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Irripetibilità originaria e irripetibilità sopravvenuta

sopravvenuta.

Fin dai lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale la dottrina ha individuato che la problematica circa i caratteri degli atti non ripetibili fosse centrale rispetto al rapporto tra procedimento e processo; gli atti irripetibili infatti hanno valenza tanto endoprocedimentale, che endoprocessuale perché il loro contenuto di carattere probatorio ha efficacia anche in dibattimento. Non offrire all'interprete una lettura organica degli atti irripetibili, comporta una degenerazione degli equilibri molto delicati tra il materiale probatorio che si forma in dibattimento e quello a contenuto probatorio (tra cui gli atti irripetibili, le letture e le contestazioni) che trasmigra dal fascicolo delle indagini preliminari al fascicolo per il dibattimento.

Si può evidenziare comunque che, pur in assenza di una definizione di irripetibilità, i risultati elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza portano in linea generale a identificare due tipi di

145 Cfr. L. Suraci, op. cit, pag. 24. Nei medesimi termini, Cfr. A. Bassi, op. cit, pag.

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irripetibilità146: una originaria, l’altra sopravvenuta147. Al di là delle diverse terminologie utilizzate la distinzione tra i due tipi di atti consiste nell’essere la prima fondata su connotati intrinseci degli atti stessi, l’altra sul sopravvenire di accadimenti che ne impediscano la rinnovazione in dibattimento148.

I riferimenti normativi di tale classificazione sono: per la prima categoria l’art. 431 c.p.p. che è legato alla scelta del materiale destinato al fascicolo per il dibattimento; si tratta di atti che per loro natura possono essere compiuti una sola volta; tale articolo precisa che in tale fascicolo sono raccolti i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e dal difensore. Per la seconda l’art. 512 c.p.p. che è legato al recupero a posteriori delle risultanze di indagine - di regola escluse dalla base decisoria perché ripetibili - tramite lettura; si tratta di atti di per sé reiterabili, i quali diventano non rinnovabili a causa di fattori accidentali, sopravvenuti dopo il loro compimento; la fattispecie è azionabile in dibattimento inoltrato e prevede che il giudice, a richiesta di parte, disponga che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare quando per fatti o circostanze imprevedibili sia divenuta impossibile la ripetizione.

E’ chiaro come la distinzione tra irripetibilità originaria e sopravvenuta poggi su un dato di carattere temporale149 consistente nel momento in cui l’irripetibilità si realizza: se si manifesta fin dall’inizio, essa è congenita all’atto stesso, o più precisamente ad un gruppo

146 A. Poggi, C. Cavalera, Gli accertamenti tecnici della polizia giudiziaria

nell’indagine preliminare, Cedam 2000 pag.319 e s.s.

147 Esistono diverse sfumature terminologiche per indicare tali categorie di atti; si può

parlare infatti di irripetibilità ex ante ed ex post, irripetibilità intrinseca ed estrinseca, o ancora di irripetibilità congenita e accidentale.

148 Cfr. C. Cesari, op. cit, pag. 14. 149 Cfr. L. Suraci, op. cit, pag. 160.

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tipizzato di atti e si avrà così l’inclusione ab origine nel fascicolo processuale ex art, 431 c.p.p. L’irripetibilità dell’art. 512 c.p.p. è invece successiva al compimento dell’atto, ma anche sopravvenuta, perché sconvolge ogni previsione modificando dall’esterno e in modo radicale lo stato di partenza150.

Si può intuire che tra gli art. 431 e 512 c.p.p. ci sia una rapporto di complementarietà e esclusione151: l’art. 512 c.p.p. riguarda materiali per i quali il problema dell’irripetibilità risulta essere risolto alla base poiché, se un atto si trova nel fascicolo del p.m., vuol dire che non è stato ritenuto irripetibile ai sensi dell’art. 431 c.p.p. e deve quindi ritenersi suscettibile di ripetizione.

Per maggiore chiarezza si possono delineare gli atti che per concordanza di opinioni sono considerati irripetibili ab origine: i mezzi di ricerca della prova.

Perquisizioni, sequestri, intercettazioni sono atti irripetibili in via originaria e quindi da inserire nel fascicolo per il dibattimento (art 431 c.p.p. lettera b e c)152. La funzione di tali atti è quella di assicurare

le fonti di prova, la caratteristica comune alle operazioni in cui i mezzi di ricerca della prova si estrinsecano consiste nella sorpresa, cioè sono atti inattesi, coperti da segreto per evitare che l’indagato occulti o disperda il corpo del reato o le sue tracce; in queste ipotesi l’irripetibilità è data dalla modificazione dell’oggetto dell’atto e quindi tali operazioni sono idonee a cristallizzare in un atto una situazione non più riproducibile perché fisiologicamente soggetta a modificazione.

