità è sopravvenuta in maniera imprevedibile e il giudice del dibattimento ha come unica soluzione, per non perdere materiale probatorio, quella di concedere lettura delle dichiarazioni precedentemente rilasciate ex art. 512 c.p.p.387.

Importante è stato l’intervento della Corte di Cassazione, secondo la quale il “concetto di impossibilità di ripetizione degli atti, ex art. 512 c.p.p. con conseguente loro inserimento tramite semplice lettura tra le prove utilizzabili, non è ristretto alla non praticabilità materiale di reiterazione, la quale si verifica in caso di morte o di irreperibilità accertata del teste, ma è estensibile a tutte le ipotesi in cui una dichiarazione non può essere utilmente assunta per le peculiari condizioni di salute del soggetto che lo rendono non più escutibile”. Sulla base di questo principio, la Corte ha ritenuto che “uno stato morboso, sia pure avente origine non organica, consistente in una situazione di grave stress a seguito di violenze sessuali subite, renda non possibile l’esame diretto dibattimentale del teste per i danni irreversibili che ne potrebbero derivare388”.

La pronuncia appena richiamata rappresenta l’esito del ricorso in Cassazione presentato da alcuni imputati, verso la sentenza di condanna emessa in sede di appello, a conclusione di un processo originato da dichiarazioni rilasciate da un soggetto minorenne, solo in parte raccolte in sede di incidente probatorio, in relazione ad abusi sessuali subiti dal dichiarante in questione sia all’interno della famiglia naturale che in ambiti esterni.

I giudici di merito di primo e secondo grado hanno ritenuto nel caso di specie, di non procedere all’escussione dibattimentale della persona offesa, a causa del suo precario stato psicologico - il quale

387 Cfr. T. Cavallaro, op. cit, pag. 1066.

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sarebbe potuto essere irrimediabilmente compromesso dalla reiterazione della deposizione in sede dibattimentale - e di attivare il meccanismo delle letture dei verbali delle dichiarazioni precedentemente rese ex art. 512 c.p.p.

Così facendo i giudici hanno rilevato che lo stato di grave stress psicologico del minore - imprevedibile perché causato dalle pressioni esercitate dalla madre e dalle altre persone - avrebbe potuto comportare un danno irreparabile per la salute del minore stesso, se questo fosse stato chiamato, attraverso l’esame diretto, a rievocare in dibattimento le violenze subite.

I ricorrenti tra i motivi del ricorso lamentavano l’irritualità della lettura operata in dibattimento, rilevando l’insussistenza del presupposto legittimante perché lo stato morboso in cui versava la vittima non poteva intendersi quale causa di irripetibilità delle dichiarazioni.

Con tale pronuncia la Corte di Cassazione conferma la scelta operata dai giudici di primo e secondo grado, e sostiene l’ampia interpretazione dell’art. 512 c.p.p.389.

389 In senso critico Cfr. T. Cavallaro, op. cit, pag. 1067 la quale afferma che “solo gli

stati di infermità fisica o psichica, che si traducono nell’inabilità del teste a deporre, intesa quale incapacità di deporre nel processo, integrando una sicura causa di impossibilità di ripetizione dell’atto, possono legittimare il recupero, ex art. 512 c.p.p.”. critica anche Cfr. C. Cesari, op. cit, pag. 163, la quale esclude che gli stati emotivi possano incidere sulla leggibilità ex. art. 512 c.p.p. Ancora su tale argomento Cfr. P. Ferrua, op. cit. pag. 179, il quale sostiene che “la scelta, forse giustificata nel caso di specie, è discutibile in linea di principio perché tende a convertire l’accertamento della oggettiva impossibilità in una valutazione di opportunità , fondata sulle ipotetiche conseguenze negative dell’esame orale; E’ difficile sostenere che lo stato di stress possa considerarsi una patologia tale da rendere il soggetto inabile a deporre”. E’ importante tenere distinta l’impossibilità, frutto di un’osservazione fenomenica dall’inopportunità che richiede un bilanciamento tra opposte esigenze. Sicuramente per il minore e più in generale per soggetti di personalità fragile, testimoniare al processo su temi che attengono fatti legati alla sfera intima è sicuramente un’esperienza difficile e pesante; ma la soluzione secondo l’autore non andrebbe ricercata in un’arbitraria estensione del concetto di infermità mentale come

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Un caso problematico che ha fatto sorgere problemi interpretativi riguarda l’amnesia totale del testimone.

Dopo la modifica dell’art. 111 Cost. la Corte ha confermato l’indirizzo elaborato già in fase precedente390 e cioè che l’amnesia totale

dovuta ad infermità sopravvenuta integra una situazione di impossibilità di natura oggettiva che impedisce la raccolta della prova nel contraddittorio tra le parti, in modo tale che sia legittima la lettura ai sensi dell’art. 512 c.p.p. delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone.

