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3. I TARANTATI

3.2. Il caso di tarantismo in madre-figlia: Caterina e Immacolata d

Il primo caso è quello che riguarda Caterina e Immacolata di Taviano, madre e figlia. Citiamo dal lavoro di Amalia Signorelli:

Caterina di Taviano. La tarantata, di anni 65, analfabeta, sposata, con 9 figli, di cui 7

sposati: convivono con i genitori un figlio e una figlia, Immacolata di anni 36, anch’essa tarantata. Sono proprietari di 34 are di terra con 8 piante di olive, coltivate a turno dai figli. Sia la madre che la figlia lavoravano da braccianti agricoli sino a pochi anni fa, ma ora non più. L’abitazione si compone di 2 camere a livello stradale senza acqua e servizi

igienici.165

Da queste informazioni filtra quel dominio che abbiamo provato a delineare e a comprendere nel capitolo precedente: il mondo della classe contadina del Mezzogiorno italiano.

Rivolgiamoci alle parole di De Martino sul caso di Taviano.

A Taviano incontrammo un altro caso di distribuzione familiare del tarantismo:

Caterina e Immacolata., rispettivamente madre e figlia. Caterina di 65 anni, aveva contratto il primo morso nel lontano 1915, cioè quarantaquattro anni prima, in un mattino di giugno, mentre potava le viti: cadde al suolo improvvisamente circa mezz’ora dopo il morso della taranta. Da quell’epoca nel giugno di ogni anno, da 44 anni, avvertiva stanchezza, nervosismo disappetenza, insonnia, oppressione precordiale e da qualche anno dispnea. Secondo quello che ci riferiva la figlia, durante il periodo critico, Caterina <<si addormentava a occhi aperti, senza veder nulla e parlava con il Santo>>, cioè dialogava con la voce allucinatoria del Santo senza tuttavia ricordare

165

nulla del <<risveglio>>: ma i presenti, che udivano solo l’interloquire di Caterina,

potevano ricostruire l’intero dialogo.166

La madre, Caterina, riferisce De Martino, qualche volta scendeva dal letto nel quale si trovava e accennava passi di danza in circolo, come se vi fosse un’orchestrina a suonare per lei. La musica però non c’era e l’accenno al ballo era di breve durata. A Taviano, riferisce De Martino l’uso

dell’esorcismo coreutico-musicale non si praticava più da molto tempo. In questo caso Caterina continuava ad assumere la taranta come orizzonte

culturale, sostenendo di essere stata morsa anni prima ma il tarantismo di Caterina assumeva una coloritura di tipo “mistico” più legata a San Paolo.

Caterina continuava a mantenere l’ideologia della taranta, e parlava del morso

avvenuto quarantaquattro anni prima e che continuava a rinnovarsi ogni anno nella stessa stagione […]. Ma ormai predominava l’orientamento mistico del rapporto con Santo Paolo e la taranta appariva ricacciata ai margini, insinuando di tanto in tanto la

propria immagine in quella dell’Apostolo delle Genti167

.

166

E. De Martino, La terra del rimorso op., cit., p. 118-119. 167

La figlia, Immacolata, fu colpita dal primo morso a ventisette anni, una mattina nel mese di giugno. Alzatasi dal letto per occuparsi del figlio neonato, la donna sentì un forte dolore alla tempia e venne colta da forti vertigini che la costrinsero a riadagiarsi nel letto da cui si era alzata. <<Quanto alla figlia Immacolata, di 36 anni, essa fu raggiunta in circostanze che indicano chiaramente l’influenza dell’esempio materno.>>168

Immacolata tacque alla madre l’incidente di cui era stata vittima, e quando giunse il giorno della festa di Galatina la accompagnò, come avveniva da anni. Ma appena mise piede in cappella << si senti scazzicare >> ed ebbe una crisi, di cui non serbava nessuna memoria. Da quell’anno, a cominciare da maggio e sino alla festa di Galatina, Immacolata accusava gli stessi disturbi: stanchezza, mal di stomaco, mal di testa, vomito […]. La crisi imitava, a detta dei presenti, quella della cappella ed era simile alla crisi materna: convulsioni, dialoghi ad alta voce con la taranta e con il Santo, comunicazioni circa l’ora della dipartita e della prossima visita, e oblio completo << al

risveglio >>169.

Ernesto de Martino riferisce anche di come Immacolata si sentisse debole e spossata ogni qual volta le capitava di ascoltare musica tra maggio e giugno. Le celebrazioni del 28 e del 29 giugno a Galatina segnavano la fine dei sintomi, almeno fino a maggio dell’anno successivo. Le modalità di avvelenamento delle due donne, madre e figlia, sono simili.

