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4.3. La visione della Corte Europea dei Diritti dell’uomo

4.3.3. Considerazioni conclusive

Tale modus operandi si è affermato nelle decisioni della Corte europea successive. Possiamo citare la sentenza Schatschaschwili c. Germania470 dove la Grande Camera ribadisce i criteri di valutazione dell’equità del processo penale previsti nella sentenza Al-Khawaja e detta alcune precisazioni.

Contrariamente a quanto poteva desumersi dalla sentenza Al- Khawaja, in tale pronuncia la Grande Camera precisa che l’assenza di un singolo criterio (Al-Khawaja test) non determina di per sé l’iniquità del singolo procedimento; viene ritenuta necessaria la presenza di fattori di bilanciamento anche nel caso in cui la testimonianza dell’assente sia significativa e non determinante. Viene altresì precisato che la successione tra i singoli criteri in linea di massima deve svolgersi nell’ordinaria sequenza sopra delineata, ma può subire delle inversioni sulla base delle specifiche vicende soprattutto quando uno dei parametri risulti particolarmente concludente nell’accertamento della responsabilità dello stato convenuto.

469 Cfr. S. Mirandola, op. cit, pag. 368 e ss.

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La Corte ha puntualizzato che, anche se l’art. 6 comma 3 lett. d) Cedu riguarda il diritto al confronto durante il processo, è rilevante il modo in cui viene condotto l’esame dei testimoni nella fase delle indagini preliminari, in particolar modo se in tale fase è prevedibile che i testimoni non possano essere ascoltati dal giudice di merito e quindi quelle deposizioni vengano lette in dibattimento.

In tale circostanza qualora l’autorità giudiziaria possa ragionevolmente prevedere che il testimone non sarà escusso in dibattimento è essenziale riconoscere alla difesa la possibilità di anticipare l’occasione per un adeguato confronto con i testimoni a carico già durante le indagini preliminari471.

471 R. Casiraghi, op. cit. pag. 222.

174 CONCLUSIONI

Appare doveroso fare delle considerazioni conclusive su quanto è stato ripercorso in tale elaborato.

Possiamo partire dalla nostra Costituzione dove all’art. 111, 1° co. prevede che “La giurisdizione si esercita mediante il giusto processo”.

E’ fondamentale che la decisione scaturisca da un processo che sia considerato giusto dalla società potendo così essere meglio accettate anche quelle misure che comportano svantaggi per chi le subisce.

Nella norma costituzionale sopra richiamata il riferimento alla nozione di “processo equo” è senz’altro ispirata al procès équitable consacrato all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (commi. 1,3).

Il legislatore italiano con la legge costituzionale n.2 del 1999 ha introdotto nella Carta fondamentale, nell’art. 111, cinque nuovi commi che canonizzano i principi del giusto processo.

L’intervento più significativo della legge costituzionale sopra citata è rappresentato dall’affermazione esplicita, per il processo penale, del principio del contraddittorio nella formazione della prova.

Secondo tale principio la prova, in modo particolare quella dichiarativa, si forma con la partecipazione delle parti, le quali pongono le domande e formulano le contestazioni. In questo modo gli elementi rilevanti per la decisione si realizzano in modo dialettico e il giudice è in grado di valutare la credibilità del dichiarante e l’attendibilità di quanto ha raccontato.

“E’ difficile negare che la compartecipazione diretta delle parti alla produzione del risultato probatorio davanti al giudice che deve

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emettere la decisione sia il modello preferibile in quanto a più alto titolo dialettico472”.

Analizzati nel dettaglio gli aspetti del principio del contraddittorio e dedotta la sua importanza è stato necessario soffermarsi sulle eccezioni al principio – in questo caso inteso come regola e in quanto tale soggetta ad eccezioni delineate in modo tassativo dalla Costituzione – in esame.

L‘art. 111, co. 5°, Cost. afferma che “La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo per contraddittorio..” ed elenca le ipotesi in cui questo può tassativamente avvenire demandando al legislatore il compito di delineare i presupposti specifici.

Delle tre eccezioni al principio del contraddittorio, esposte dal testo costituzionale, solo l’accertata impossibilità di natura oggettiva di ripetere la prova nel contraddittorio rappresenta il vero “strappo” al principio – le altre due eccezioni sono considerate limiti interni al contraddittorio, il quale per esplicare il proprio effetto ha bisogno del conflitto tra le parti, se esse sono d’accordo su una relativa prova il contraddittorio perde la sua efficacia – per tale motivo deve essere interpretata restrittivamente.

Nel nostro ordinamento quindi, si è ritenuto opportuno in certi casi rinunciare al principio del contraddittorio nella formazione della prova per salvare elementi che altrimenti sarebbero andati perduti.

Entra in gioco a questo proposito la categoria della irripetibilità: quando un atto è dotato di tale caratteristica è possibile che la prova, formata nella fase predibattimentale acquisti importanza piena ai fini della decisione della causa al pari delle prove formate nel dibattimento. Abbiamo avuto modo così di distinguere le ipotesi in cui l’irripetibilità è originaria, dalle circostanze in cui invece è

472 G. Giostra., Voce contraddittorio (principio del): II) Diritto processuale penale, in

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sopravvenuta. Nella prima ipotesi, si parla di irripetibilità intrinseca all’atto stesso e per tale motivo inserita ab origine nel fascicolo per il dibattimento dove si trovano gli atti ai quali si consente che venga data lettura per adottare la decisione finale, la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 431 c.p.p.; Per quanto concerne l’irripetibilità sopravvenuta ex art. 512 c.p.p., si parla di atti che nascono come ripetibili in dibattimento, ma per un evento imprevedibile e sopravvenuto divengono irripetibili; per queste ipotesi l’alternativa che si pone è: consentire la lettura dell’atto formato nella fase anteriore al dibattimento o perderlo per sempre.