Sono da considerarsi irripetibili i verbali inerenti gli accertamenti “urgenti sui luoghi, sulle cose, e sulle persone” compiuti dalla p.g. ai sensi dell’art. 354 commi 2 e 3 c.p.p.; analogo trattamento

150 S. Buzzelli, Le letture dibattimentali, Milano 2000, pag. 71 e s.s. 151 Cfr. L. Suraci, op. cit, pag. 160.

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è riservato agli accertamenti tecnici ex art. 360 c.p.p.153, ipotesi in cui l’impossibilità di ripetizione deriva dal pericolo di alterazione, dispersione, modificazione dell’oggetto dell’attività di indagine dovuto dall’accertamento stesso nonché dalle metodiche tecnico scientifiche.

Sono considerati irripetibili, proprio per il pericolo che può derivare dalla ritardata acquisizione, i verbali di apertura di plichi sigillati (una volta aperto il plico non può essere richiuso per essere riaperto in un secondo momento).

Sono ritenuti acquisibili al fascicolo per il dibattimento i verbali di attività di pedinamento e appostamento svolte dalla p.g.

Problemi interpretativi sulla riconduzione agli atti irripetibili si sono avuti con riguardo ai verbali di arresto o fermo154. Si ritiene che anche tali verbali rientrino a pieno titolo negli atti da inserire nel fascicolo per il dibattimento155.

Per quanto riguarda l’art. 512 c.p.p., come approfondiremo meglio in seguito, consente la lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione.

La lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione può riguardare solo atti originariamente ripetibili156, i quali confluiti nel

fascicolo del p.m., vengono eccezionalmente letti in giudizio – e di conseguenza acquisiti come prove- quando non siano rinnovabili attraverso i mezzi di prova che ne costituiscono il corrispondente dibattimentale

L’irripetibilità è quindi una scelta di metodo legata ad una volontà di selezione e conservazione delle conoscenze processuali.

153 Cfr. C. Cesari, op. cit, pag. 22. 154 Cfr. Ivi, pag. 24.

155 Cfr. D. Potetti, op. cit., pag. 1473.

156 Se l’irripetibilità è prevedibile è previsto l’esperimento dell’incedente probatorio

per non perdere tale materiale conoscitivo; in questo caso deve trattarsi di una irripetibilità sopravvenuta e imprevedibile come si vedrà meglio successivamente.

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Proprio per tale peculiarità essa deve essere interpretata per rendere effettivamente utile lo scopo per cui è stata concepita. Se ci si sforzasse di ricostruire il concetto di irripetibilità da un punto di vista astratto o “filosofico” si rischierebbe di perdere l’utilità della categoria per mancata concretezza; per converso se ci si adeguasse alla casistica, talvolta esasperata, il pericolo sarebbe quello di riconoscere al giudicante un’arbitrarietà che, in assenza di definizioni, non offrirebbe garanzia sul metodo di formazione della base decisoria.

Possiamo concludere affermando che il rapporto di reciproca esclusione che intercorre tra gli art 431 c.p.p. e 512 c.p.p. corrisponde alla contrapposizione concettuale che c’è tra irripetibilità e ripetibilità: o un atto è qualificabile come originariamente irripetibile e quindi suscettibile del passaggio in dibattimento tramite l’apposito fascicolo ai sensi dell’art. 431 c.p.p. oppure è ripetibile e quindi suscettibile di rinnovazione in giudizio attraverso il mezzo di prova corrispondente.

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CAPITOLO III

IL COMPIMENTO DEGLI ATTI IRRIPETIBILI

Sommario: 3.1. Premessa - 3.2. Gli atti irripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria – 3.3. L’attività del p.m., caratteri generali – 3.4. Gli atti irripetibili compiuti dal difensore – 3.5. Incidente probatorio – 3.6. I mezzi di ricerca della prova – 3.6.1. Ispezioni – 3.6.2. Perquisizioni – 3.6.3. Sequestro probatorio – 3.7. Sguardo conclusivo all’art. 431 c.p.p.: il fascicolo per il dibattimento.

3.1. Premessa

Prima di analizzare le singole tipologie di atti irripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria è doveroso effettuare una premessa circa la sua attività.