168

E. De Martino, La terra del rimorso, op., cit., p. 119. 169

Entrambe subiscono il morso in un mattino di giugno, svengono ed hanno lo stesso tipo di comportamento quando la crisi prende piede: ad esempio dialogano con San Paolo senza avere alcun ricordo una volta “sveglie”.

La crisi imitava, a detta dei presenti, quella della cappella ed era simile alla crisi materna: convulsioni, dialoghi ad alta voce con la taranta e col Santo, comunicazioni

circa l’ora della dipartita e della prossima visita, e oblio completo al <<risveglio>>170

.

Il caso di Caterina e Immacolata mostra il forte assoggettamento della madre e della figlia a ciò che struttura il dominio in questione. Ciò che colpisce è il fatto che Immacolata, la figlia, sia stata a sua volta profondamente colpita dalla pervasività delle disposizioni affettive della madre, plasmate su modelli comportamentali strutturati e condivisi nel dominio.

Il caso di Caterina e Immacolata può essere spiegato servendoci della nozione di stile affettivo-corporeo, di cui parla Jan Slaby nel suo studio. Gli stili affettivi-corporei sono delle modalità di comportamenti che non sono legate all’espressione individuale. Questi stili sono condivisi dalle singole persone in modo tale da formare un insieme o una comunità che, plasmando uno schema di interazioni affettive ricorrenti, si condensa in un’atmosfera o in uno specifico clima emotivo.

Dunque si può sostenere che anche il comportamento di Caterina è condensato in uno specifico clima affettivo così pervasivo da coinvolgere, modulandone le disposizioni affettive personali, anche la figlia Immacolata.

Rivolgiamoci direttamente alle parole di Slaby.

This is a pervasive feature of organized social domains in general: that they contain formative structures —such as architecture, technological, and equipmental arrangements— that enable and help sustain recurring practices, modes of interaction and relational dynamics which, taken together, “realize” or “implement” affective interaction patterns and atmospheres. Often, these distributed affective patterns are deliberately machinated so as to help the given domain reach its operative goals, whatever these may be in the case at hand—for instance profit-making in a company, winning in a sports team, or good student performances in a school class, to take some

trivial examples171.

L’idea di Slaby è che la soggettivazione a cui una persona è sottoposta non è circoscritta ad una fase singola della vita o dello sviluppo ma è continua: essa ci accompagna fino e oltre la vita adulta. Come nel caso di Immacolata che assorbe profondamente lo stile affettivo-corporeo della madre Caterina. La pervasività del fenomeno è evidente e la soggettivazione personale di Immacolata è molto forte. Caterina e Immacolata condividono lo stesso clima affettivo ed hanno sviluppato, in lunghi anni, abitudine e un profondo

171

assoggettamento e sintonizzazione alle routine di interazioni affettive del dominio.

Tutti noi in un certo qual modo siamo strettamente e appassionatamente legati ai nostri ambienti affettivi, alle persone che compongono la nostra famiglia, a quelle che amiamo e che consideriamo amiche. Introiettiamo e ci abituiamo, nel corso del tempo, a valori, credenze e modelli comportamentali appartenenti alla nostra sfera personale e al dominio in cui abitiamo.

Scrive Slaby:

And what is more, aren’t we all passionately attached to our various circles of belonging, which encompass far more than what was formerly the “personal sphere” of

family, loved ones and friends? 172

Come ad esempio Immacolata, che assume lo stesso modello comportamentale della madre, condiviso culturalmente anche dall’intera comunità: il ragno la morde come ha morso la madre in un mattino di giugno. Le dinamiche in cui giunse l’avvelenamento in Immacolata sono plasmate su quelle di Caterina. Anche lo svolgersi della crisi in cappella a Galatina imitava secondo testimonianza lo svolgersi della crisi della madre.

Concludiamo lo studio del caso di Caterina e Immacolata riportando quasi per intero ciò che accadde alle due donne durante le celebrazioni nella chiesa a Galatina. Citeremo dal protocollo del 28 giungo del 1959, nel quale sono raccolti i dati, corretti e confrontati, frutto delle osservazioni dei componenti dell’équipe.

Caterina e Immacolata di Taviano (ore 16.40-20.30).

