• Non ci sono risultati.

3. I TARANTATI

3.5. La dimensione politica e sociale in Jan Slaby ed in Ernesto De

.

Riteniamo che vi sia un altro aspetto della teoria di Slaby che può essere avvicinato alla studio della dimensione politica del fenomeno del tarantismo.

Per Slaby e anche per De Martino i risultati delle plasmazioni, siano essi sistemi di reazioni culturalmente coerenti o siano la modulazione delle proprie disposizioni affettive attraverso strutture situate di un dominio sociale, hanno implicazioni che, in ultimo luogo, sono politiche.

Secondo Slaby, gli stati mentali individuali sono molto simili a mosse pubbliche in una “partita” governata da regole o impegni assunti e acquisiti

da ogni componente del dominio a causa delle loro mosse o azioni. Sono i complessi schemi socio-normativi che vincolano attraverso

l’abitudine e l’assunzione di determinati modelli comportamentali i singoli stati mentali delle persone. La plasmazione e la costituzione di determinate capacità mentali individuali implicano la questione di ciò che è normativamente adeguato, ovvero qualcosa degno di approvazione riflessiva da parte delle persone coinvolte. Per Slaby le due questioni sono inseparabili.

The question of the constitution of individual mental capacities is here inseparable from the question of a normatively adequate organization of socio-political reality at large—where “normatively adequate” here means, at the very least: worthy of reflective endorsement by those concerned. In this sense, the human mind is a political matter as

much as anything (see also Rorty, 1988)189.

Le riflessioni poste da Slaby nel suo articolo vertono sulle molte richieste di strutturazione imposte dai domini sociali e se esse siano meritevoli dell'approvazione riflessiva dei partecipanti. L’autore riflette anche su quali delle richieste di strutturazione sono percepite invece come ostacoli al nostro esprimersi individuale o collettivo: una violazione della nostra libertà. In questo caso avrebbero un urgente bisogno di riforme o addirittura di abolizione. Le questioni su cui Slaby riflette nel suo studio possono essere applicate alla pervasività del dominio sociale, che plasma il fenomeno culturale del tarantismo

A related question is then this: Do those affected have, individually or collectively, in a given case of mental situatedness, enough of a say in determining the further course that

the technical and institutional infrastructures will take ? 190

189

J. Slaby,“Mind Invasion: Situated Affectivity and the Corporate Life Hack” cit., p. 7. 190

Le domande poste da Slaby fanno luce sulla portata e l’importanza che assume la dimensione normativa e politica attraverso l’adesione a modelli

comportamentali e l’introiezione di particolari stili affettivi-corporei. Tutto ciò può essere inteso come una vera e propria posizione normativa, in

quanto la pervasività di ciò che struttura il dominio in questione fa in modo che quello che viene accettato e assunto, spesso in modi non esplicitamente riflessivi, diventi per la persona qualcosa di legittimo in cui credere fermamente e da attuare.

La dimensione politica e sociale o meglio l’emancipazione politica delle persone è il fine ultimo degli studi di Ernesto De Martino e della sua équipe sul fenomeno culturale del tarantismo. Per l’autore l’emancipazione individuale e sociale dei contadini del Salento è strettamente connessa all’abbandono di determinate pratiche e credenze.

[…]: il cammino che conduce alla liquidazione delle sopravvivenze magiche in

Lucania e nel resto del Mezzogiorno d’Italia passa per le trasformazioni sociali, per lo sviluppo della coscienza sindacale e politica, per il moltiplicarsi dei pubblici servizi e delle varie forme di assistenza, per il miglioramento delle condizioni igienico sanitarie,

per la diffusione del senso di sicurezza civile191.