Le indagini preliminari ai sensi dell’art. 326 c.p.p. risultano funzionali alle “determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale”; il p.m. e la polizia giudiziaria “svolgono nell’ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie”157. Il modello prettamente

accusatorio impedisce alla polizia giudiziaria, salvo ipotesi tassative, la possibilità di formare e raccogliere le prove. Nonostante questa impostazione la necessità di godere di un quadro probatorio il più possibile completo, per permettere di sciogliere le determinazioni inerenti l’azione penale, ha portato a temperare il principio secondo il

157 L. Luparia, Attività di indagine a iniziativa della polizia giudiziaria, in AA.VV.,

Trattato di procedura penale (diretto da G. Spangher), III, Milanofiori Assago, 2009, pag. 173.

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quale il dibattimento è il luogo deputato alla formazione della prova, ampliando la categoria degli atti di polizia giudiziaria.

L’art. 55 comma 1 del c.p.p. precisa che alle funzioni comuni ad essa riservate, quali prendere anche di propria iniziativa “notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto altro possa servire per l’applicazione della legge penale”, sovraintende il pubblico ministero il quale, a norma dell’art. 327 c.p.p., “dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria”158. Dalla lettura del 1° e 2° comma159 dell’art. 55 si possono ricavare due importanti caratteristiche dell’attività di polizia giudiziaria:  La prima concerne il rapporto di dipendenza funzionale rispetto al pubblico ministero, nonostante l’attività investigativa autonoma sia fortemente aumentata rispetto al passato.

 La seconda attinente all’atipicità dell’attività di polizia giudiziaria.

Quanto alla prima previsione, essa rappresenta una limitazione al ruolo svolto dalla polizia giudiziaria nella necessità che l’attività da essa svolta sia sottoposta al controllo e alla direzione del pubblico ministero che rimane il titolare delle indagini160, e “dispone direttamente della polizia giudiziaria” ai sensi dell’art. 327 c.p.p. Quest’ultima disposizione rappresenta la trasposizione a livello codicistico della previsione costituzionale dell’art. 109 e delinea un criterio di priorità decisionale e di responsabilità nelle funzioni investigative che precedono la decisione in ordine all’azione penale; non viene a crearsi un legame di dipendenza gerarchica e strutturale tra

158 L. Luparia, op. cit, pag. 174.

159 Art. 55 c.p.p. co. 2, secondo il quale la p.g.: “svolge ogni indagine e attività disposta

o delegata dall’autorità giudiziaria”.

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il pubblico ministero e la polizia giudiziaria ma piuttosto un nesso di dipendenza funzionale161.

Proprio questo rapporto “compatto e continuativo” tra p.m. e p.g. ha fatto sorgere l’esigenza, in capo al legislatore, di valorizzare il ruolo della seconda nella fase investigativa, che si è poi nei fatti concretizzato in ritocchi normativi, i quali testimoniano come, alle tipiche competenze di ricostruzione, informazione e assicurazione delle fonti di prova si affianchino scelte indipendenti prese dalla p.g sul luogo e nell’immediatezza del fatto162.

La dottrina maggioritaria163 distingue le attività compiute dalla

polizia giudiziaria per le finalità che esse perseguono in:

- Atti di informazione, consentono di acquisire la notizia di reato (informarsi) e portarla alla conoscenza dell’autorità giudiziaria (informare);

- Atti di investigazione, destinati all’accertamento dei reati e alla ricerca dei colpevoli164;

- Atti di assicurazione, per garantire la disponibilità di persone o di cose per l’ulteriore proseguo delle indagini (ad es. sequestri, fermo, arresto in flagranza).165 A testimonianza di una

161 Cfr. A. Poggi, C. Cavalera, op. cit, pag. 21, sottolineano che nello svolgimento

dell’attività investigativa, il pubblico ministero si avvale dell’attività della polizia giudiziaria realizzando un rapporto “compatto e continuativo”, dove l’attività di quest’ultima ha una funzione di impulso, da un lato per dare l’input investigativo, e dall’altro rappresenta uno strumento operativo di una nuova professionalità.

162 Cfr. L. Luparia, op. cit., pag. 174.

163 In tali termini, G. Ichino, Gli atti irripetibili e la loro utilizzabilità dibattimentale,

in AA.VV., La conoscenza del fatto nel processo penale (a cura di G. Ubertis), Milano, 1992, pag. 132.