Quanto all’eccezione dell’accertata impossibilità di natura oggettiva di formare la prova nel contraddittorio questa trova trasposizione nel codice di rito all’art. 512 c.p.p. il quale è rubricato “Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione” che quindi delinea la logica dell’impossibilità sopravvenuta.

Nel nostro ordinamento quando l’atto diventa irripetibile per un’impossibilità sopravvenuta è consentito dare lettura alla dichiarazione resa in fase predibattimentale.

Confrontando il regime probatorio italiano con il dettato della Convenzione europea abbiamo potuto vedere i contrasti che sono sorti, perché secondo l’indirizzo originario dei giudici di Strasburgo costituiva un principio assodato della giurisprudenza europea quel parametro di giudizio per cui le dichiarazioni di portata accusatoria unilateralmente raccolte non potevano costituire la prova esclusiva o determinante posta a fondamento della condanna.

Da qui il contrasto con numerose sentenze emesse dai nostri giudici dove era stata data lettura a dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari e divenute irripetibili le quali, avevano fondato la prova sola o determinante della sentenza di condanna.

L’Italia non è stato l’unico paese europeo a discostarsi dalle previsione della Convenzione così come interpretata dai giudici di

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Strasburgo. Proprio per questa ragione a partire dalla sentenza Al- Khawaja e Tahery c. Regno Unito, emanata dalla Grande camera, si è registrato un parziale overruling: è stata ridimensionata l’assolutezza della regola sola o determinante interpretata in modo più flessibile.

Con tale intervento la Grande Camera ha ritenuto che una condanna fondata in maniera esclusiva e determinante sulle dichiarazioni precedentemente rese da un testimone che l’imputato non ha mai avuto modo di esaminare, non comporta inevitabilmente l’iniquità del processo. Anche in tali casi si deve procedere ad una valutazione dell’intero procedimento, articolato in tre passaggi successivi, i cosiddetti Al-Khawja test.

Quindi anche per la Corte, dopo la pronuncia sopra richiamata, le dichiarazioni raccolte al di fuori del contraddittorio sono consentite entro certo limiti: la limitazione delle facoltà difensive dell’imputato, compressa dal recupero di dichiarazioni raccolte in assenza di contraddittorio, deve essere bilanciata da solide garanzie procedurali.

Alla pronuncia in esame hanno fatto seguito altre sentenze che ne hanno richiamato e talvolta precisato i principi ispiratori in particolar modo abbiamo richiamato Schatschaschwili c. Germania.

Alla luce della nuova giurisprudenza europea possiamo affermare che vi è stata una riduzione dei conteziosi tra ordinamento interno e Corte europea dei diritti dell’uomo. Importante è stato il cambio di direzione attuato dai giudici di Strasburgo che ha reso più flessibile la possibilità di recuperare le dichiarazioni rese nelle fasi anteriori al dibattimento; ma anche l’Italia attraverso la sentenza della

Cassazione, 15 giugno 2010, n. 27582 ha fatto passi per allinearsi alle norme convenzionali. Nella pronuncia appena richiamata, la Corte ritiene che secondo un’interpretazione dell’art. 512 c.p.p., rispettosa dei principi sanciti dall’art. 111 Cost e dalla C.e.d.u (art. 6), l’acquisizione in dibattimento delle dichiarazione divenute irripetibili

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per sopravvenuta impossibilità è subordinata al rigoroso accertamento di tre presupposti:

ossia l’irreperibilità del testimone, previo espletamento di accurate ricerche; l’imprevedibilità dell’irripetibilità dibattimentale durante la fase delle indagini preliminari; e l’estraneità dell’irreperibilità ad una volontaria e libera scelta del testimone di sottrarsi all’esame in contraddittorio richiamando così quanto previsto dall’art. 526 co. 1 bis c.p.p.

Le dichiarazioni così acquisite devono essere valutate dal giudice di merito con ogni opportuna cautela, non solo conducendo un’indagine positiva sulla credibilità sia soggettiva che oggettiva, ma anche ponendo in relazione la testimonianza con altri elementi emergenti dalle risultanze processuali473.

Quindi una lettura per così dire “convenzionalmente orientata”, rispettosa dell’art. 6 C.e.d.u. impone che le dichiarazioni acquisite ai sensi dell’art. 512 c.p.p. possono fondare un giudizio di condanna solo in presenza di riscontri esterni richiamando l’applicazione analogia dell’art. 192, co. 3, c.p.p.

Gli sviluppi che avverranno in seguito saranno comunque legati all’interpretazione che i giudici di Strasburgo faranno dei principi indicati nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo al singolo caso che le venga posto, poiché la categoria dell’irripetibilità, mancando di una definizione specifica, risulta difficile da interpretare con chiarezza e si pone spesso davanti al bilanciamento di interessi contrapposti.

473 S. Corbetta op. cit, pag. 6532.

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