La prima immagine che ci colpisce al momento dell’inizio dell’osservazione è una donna seduta sul tetto del tabernacolo dell’altare quasi addossata alla tela raffigurante S. Paolo col serpe. Biancovestita, i capelli grigi sciolti come nel cordoglio delle lamentatrici funebri, la donna seduta appoggia un piede sulla cornice dell’altare, lasciando pendere l’altro nel vuoto, o appoggiandolo su una cornice più bassa, il gomito sul ginocchio, il mento nel palmo della mano: il suo atteggiamento richiama uno stato di depressione ansiosa e al tempo stesso di raccolta e minacciosa tensione inferiore, pronta al minimo stimolo a caricarsi di impulsi aggressivi. È Caterina di Taviano (cfr. pp.96 sgg.). In cappella vi è anche la figlia Immacolata (cfr. pp.96 sgg.), anch’essa biancovestita: sta supina, dapprima immobile, e poi invasa da un’agitazione crescente e disordinata, che le fa muovere il capo in qua e là, e battere le natiche a martello contro il suolo. Poi comincia a strisciare lentamente a mò di verme, descrivendo come un cerchio: ma ben presto si arresta ansante, levando dalla bocca semiaperta un gemito rauco. Così strisciando si porta dapprima verso l’altare, poi davanti alla nicchia dove è custodita la statua di S. Paolo, e prende a tempestare di pugni la porta protettiva di legno, con un ritmo incalzante, sì che tutta la cappella ne risuona come per un rombo. Improvvisamente si alza di scatto e cerca di lanciarsi verso l’uscita della cappella, avendo scorto qualche colore ostile nella folla di curiosi che fa ressa. Si divincola un

po’ fra le braccia di chi tenta di trattenerla, e poi si calma173

.

173

Dopo una ventina di minuti si alza, sembra calma. Poi ricomincia a percorrere saltellando la cappella, raggiunge la nicchia: in questo momento la madre si leva in piedi urlando sul tetto del tabernacolo, salta sulla tavola eucaristica, il dito puntato verso l’uscita. Ha visto un giornalista nostro amico, la cui cravatta fantasia ricorda uno sciame di araldici scorpioni. La collera della madre si comunica alla figlia, che scatta verso la porta con estrema violenza, inseguendo il giornalista, che è un ebreo di Vienna sui cinquant’anni, […]. La cappella intanto è in tumulto. Immacolata è riacciuffata, e la polizia ordina di chiudere la porta della cappella.[…]. Di nuovo si diffonde per la cappella il rombo dei colpi battuti contro la porta, questa volta non dai piedi, ma dalle spalle, come in un estremo tentativo di abbattere il diaframma che separa la tarantata dall’Apostolo delle genti. I parenti le sono vicino, cercano di interporre a riparo un cuscino fra la testa e la porta, e infine inducono la tarantata a sdraiarsi. Al suolo continua per qualche tempo ad agitare la testa, infine si calma e resta immobile, ad occhi chiusi, per circa un quarto d’ora, cioè sino al momento in cui la porta della cappella, chiusa per l’incidente provocato dall’ebreo viennese, si riapre per lasciare

passare altri tarantati sopraggiunti sopraggiunti dai paesi del Salento174.

Al momento in cui giunge in cappella l’eco della banda che accompagnava la processione, madre e figlia aumentano la loro agitazione sino al parossismo. La madre si leva in piedi sul tetto del tabernacolo e battendo i pugni sulla pala dell’altare chiede

imperiosamente di scendere unendosi alla figlia e agli altri tarantati175.

Le azioni e i comportamenti di Caterina e Immacolata colpiscono molto. Abbiamo voluto riportare quasi per intero la giornata in chiesa a Galatina, per mostrare al lettore la permeazione che è avvenuta nella mente di queste donne. Per De Martino la situazione che si crea in chiesa non ha le stesse caratteristiche di condivisione e soccorso che ha il fenomeno del tarantismo

174

E. De Martino, La terra del rimorso, op., cit., p. 137. 175

nella sua manifestazione domiciliare, composta da musica e cicli di esorcismi coreutici-musicali. Il fenomeno culturale del tarantismo è tale quando è condiviso dall’intera comunità, quando il malessere individuale viene accettato e riconosciuto come qualcosa di collettivo che può essere affrontato con l’aiuto di tutta la comunità contadina. Nessuno è isolato nel suo malessere. A Galatina invece vediamo che alcuni tratti di questa dimensione non sono più totalmente condivisi dalla comunità. La statua del Santo in chiesa è protetta da una struttura esterna di legno, la polizia anch’essa presente nella chiesa di Galatina controlla l’ordine pubblico intervenendo e chiudendo le porte della chiesa quando l’aggressività delle tarantate si scaglia contro persone presenti nella folla, situata davanti alla chiesa per assistere alla processione. All’interno della chiesa la crisi si manifesta individualmente, soccorsa alla meglio dai familiari che si preoccupano di interporre delle protezioni tra i corpi violentemente scagliati e la superficie di contatto. Caterina si è arrampicata sul tabernacolo dell’altare e Immacolata invece si dimena strisciando sul pavimento della chiesa. Fino a quando da fuori non giunge la processione, allora entrambe sono come catturate, vogliono unirsi a essa, ai suoni e a tutti gli altri tarantati che giungevano dall’intero Salento. Partecipando ai suoni e condividendo il loro malessere riconosciuto e vissuto anche dagli tarantati.