164 I quali a loro volta si distinguono in: atti di investigazione diretta e indiretta a

seconda che l’attività di p.g. si svolga immediatamente su situazioni o cose (ad es. intercettazioni telefoniche, perquisizioni personali e domiciliari) o mediatamente attraverso l’esame di persone (ad es. sommario interrogatorio)

165 Tali atti consistono nel mantenere la disponibilità dei risultati dell’investigazione

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maggiore autonomia investigativa troviamo l’art. 347166 c.p.p. il quale

così dispone: “Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria senza ritardo, riferisce al pubblico ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino allora raccolti …” dove, pur prevendo l’obbligo di indicare il giorno e l’ora di acquisizione della notizia di reato, con l’espressione “senza ritardo”167 si consente una maggiore flessibilità e libertà investigative in capo alla p.g.168.

Un’altra motivazione che ha permesso l’ampliamento dei poteri investigativi autonomi in capo alla p.g. è dato dal fatto che, tra i soggetti che intervengono nel procedimento penale, questa è la prima ad intervenire nella scena di un crimine169.

Proprio per tali motivazioni il legislatore ha previsto che la polizia giudiziaria, giunta sul luogo in cui è stato commesso il fatto, debba curare che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate, e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del pubblico ministero, ex art. 354 c.p.p. comma 1170 che

si richiama il dovere della p.g. di “compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova”; l’art. 348 c.p.p. comma 2 lett. a). “attività di conservazione di cose, tracce o luoghi pertinenti al reato”, 352, 353, 354 c.p.p.

166 Come modificato dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con le modificazioni

nella legge 7 agosto 1992, n.356.

167 Diversamente dalla precedente disposizioni dove la polizia giudiziaria aveva il

dovere di informare il pubblico ministero entro 48 ore dall’acquisizione della notizia di un reato, un tempo quindi, si capisce, stringente.

168 Non si prevedono quindi termini precisi e determinati nell’informare il pubblico

ministero, ma si tratta pur sempre di un’attività da compiere in un margine ristretto di tempo, appena ciò sia possibile. In tal senso si è espressa la Cass. Pen., Sez. VI, 19 marzo 2007, n. 18457.

169 E’ possibile che nel luogo in cui è stato commesso un crimine, si trovi la persona

offesa dal reato, la quale avvisa la polizia giudiziaria che, sopraggiunta nel locus commissi delicti ne prende possesso; può viceversa accadere che l’individuazione della scena del crimine si realizzi in seguito all’attività investigativa, anche in questo caso la p.g. si troverà per prima nel luogo.

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deve essere letto congiuntamente con l’art. 348 c.p.p171, il quale afferma

che: “Anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la polizia giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate nell’art. 55 c.p.p. raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e all’individuazione del colpevole;” il 2° comma prosegue affermando che per tali fini la p.g. procede alla ricerca delle cose, delle tracce pertinenti al reato, alla loro conservazione, alla conservazione dello stato dei luoghi, alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, nonché al compimento degli atti disciplinati dal codice di procedura penale.

L’art. 348 c.p.p. è una disposizione di carattere generale circa l’attività che la p.g. può compiere distinguendo il momento in cui tale attività si svolge; essa può essere antecedente o successiva a quello in cui il pubblico ministero ha preso la direzione delle indagini172.

- Prima dell’intervento del pubblico ministero, i poteri riconosciuti alla polizia giudiziaria sono limitati nello scopo, essa è infatti chiamata a raccogliere “ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e all’individuazione del colpevole”173.

- Dopo l’intervento del p.m l’attività di polizia giudiziaria si fa più confinata; nel 3 comma dell’art. 348 c.p.p. si parla di “attività

171 A. Chelo, Le prime indagini sulla scena del crimine, Cedam 2014, pag. 38. 172 G. Conti, A.Macchia, Il nuovo processo penale, 1990, pag. 129.

173 Il secondo comma della norma in questione, specifica, come per altro già detto, più

dettagliatamente l’attribuzione generica del primo comma. Parla infatti di atti volti alla ricerca e alla conservazione delle fonti di prova reali (cose e tracce pertinenti al reato nonché stato dei luoghi); atti volti alla ricerca delle fonti di prova personali (persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti); e infine degli atti tipici disciplinati dagli articoli successivi del codice.

Nonostante questa dettagliata specificazione non si esaurisce in essa l’attività della p.g., come emerge dal 2 comma nella locuzione “fra l’altro” che sta ad indicare che, nella fase che precede l’intervento del p.m., la polizia giudiziaria, ha la facoltà di svolgere un’estesa varietà di atti non necessariamente ricompresi dagli art. 349-354 c.p.p., liberi nella forma, e senza il regime garantista che assiste l’assunzione dei mezzi di prova.