191 Cfr. cap. 2. p 3.

I casi di Caterina e Immacolata, Paola e Pietro, ma anche tutti gli altri casi studiati dall’équipe di De Martino, implicano tutta questa dimensione politica e sociale. L’ordine simbolico culturalmente condizionato presente nel Salento modella e plasma in un sistema condiviso dalla comunità il fenomeno del tarantismo. Abbandonare la credenza nel tarantismo implicherebbe l’abolizione di modelli comportamentali derivanti da quelle strutture situate. Dunque occorrerebbe trasformare e modificare le strutture situate di quel particolare dominio sociale che è la terra del Salento. Questo è quello, che con altre parole, De Martino si augura per i contadini poveri del Mezzogiorno, poiché in gioco non vi è la sola questione del tarantismo e della sua liquidazione:

[…]: cioè la necessità di allargare la quistione meridionale includendovi in modo non

declamatorio o deprecatorio, ma concreto e operativo, la presa di coscienza e l’intervento, non solo dell’ordine economico sociale, ma anche nella sfera della vita morale e del costume, dove si annida un’altra <<miseria>> quella psicologica. Il tarantismo senza dubbio morirà <<da sé>> fra poco tempo: ma proprio l’inerzia di quel <<da sé>> è malsana e mortale, perché la legge della cultura è di procurare la morte del passato attraverso il vivo lume della coscienza e della ragione. Troppe cose nel nostro Sud muoiono <<da sé>>, senza che la coscienza e la ragione ne traggano alcun merito operativo, e troppe invece sopravvivono senza che la coscienza e la ragione ne

avvertano in termini di trasformazioni le pungenti contraddizioni192.

Dobbiamo a de Martino lo studio e la dimostrazione del tarantismo come un fenomeno prettamente culturale. Studiando il tarantismo vediamo che assume una doppia valenza politica. Assoggettando i singoli stati mentali delle persone fa in modo che esse attuino in maniera ricorsiva pratiche e credenze, frutto di condensazione degli stili affettivi-corporei, come risposte condivise e culturalmente accettate a situazioni-limite all’interno di quel mondo. Mentre la stessa esistenza del fenomeno del tarantismo e il suo disgregarsi, ovvero il suo <<morire da sé>>193 implicano la mancanza e la necessità di una politica sociale sensibile alla questione meridionale che permetta di prender coscienza di quelle che sono le contraddizioni che si stavano manifestando in quel mondo culturale, isolato e lontano dal resto d’Italia.

CONCLUSIONI

Nel presente studio abbiamo cercato di comprendere il fenomeno culturale del tarantismo come un fenomeno di invasione mentale all’interno della teoria dell’affettività situata.

Abbiamo visto il forte assoggettamento che coinvolgeva non solo i tarantati ma tutta la comunità del Salento, che condivideva all’interno di un orizzonte mitico-rituale modelli comportamentali e stili affettivi-corporei ben precisi. Come dimostrato da Ernesto De Martino questi comportamenti condivisi miravano a reintegrare all’interno della comunità colui che in quel momento manifestava il malessere di chi è tarantato.

La discendenza familiare dell’avvelenamento che abbiamo visto in Caterina e Immacolata, il ripresentarsi in ogni estate della crisi tossica dovuta al primo morso che ritorna, la “conversione”, ma meglio si direbbe la plasmazione di Paola che da siciliana diviene salentina e tarantata, e la potente suggestione che l’autonomia della taranta assume in Pietro tale da rendere insignificante la diagnosi e le cure mediche per il latrodectimso, ci sembrano tutti elementi che spiegati e compresi attraverso la teoria dell’affettività situata mostrano la forza pervasiva del dominio sociale e delle strutture situate in cui queste persone vivono.

Tutti noi, uomini e donne moderni, in ambiti e contesti diversi, partecipiamo alla dinamica dell’affettività dalla quale siamo plasmati, assumendo determinati modelli comportamentali e introiettando determinati stili-affettivi-corporei, che con il tempo diverranno tutt’uno con la nostra persona, creandone un’altra in un certo qual modo. Per Jan Slaby questa situazione non è qualcosa di eccezionale ma ci accompagna in ogni momento della nostra vita. Abbiamo visto che è difficile averne piena consapevolezza ed è complicato isolare la dinamica dell’affettività poiché ne siamo partecipi. Non sempre siamo in grado di renderci conto se l’assoggettamento a cui partecipiamo è per noi salutare e produttivo oppure è contraddittorio e opprimente per la nostra persona.

