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2. CONNESSIONI CON GLI STUDI CULTURALI DI ERNESTO DE

2.2. Il rischio: la crisi della presenza

Il rischio è quello di entrare in crisi e nello specifico di entrare in quell’ambito di tensione esistenziale che viene definito crisi della presenza. Questo concetto di crisi è presente in tutto il pensiero di Ernesto De Martino. Si trova una sua prima concettualizzazione ne Il Mondo magico99, in cui viene trattato il tema del dramma storico del mondo magico e introdotto il concetto di una presenza che non è ancora fissata. In questo libro l’autore parla di tribù indigene che vivendo in un mondo molto più labile del nostro e subendo il dramma di una presenza che ancora cerca di darsi, producono nella loro vita la costruzione di un istituto culturale fondato sulla magia. La guida è lo sciamano che attraverso le sue abilità porta l’intero gruppo a riappropriarsi della propria presenza. La presenza delle persone che vivevano in tribù, in quel particolare momento storico, poteva subire traumi molto facilmente. Vediamo in che modo si manifesta la crisi di una presenza:

La presenza tende a restare polarizzata in un certo contenuto, non riesce ad andare o l t r e di esso, e perciò scompare e abdica come presenza. Crolla la distinzione fra presenza e mondo che si fa presente: il soggetto, in luogo di udire o di vedere lo stormir delle foglie, diventa un albero le cui foglie sono agitate dal vento, in luogo di udire la

parola diventa la parola che ode, ecc100.

99

E. De Martino, Il mondo magico, Prolegomeni ad una storia del magismo, introduzione di Cesare Cases, Editore Boringhieri s.p .a ., Torino, dicembre 1973, prima edizione 1948.

100

Nel mondo magico noi siamo introdotti in un’epoca storica in cui l’esserci n o n è a n c o r a deciso e garantito, e in cui la difesa dal rischio di non esserci mette capo a una creazione culturale che realizza effettivamente il riscatto da questo rischio. Nel mondo magico il dramma individuale si inserisce organicamente nella cultura nel suo

complesso […]101.

.

L’istituto della magia serve a dare orizzonte culturale a questo non esserci della presenza. Osserva De Martino che, << […] per il configurarsi di questo rischio la presenza si apre al compito del suo riscatto attraverso la creazione di forme culturali definite. Per una presenza che crolla senza compenso il mondo magico non è ancora apparso; per una presenza riscattata e consolidata, che non avverte più il problema della sua labilità, il mondo magico e già scomparso>>102.

Mondo magico suscitò critiche e recensioni che De Martino scelse di

includere nell’opera a partire dalla seconda edizione (1958). Vi sono raccolti articoli e recensioni ma anche critiche, fra queste ve ne è una datata 1949 di un personaggio molto importante per De Martino, Benedetto Croce103. I due si frequenteranno assiduamente a Bari. Benedetto Croce fu maestro di Ernesto De Martino e fu proprio grazie a questa frequentazione che quest’ultimo maturò il suo pensiero storico.

101

E. De Martino, Il mondo magico, op., cit., p. 214. 102

Ivi, p. 230. 103 Ivi, p. 312.

Nelle sue opere successive De Martino ripensò il problema della presenza alla luce del problema più generale della categoria di realtà.

Scrive De Martino,

Quando ci si impone il problema della realtà dei poteri magici, si è tentati di

presupporre per ovvio che cosa si debba intendere per r e a l t à, quasi si trattasse di un concetto tranquillamente posseduto dalla mente al riparo da ogni aporia, e che il

ricercatore debba ≪ applicare ≫ o meno come predicato al soggetto del giudizio da

formulare. Ma per poco che l’indagine venga iniziata e condotta innanzi, si finisce prima o poi col rendersi conto che il problema della realtà dei poteri magici non ha per oggetto soltanto l'indagine, coinvolge non soltanto il soggetto del giudizio (i poteri

magici), ma anche la stessa categoria giudicante (il concetto di realtà)104.