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delegata” dal p.m. alla p.g. dove quindi i vincoli della pubblica accusa sono pregnanti; di “direttive” che il p.m. imprime alla p.g., destinate allo svolgimento delle indagini per accertare i reati, dove la p.g. recupera, seppure parzialmente, una limitata libertà d’azione; per giungere poi ad un’autonomia piena per quelle attività conseguenti ad “elementi successivamente emersi” dove ricompare, però, il dovere di informativa al p.m.174.

Quindi anche in presenza di una specifica delega d’indagine o di direttive investigative175 la polizia giudiziaria mantiene sempre la propria autonomia d’indagine svolgendo “di propria iniziativa, informandone prontamente il pubblico ministero, tutte le attività di indagine per accertare i reati ovvero richieste da elementi successivamente emersi e assicura le nuove fonti di prova”176.

Da questo quadro emerge che per quello che concerne i rapporti con l’attività di indagine del p.m. si distingue tra attività ad iniziativa e attività delegata177. L’attività ad iniziativa può essere ripartita in:

 Attività autonoma, la quale è compiuta dopo l’acquisizione della notizia di reato e fino a quando non intervengano le direttive del p.m. (art. 348 c.p.p co. 1);

 Attività guidata, la quale è svolta dalla p.g. nell’ambito delle direttive impartite dal p.m. (art. 348 c.p.p. co. 3)178;

174 G. Conti, A.Macchia, Il nuovo processo penale, 1990, pag. 129 e ss.

175 Per direttive si intendono le istruzioni impartite dal pubblico ministero alla polizia

giudiziaria, le quali fissano l’obiettivo di indagine lasciando indeterminata l’attività operativa da svolgere per perseguirlo.

176 Art. 348 c.p.p. comma 3. 177 L. Suraci, op. cit, pag. 67.

178 La direttiva consiste nell’istruzione impartita dal p.m. alla p.g. con un preciso

obiettivo di indagine, ma lasciando alla stessa una discrezionalità tecnica che si concretizza nella scelta degli strumenti più idonei per perseguire quel determinato obiettivo di indagine indicato dal p.m.

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 Attività successiva, è svolta dalla p.g sulla base di elementi emersi dopo l’intervento del p.m. per consolidare dati già noti o per fornire nuovi stimoli investigativi (art. 348 c.p.p. co. 3);

 Attività parallela, è un’attività autonoma della polizia giudiziaria, compiuta dopo aver ricevuto le direttive dal pubblico ministero, indipendentemente da queste, in attuazione delle proprie idee investigative (art. 348 c.p.p. co. 3)179.

Quindi la polizia giudiziaria gode di un margine di autonoma operatività sia prima della comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero, sia successivamente ad essa; le scelte discrezionali della p.g. sono limitate al divieto di compiere atti in contrasto con le direttive del p.m. che la p.g. è obbligata a seguire.180

Quanto alla seconda previsione deducibile dall’art. 55 c.p.p. attinente all’atipicità dell’attività di polizia giudiziaria questa è connaturale alla funzione che essa svolge; sarebbe dannoso predeterminare i mezzi, le forme e le altre modalità di un’attività che, strettamente legata all’imprevedibilità della realtà, deve essere il più possibile elastica per permettere di realizzare al meglio le investigazioni senza legare a vincoli la p.g.181. La polizia giudiziaria quindi nell’ambito della sua attività compie atti tipici e atipici182: i primi, sono

179 L. D’Ambrosio, P. L. Vigna, La pratica di polizia giudiziaria, Padova, Cedam,

2003, pag. 149.

180 Fa notare Cass. Pen., Sez. II, 4 marzo 2010, n. 18571, come “nella disciplina

prevista dal nuovo codice di procedura penale non esiste un divieto assoluto per la polizia giudiziaria di procede ad atti di iniziativa successivamente alla trasmissione della notizia di reato al p.m.; esiste soltanto un divieto di compiere atti in contrasto con le direttive del p.m., dopo il cui intervento la p.g. deve non solo compiere gli atti ad essa specificamente delegati, ma anche tutte le altre attività di indagine ritenute necessarie, nell’ambito delle direttive impartite”; la fattispecie in questione riguardava un sequestro eseguito d’iniziativa dalla polizia giudiziaria dopo la trasmissione dell’informativa di reato al p.m.

181 C. Taormina, Il regime della prova nel processo penale, Torino, 2007, p. 4 182 L. Luparia, op. cit, pag. 179.

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quelli che il codice di procedura penale disciplina quanto a scopi e presupposti; i secondi, o informali sono individuati solo nello scopo e non nei loro presupposti o nelle forme di realizzazione. La polizia giudiziaria non può compiere gli atti che le sono espressamente vietati