Con questo studio abbiamo voluto mettere in evidenza la forte pervasività delle strutture situate insite nel tarantismo, l’importanza del dominio sociale in cui prende forma e le sue implicazioni sociali, politiche e morali. Allo stesso tempo abbiamo voluto mostrare l’enorme portata di ciò che è situato, ovvero ciò che rende tale quel dominio sociale.

APPENDICE

Cristo si è fermato a Eboli: L’opera sul meridione di Carlo Levi e

l’influenza su Ernesto De Martino

Un altro autore, prima di De Martino, aveva scritto a proposito della

situazione meridionale italiana. L’autore in questione è Carlo Levi, e di notevole influenza per De Martino è stato il suo romanzo Cristo si è

fermato a Eboli194, in cui racconta la propria esperienza di esilio in Lucania per ordine del regime fascista. Gli eventi di cui Levi scrive sono datati 1935-1936 mentre il romanzo verrà pubblicato nel 1945.

Nell’introduzione a Sud e Magia, Fabio Dei e Antonio Fanelli scrivono a proposito dell’influenza esercitata dal romanzo di Levi su De Martino:

La spedizione del 1952 viene preparata, in un certo senso, come una sorta di ritorno

sui luoghi di Levi, una <<verifica>> dei fatti narrati dal celebre romanzo da sottoporre al vaglio dell’analisi scientifica e della rivelazione sul campo. Nella fase preparatoria della ricerca de Martino ha usato l’opera di Levi come testo etnografico da cui trarre dati e riferimenti utili per stabilire gli itinerari del viaggio e per ampliare gli orizzonti di

ricerca […].195

194

C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, op., cit. 195

Carlo Levi nel suo romanzo descrive dettagliatamente i luoghi in cui abita

negli anni del suo esilio, le persone con cui interagisce e la loro vita. Il numero degli abitanti dei paesi della Lucania era molto ridotta a causa

delle guerre e dell’emigrazione verso Roma, Napoli e in alcuni casi anche in America. La popolazione era formata per la maggior parte dalla classe contadina, logora dal durissimo lavoro e schiava dei debiti. Erano poche le persone abbienti, rappresentate solo da qualche proprietario terriero e qualche vecchio signore.

Riportiamo di seguito una delle descrizioni di Levi a proposito della vita nella comunità contadina:

I contadini di Grassano vivono di anticipi sul raccolto, e quando è il tempo delle messi, di rado arrivano a pagare il debito, che va così accumulandosi di anno in anno, legandoli sempre più nella rete della squallida povertà. Quelli di Gagliano lavorano il loro campo, e non raccolgono mai quello che basta a nutrirli e a pagare l’Ufficiale esattoriale: le poche lire eventualmente risparmiate nelle annate buone, vanno tutte in medici e medicine, a curarsi la malaria: perciò anch’essi sono costretti alla denutrizione,

e non possono pensare a muoversi o a cambiare stato.196

Le tasse imposte ai contadini erano molto alte, poiché riferisce Levi, non rientravano per ragioni d’interessi personali dei signori del luogo nella fascia sociale considerata di povertà, esonerata dalle tasse. Un altro grave problema di cui scrive Levi è la diffusione della malaria. Molti morivano

per la mancanza di cure e chi sopravviveva ne portava gli effetti sul proprio corpo.

Il tempo delle messi di cui parla Levi è la stagione del raccolto, la stagione estiva del duro lavoro. Momento rilevante anche per Ernesto De Martino, poiché annunciava non solo i debiti e la miseria futura dei contadini, ma rappresentava soprattutto un momento critico a livello esistenziale. Nel nostro studio abbiamo dimostrato come la stagione estiva possa essere concepita come una struttura situata all’interno di quel mondo culturale o dominio sociale, che induce le persone ad attuare modelli comportamentali condivisi per superare la criticità di quel difficile momento con l’aiuto e il riconoscimento dell’intera comunità.

L’immagine che scaturisce da Carlo Levi è intrisa di drammaticità, di povertà e di privazioni. Un’immagine similare si coglie circa diciassette anni dopo anche nelle pagine di Ernesto De Martino.