Ne Il Mondo magico De Martino afferma che la nostra attuale categoria del reale non è idonea per comprendere la realtà del mondo magico, presente in quel preciso momento storico nelle vite delle tribù “primitive”. Il termine “primitive” per De Martino non assume un significato temporale ma logico. In Mondo magico egli sostiene che vi sia esistito un momento nella storia in cui la ragione non aveva raggiunto ancora determinati stadi.

104

A questo proposito Roberto Gronda osserva,

Lo storicismo etnologico demartiniano prendeva le mosse da una critica della categoria di realtà in vigore nella nostra cultura. Siamo «prigionieri di una limitazione culturale», osservava De Martino, che ci porta a dare per scontata la presenza del soggetto, l’esserci unitario della persona, la capacità del soggetto di opporsi a un

oggetto e di tenerlo fermo come qualcosa di diverso da sé105.

Nonostante ne fosse l’allievo e nonostante ne rimanga in qualche modo sempre legato, De Martino nel momento in cui non considera adatta la categoria del reale per giudicare il mondo magico, non rispetta il sistema filosofico del maestro Benedetto Croce. Per De Martino è esistito un momento storico dove vigeva l’istituzione culturale della magia, che non poteva essere compresa attraverso la categoria del reale vigente nella nostra cultura, poiché la ragione con cui noi la concepiamo o pensiamo non è ancora presente o meglio fissata nelle tribù. La categoria del reale veniva resa relativa e non più necessaria alla storia, ma dipendente da essa. Vi era stato un momento nel tempo per De Martino, in cui la presenza non aveva raggiunto uno sviluppo tale da poter concepire determinate categorie di pensiero. << Ma quando lo rilesse una seconda volta, con più calma e con un maggior distacco critico, Croce si accorse che c’era qualcosa in quel libro che lo turbava profondamente.>>106

105

R. Gronda, “Civiltà e mondo magico: Croce e De Martino.”, in “Croce e Gentile”, Enciclopedia Treccani, 2016

106

Vediamo da cosa è dato il turbamento di Benedetto Croce:

De Martino sembrava pensare che ci fosse qualcosa come un’unità precategoriale che, soltanto in un secondo momento, si specificava in diverse forme culturalmente operative. Ma Croce aveva buon gioco nel ribattere che le categorie della coscienza non andavano intese come delle aggiunte a quell’unità fondamentale, ma come quell’unità

nella sua articolazione interna107.

Su questo punto Croce aveva già insistito nella Storia come pensiero e come azione, distinguendo fra le categorie e i nostri concetti di esse e osservando che se i secondi sono sottoposti a mutamento è solo perché le prime vi sono sottratte. Vi insisteva nuovamente qui, ricordando a De Martino qualcosa che lui stesso diceva di sapere bene dal momento che in Naturalismo e storicismo nell’etnologia aveva esplicitamente

affermato che delle categorie non si fa storia108.

Dieci anni dopo De Martino sembra tornare sui passi di Croce. Sosterrà che non è possibile rendere temporale e dunque storicizzare la categoria del reale. Non esiste un momento storico in cui la presenza non è data, poiché il dramma non è più il riscatto di una presenza che cerca di esserci e di fissarsi attraverso la formazione di istituti magici culturalmente condivisi. Il vero dramma consisterebbe nel non agire della presenza, nel non riuscire a plasmare istituti culturalmente condivisi nei quali operare.

Nelle parole di De Martino c’erano dunque molte ambiguità. Ambiguità che caddero

con la pubblicazione di Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni (1953), in cui riconosceva che nel Mondo magico, pur non avendo cercato di storicizzare le

107 R. Gronda, “Civiltà e mondo magico: Croce e De Martino”, cit. 108

categorie, aveva sostenuto una tesi

l’idea per cui «nelle civiltà etnologiche non

potevano giovare per l’interpretazione le normali categorie storiografiche» – che conduceva a quella conclusione. Ma osservava anche che quella tesi poteva essere abbandonata «senza alcun danno sostanziale per la tesi storica» (E. De Martino,

Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni, «Società», 1953, 3, p. 10)109.