A conferma di tale tesi, la legge n. 63/2001 sul giusto processo391

ha riscritto solo il comma 4 dell’art. 195 c.p.p. lasciando inalterati i commi precedenti tra cui il comma 3, il quale autorizza la testimonianza

de relato dell’ufficiale o agente di polizia giudiziaria quando “l’esame

del teste risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità.”

fonte di impossibilità oggettiva, che porterebbe allo svuotamento della regola sul contraddittorio. Il rimedio dovrebbe essere piuttosto preventivo, da realizzare con l’assunzione anticipata della prova in sede di incidente, con la vigilanza del presidente tenuto a garantire “che l’esame del testimone sia tenuto senza ledere il rispetto della persona”. Quindi l’integrità psicofisica del teste va salvaguardata senza rinunciare al contraddittorio, ma adattandone l’esercizio alle esigenze del caso.

390 C. Cost., 19 gennaio 1995, n. 20 dove la Corte, argomentando sul combinato

disposto dell’art. 512 c.p.p. e 195 co. 3 riconduce l’amnesia alle ipotesi di sopravvenuta infermità che giustificano la lettura ex. art. 512 c.p.p.; la Corte ha ritenuto che ai fini della legittimità della lettura in dibattimento degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare, l’art. 512 c.p.p. richiede la sola condizione dell’impossibilità di ripetizione degli stessi, per fatti o circostanze imprevedibili, fra i quali nulla autorizza ad escludere un’infermità del teste (da verificarsi sulla base di accertamenti che spetta al giudice del dibattimento valutare) determinante un’assoluta amnesia sui fatti di causa. Nei medesimi termini Cfr. C. Cesari, op. cit, pag.163 la quale afferma che se la dispersione dei ricordi deriva da cause patologiche, e vengono manifestate nella fase delle indagini preliminari, si integrano i presupposti per l’incidente probatorio, se invece si verificano in una fase successiva alle indagini si consente la lettura.

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Dobbiamo precisare che in tale ipotesi la perdita della memoria deriva da causa patologica e si diversifica dal caso della semplice dimenticanza.

L’art. 512 c.p.p. come già detto, fa riferimento a cause di irripetibilità che siano sopravvenute ed irripetibili, “fattori contingenti, che esulino dall’ordinario e precludano del tutto il rinnovo della prova”. “Il fatto che gli stati emotivi siano irriproducibili e la memoria umana sia labile è un dato certo e prevedibile e non per questo è consentita l’assunzione anticipata della prova in sede di indagine o il divieto di esperire la prova testimoniale. L’ipotesi della dimenticanza è espressamente contemplata dall’art. 500 comma 2 bis c.p.p., e apre la strada alle contestazioni in sede di esame, ma non alla lettura integrale dei verbali proveniente dalle indagini preliminari392”.

Un’altra ipotesi normativa che ha riportato maggiori controversie interpretative è data dall’irreperibilità del testimone, la quale deve essere ricostruita in via interpretativa393, perché pur menzionata dall’art. 195 al comma 3 c.p.p. in maniera esplicita, manca qualunque tipo di definizione.

Tale concetto si traduce quindi nell’impossibilità di rintracciare il testimone in modo da ottenerne o la comparizione o in alternativa l’accompagnamento coatto in dibattimento.

Così delineata l’area dell’irreperibilità comprende due ipotesi:  il caso in cui non sia possibile procedere alla notificazione della citazione a comparire in giudizio nei modi indicati dalla legge;

392 Cosi C. Cesari, op. cit, pag. 162.

393 Al contrario di quanto avviene per l’imputato per il quale l’art. 159 c.p.p. fornisce

i dati in presenza dei quali si può parlare di irreperibilità, ossia citazione non andata a buon fine nonostante le accurate ricerche. Per il teste manca una procedura di ricerca e si ritiene debba applicarsi quella prevista per l’imputato ex art. 159 c.p.p.

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 il caso in cui il testimone non compaia, nonostante la notificazione sia stata regolarmente effettuata, e non venga materialmente reperito per procedere ad accompagnamento coattivo ex art. 133 c.p.p.394.

Prima della costituzionalizzazione dei principi sul giusto processo, l’irreperibilità del testimone era considerata riconducibile all’art. 512 c.p.p. non solo perché ciò è esplicitamente previsto dall’art. 195 comma 3 c.p.p., ma anche perché l’imprevedibile impossibilità di reperire il teste rende oggettivamente inattuabile il suo esame.