Sono però presenti delle differenze importanti: in primo luogo le due letterature a cui facciamo riferimento appartengono a tipologie diverse,

Cristo si è fermato a Eboli è un romanzo che racconta in prima persona la

propria esperienza, mentre la letteratura di De Martino è di tipo scientifico, in quanto è una ricerca che vuole documentare ciò che incontra. Altro elemento di differenza è il tempo a cui i due autori appartengono, e diametralmente opposto è il contesto politico da cui arrivano.

Levi è un confinato, egli viene esiliato per ordine del regime fascista e la sua visione di questo mondo “fuori” dalla storia, è rassegnata, senza aspettativa e speranza.

Per i contadini, lo stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre

dall’altra parte.197

La sola possibile difesa, contro lo Stato e la propaganda, è la rassegnazione, la stessa cupa rassegnazione, senza speranza di paradiso, che curva le loro schiene sotto i mali

della natura.198

È la rassegnazione per Levi che fa in modo che i contadini sopravvivano, resistendo a tutti i soprusi e le ingiustizie.

-Noi non siamo cristiani, - essi dicono, - Cristo si è fermato a Eboli -. Cristiano vuol dire, nel loro linguaggio, uomo: e la frase proverbiale che ho sentito tante volte ripetere, nelle loro bocche non è forse nulla più che l’espressione di uno sconsolato complesso di inferiorità. Noi non siamo cristiani, non siamo uomini, non siamo considerati uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancor meno che le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la loro libera vita diabolica o angelica, perché noi dobbiamo subire il mondo dei cristiani, che sono di là dall’orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto. […] Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli

effetti, la ragione e la storia.199

197

C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, op., cit., p. 67. 198

Ivi, p. 68. 199 Ivi, p. 3.

Ernesto De Martino visita gli stessi luoghi ma al contrario di Levi la sua visione è molto meno buia e meno pessimista. Anche se Carlo Levi finirà per legarsi molto a queste terre e alle persone che incontrerà, soprattutto ai contadini, il suo viaggio non è volontario. Egli è obbligato a vivere in quei luoghi per diversi anni. Per De Martino la situazione è un’altra, la sua spedizione è una ricerca fortemente voluta che ha un obiettivo ultimo che è politico: documentare e portare alla luce il sapere della comunità contadina, per risollevare le sorti di un meridione che ha bisogno di interventi specifici. Prende vita così uno studio interdisciplinare per comprendere e documentare la cultura popolare dei contadini del Mezzogiorno, in cui le risposte culturalmente plasmate (come la magia, il tarantismo o il lamento funebre) sono considerate come una reazione alle situazioni-limite vissute, un tentativo di resistenza e di esserci nella storia.

Per Levi le tecniche magiche sono conoscenze che non hanno un fine veramente utile ma nemmeno dannoso. Sono considerate conoscenze arcaiche, tramandate da tempi remoti e giunte in quei luoghi da chissà dove:

La magia popolare curava un po’ tutte le malattie; e, quasi sempre, per la sola virtù di

formule e di incantesimi. Ve ne sono di particolari, specifiche per un male determinato, e di generiche. Alcune sono, a quel che credo di origine locale; appartengono ad un

corpus classico di formulari magici, capitate quaggiù chissà quando e chissà per che

vie.200

In Cristo si è fermato a Eboli la magia popolare non è vista come un istituto culturalmente plasmato e condiviso, atto a superare i momenti esistenziali più delicati della vita: la povertà, l’amore, la malattia e la morte, per citarne solo alcuni.

Scrivono a proposito Fabio Dei e Antonio Fanelli,

In effetti proprio quelle pratiche magiche che per Levi erano <<fuori dalla storia>>

per de Martino invece erano frutto di un dramma storico da cui scaturivano degli istituti

culturali ben definiti.201

Vi è un aspetto che colpisce molto in Cristo si è fermato a Eboli. L’autore scrive di un odio profondo ben radicato in queste terre. Questa cattiveria nasceva dall’ozio sperimentato dai pochi signori del paese, che la riversano verso altri signori e nella maggior parte dei casi verso i contadini.