La critica di Croce e i suoi ripensamenti avevano portato Ernesto De Martino a reindirizzare il suo pensiero. Non cercava più di studiare il dramma della presenza che cerca di darsi attraverso le conquiste ottenute nel corso della storia e del tempo, ma il dramma importante per De Martino era quello che subentrava nel momento in cui la presenza veniva meno a queste lotte per riconquistarsi.

Rivolgiamoci ancora una volta alle parole di Gronda,

Ciò che lo interessava veramente era infatti chiarire la nozione di crisi della presenza liberandola da quella che ai suoi occhi era la vera contraddizione di quel libro. […] Di reale vi era soltanto la crisi della presenza, la possibilità storica e concreta che, in alcuni momenti particolarmente delicati della propria esistenza, l’individuo perdesse la propria

capacità di realizzarsi in forme culturali110.

Era a questo livello che la critica di Croce aveva agito in profondità, dando frutti che andavano ben oltre il richiamo alla prudenza nella storicizzazione delle categorie e che facevano sì che anche la produzione matura demartiniana, nonostante la grande attenzione riservata a tradizioni quali l’esistenzialismo, la fenomenologia, la psicoanalisi e il marxismo, rimanesse per molti aspetti all’interno di un orizzonte concettuale crociano. In primo luogo, De Martino ammetteva senza riserve l’impossibilità di operare il taglio e di separare l’unità precategoriale dalle categorie. In

109

R. Gronda, “Civiltà e mondo magico: Croce e De Martino”, cit. 110

secondo luogo, aveva ormai definitivamente abbandonato ogni tentativo (peraltro equivoco) di pensare l’inizio o l’origine del mondo umano: si era reso conto infatti che il dramma della presenza non era la storia dell’acquisizione di un possesso, ma la

vicenda del suo venire meno111.

Dalla pubblicazione di Morte e pianto rituale nel mondo antico in poi, verrà fatta valere quest’idea di presenza e di crisi. A seconda degli ambiti in cui quest’ultima può sopraggiungere si reagisce cercando di arginarla in modi diversi, anche se il rischio è lo stesso: perdere la possibilità di agire e operare, trovarsi rinchiusi nella dialettica del “devo fare” e del “non c’è più niente da fare”. Non si dà più valore al mondo intorno a noi ma si rimane intrappolati in quei momenti di crisi. << Ed invece di far passare ciò che passa (cioè di farlo passare nel valore) noi rischiamo di passare con ciò che passa>>112. In Morte e pianto e rituale nel mondo antico De Martino descrive la crisi con queste parole:

Il rischio radicale della presenza ha certamente luogo, un rischio che non è la perdita immaginaria di un’unità anteriore alle categorie, ma che ben è la perdita della stessa possibilità di mantenersi nel processo culturale, e di continuarlo e di accrescerlo con l’energia dello scegliere e operare: e poiché il rapporto che fonda la storicità della presenza è lo stesso rapporto che rende possibile la cultura, il rischio di non esserci nella storia umana si configura come un rischio di intenebrarsi nella ingens sylva della

natura113.

111 R. Gronda, “Civiltà e mondo magico: Croce e De Martino”, cit. 112

E. De Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico, op., cit., p. 20. 113

Ivi, p. 16. Il termine “ingens sylva” è un riferimento al titolo di un testo di Enzo Paci, filosofo e

La crisi della presenza per De Martino concerne l’ambito esistenziale nella misura in cui non agire, non produrre e non appartenere ad un sistema culturale ci estranea in ultimo dalla storia stessa. Non siamo nessuno, privi di orizzonti culturali in cui agire. Quando si verifica la situazione di non riuscire a far passare qualcosa e passare noi stessi con essa, si manifesta una tensione: una rottura con il presente, con il futuro e un rapporto opprimente con il passato, ovvero con ciò che in un determinato momento non è andato oltre nella valorizzazione (De Martino chiama questa valorizzazione “ethos del trascendimento”, ma lo vedremo meglio in seguito).