La suprema Corte395 in un indirizzo risalente aveva affermato

che “la sopravvenuta impossibilità di rintracciare il testimone – ricollegabile a fatti o circostanze imprevedibili, consente sul piano effettuale di dare lettura nel dibattimento delle dichiarazioni da questi rese alla polizia giudiziaria, al pubblico ministero o al giudice dell’udienza preliminare – non deve essere assoluta e può liberamente essere apprezzata dal giudice di merito, il quale ha solo l’obbligo di motivare le sue decisioni396” .

394 In tali termini Cfr. L. Suraci, op. cit, pag. 171 e Cfr. C. Cesari, op. cit, pag. 140.

Ancora Cfr. M. Panzavolta, le letture di atti irripetibili al bivio tra impossibilità oggettiva e libera scelta, in Cass., pen., 2003, pag. 3995 il quale parla di “testimone irreperibile in senso stretto nel caso in cui la citazione non sia andata a buon fine e teste irreperibile in senso lato, per il caso in cui il testimone sia regolarmente citato ma non comparso”.

395 Cass. Pen., Sez. II, 15 maggio 1996, n. 5495

396 “Seguendo tale principio la Suprema Corte ha ritenuto legittimo dare lettura in

dibattimento delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da un testimone, il quale sulla base delle informazioni fornite dalla polizia giudiziaria, risultava irreperibile, ed ha ritenuto corretta la motivazione circa la non necessità di ulteriori accertamenti al riguardo, perché il concetto di irripetibilità riferibile al testimone non corrisponde a quello previsto per l’imputato”. In tali termini Cfr. Cass. Pen., Sez. II, 15 maggio 1996, n. 5495. Contario Cfr. C. Casari, op. cit, pag. 142, secondo la quale la mera difficoltà di trovare un testimone è insufficiente per integrare il meccanismo della lettura. Cfr. L. Suraci, op. cit, pag. 142. Di parere analogo Cass. Pen., Sez. VI 20 settembre 1993, Capodicasa, nella quale si precisa che “la lettura degli atti assunti nel corso delle indagini preliminari è consentita solo quando sussista una

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In base alla medesima interpretazione la Suprema Corte ha ritenuto che legittimamente si considera irreperibile un teste, quando, all’atto della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, un parente riferisce della sua assenza e dell’impossibilità di reperire la persona interessata397.

Dopo la modifica dell’art. 111 Cost, la giurisprudenza ha adottato un’interpretazione maggiormente attenta ai principi fondamentali del processo accusatorio chiarendo che possono essere lette ed acquisite al fascicolo del dibattimento, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., le dichiarazioni rese da un teste nella fase delle indagini, quando lo stesso per cause imprevedibili al momento del suo esame risulti irreperibile,398 perché tale situazione configura un’ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio prevista dall’art. 111 comma 5 Cost.

Sul medesimo punto la Corte precisa, anche se in riferimento al caso del testimone residente all’estero399, che l’acquisizione in

dibattimento dei verbali di dichiarazioni per sopravvenuta impossibilità di ripetizione è subordinata al rigoroso accertamento dell’irreperibilità del testimone, da ritenersi integrata solo previo espletamento di accurate ricerche.

Con un intervento recente infine la giurisprudenza ha assunto una posizione estremamente garantista, chiedendo non solo l’effettuazione infruttuosa delle ricerche di cui all’art. 159 c.p.p. in

vera e propria impossibilità di ripetizione, cui non può essere equiparata la difficoltà di assunzione della prova per la temporanea assenza del testimone dal territorio dello Stato”.

397 Cfr. L. Suraci, op. cit, pag. 173. In tali termini v. Cass. Pen., Sez. V,18 dicembre

1996, n. 1203. Critica sul punto Cfr. C. Cesari, op. cit, pag. 141 in nota. 49.

398 Cass. Pen., Sez. III, 22 aprile 2004, p.g. in c. Hasa, CED 229424. 399 Cass. Pen., Sez. un., 25 novembre 2010, n. 27918.

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relazione all’imputato, ma anche tutti gli accertamenti congrui tenuto conto della situazione personale del testimone400.

Altra questione che si è posta riguarda la necessità di collegare l’art. 512 c.p.p. con l’art. 526 co. 1 bis alla luce dei principi costituzionali del giusto processo.

L’art. 526 al comma 1 bis prevede che la responsabilità dell’imputato non può essere provata sulla base delle dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all’esame401.

La norma riproduce il contenuto dello stesso art. 111 co. 4, II°periodo. Le prime analisi dell’intervento di attuazione dei principi del “giusto processo”, operato con la legge n. 63 del 2001, hanno messo in evidenza come la scelta normativa di ribadire all’art. 526 co. 1 bis