Qui come a Grassano, come in tutti gli altri paesi della Lucania, dove i galantuomini che non hanno potuto, per incapacità o povertà, o matrimoni precoci, o interessi da tutelare, o per una qualunque necessità del destino, emigrare ai paradisi di Napoli o Roma, trasformando la propria delusione e la propria noia mortale in un furore generico,

200

C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, op., cit., p. 209. 201

in un odio senza soste, in un perenne risorgere i sentimenti antichi e in una lotta continua per affermare, contro tutti, il loro potere nel piccolo angolo di terra dove sono

costretti a vivere. 202

In paese ci restano invece gli scarti, coloro che non sanno far nulla, i difettosi nel

corpo, gli inetti, gli oziosi: la noia e l’avidità li rendono malvagi. Questa classe degenerata deve, per vivere (i piccoli poderi non rendono quasi nulla), poter dominare i contadini, e assicurarsi, in paese, i posti remunerati di maestro, di farmacista, di prete, di

maresciallo dei carabinieri, e cosi via.203

Di una cattiveria molto simile ci sembra siano vittime anche i contadini di cui scrive De Martino. L’isolamento di queste terre persiste e la vita di queste persone risulta sempre al limite fra l’uomo e l’animale, l’alfabetizzazione non era ancora giunta in questi sperduti e dimenticati luoghi. Qui la magia popolare, il lamento funebre e il tarantismo, specifico della terra del Salento, erano il modo di affrontare ciò che di difficile e sconvolgente la vita comportava..

In queste condizioni il momento magico acquista particolare rilievo, in quanto

soddisfa il bisogno di reintegrazione psicologica mediante tecniche che fermano la crisi in definiti orizzonti mitico-rituali e occultano la storicità del divenire e la

consapevolezza della responsabilità individuale, […].204

202

C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, op., cit., p. 20. 203

Ivi, p. 24. 204

Per Carlo Levi nei contadini è vivo un sentimento di comune accettazione che non è un vero e proprio atto di coscienza, << […] non si esprime a parole, ma si porta con sé in tutti i momenti, in tutti i gesti della vita, in tutti i giorni uguali che si estendono su altri deserti.>>205

Concludendo questo breve confronto fra le visioni che i due autori esprimono riguardo al Mezzogiorno italiano, la riflessione che ci sentiamo di fare è che per De Martino qualcosa è giunta oltre Eboli. In primo luogo, lui stesso, la sua équipe e l’obiettivo della sua ricerca. In secondo luogo dagli studi sul meridione di De Martino emerge che in queste terre qualcosa è sempre stato presente, e si tratta della capacità di plasmare istituti culturalmente modellati e soprattutto condivisi, il cui fine era quello di superare e arginare i rischi che scaturivano dai momenti più critici della loro vita. Vi è anche un altro elemento importante che testimonia il voler esser parte della storia dei contadini del Mezzogiorno: le persone acconsentirono a riprodurre il loro sapere davanti a De Martino e al resto dell’équipe, in quel momento i contadini furono dei testimoni del loro sapere e così acconsentendo alla ricerca, tentavano di entrare a far parte della storia.

BIBLIOGRAFIA

1. Colombetti, G. and Krueger, J. ”Scaffoldings of the Affective Mind.” Philos. Psychol. 28, 1157–1176, 2015.

2. Di Donato, R. Compagni e amici, lettere di Ernesto De Martino e

Pietro Secchia, la nuova Italia Editrice, Scandicci (Firenze), 1° edizione dicembre 1993.

3. De Martino, E. Il Mondo magico, Prolegomeni ad una storia del

magismo, introduzione di Cesare Cases, Editore Boringhieri s.p .a ., Torino, dicembre 1973, prima edizione 1948.

4. De Martino, E. Morte e pianto rituale nel mondo antico, Dal lamento

funebre antico al pianto di Maria, introduzione di Clara Gallini, Bollati Boringhieri editore, Torino, 1958, 1975, 2008 , 2018.

5. De Martino, E. La Terra del rimorso, Contributo ad una storia

religiosa del sud, il Saggiatore, S.r.l., Milano 2015. Prima edizione: il Saggiatore, Milano, 1961.

6. De Martino, E. La fine del mondo. Contributo all’analisi delle

apocalissi culturali, a cura di Clara Gallini, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, 1977.

7. De Martino, E. Sud e magia, Edizione speciale con le fotografie