In altri termini la presenza che, in qualche dove della sua biografia, è passata con ciò

che passa, resta in varia misura incapace di un autentico presente, esposta al rischio di patire il ritorno insolubile di una situazione rescissa e di dover sostituire al rapporto formale con il presente storicamente determinato il rapporto senza soluzione con il passato perduto: la presenza che non ha deciso la sua storia quando doveva farlo sta ora destorificata, cioè fuori dal rapporto reale con la storia concreta del mondo culturale in

cui è chiamata continuamente ad esserci114.

Enzo Paci è anche uno degli autori il cui testo “ Il nulla e il problema dell’uomo” viene inserito,

parzialmente, da Ernesto De Martino in Mondo magico, dalla seconda pubblicazione dell’opera (1958). 114

Non siamo più in grado di dare un valore alle cose, siamo bloccati e non abbiamo prospettive d’azione davanti a noi perché qualcosa di passato ma di cui non abbiamo piena consapevolezza si fa avanti bloccando il futuro e il <<progresso del fare>>115. Per De Martino oltre alla crisi della presenza si riscontra anche quella della perdita del mondo, <<che è avvertito come strano, irrelativo, indifferente, meccanico, artificiale, teatrale, simulato, sognante, senza rilievo, inconsistente, e simili>>116. La crisi della presenza risulta essere un rischio più che reale, che implica una crisi anche del mondo in cui si vive.

Il dispiegarsi delle forze naturali ciecamente distruttive, la morte fisica della persona cara, le malattie mortali, le fasi dello sviluppo sessuale, la fame insaziata senza prospettiva, racchiudono -in date circostanze- l’esperienza acuta del conflitto fra la perentorietà di <<dover fare qualche cosa>> e il funesto patire del <<non c’è nulla da fare>>, da intendersi non già come rassegnazione morale (nel qual caso sarebbe una forza) ma come crollo esistenziale. Anche esperienze della vita associata […] aprono il varco della possibilità della crisi: si pensi al rapporto dello schiavo rispetto al padrone […] o politiche operanti senza e contro di noi con la stessa estraneità e inesorabilità

delle forze cieche della natura117.

Il mondo contadino del Mezzogiorno italiano incarna tutto questo.

115

E. De Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico, op., cit., p. 26. 116

Ivi, p. 27. 117 Ivi, p. 21-22.

Il rischio è annidato in ogni momento della vita di queste persone. Abbiamo visto il labile118 equilibrio che sottende la loro vita e l’unità della loro presenza. Il lavoro agricolo e la stagione estiva delineano un quadro esistenziale molto complesso, dove si pagano i propri debiti e se ne fanno di nuovi. Per De Martino i debiti non sono solo materiali ma sono anche esistenziali, ovvero quelli con se stessi e le situazioni esperite.

Anche noi abitanti della società moderna possiamo incappare in questo rischio, anche se risulta essere meno pericoloso e meno radicale:

In società, in cui il distacco delle condizioni naturali non va oltre la caccia e la pesca

ed alcuni strumenti litici, o in cui il regime economico si e sollevato dall’agricoltura primitiva alla zappa o alla pastorizia o all’agricoltura dell’aratro, la sfera dei momenti critici è di fatto intensissima ed amplissima appunto perché ciò che passa senza e contro l’uomo si manifesta in una misura che noi a malapena riusciamo ad immaginare, abituati come siamo all’ordine cittadino della moderna civiltà industriale. Nelle società primitive e nel mondo antico l’arco della vita individuale nel quadro della vita collettiva

è disseminato di rischi esistenziali che per noi hanno perso ogni significato119.

118

Si intende con “labile” la caducità e la fuggevolezza che caratterizzano l’equilibrio della presenza che non è in crisi, dato che il rischio di crisi si inisnua in ogni piega della vita dei contadini del Mezzogiorno. 119

Il nostro incommensurabile più alto distacco dalle condizioni naturali e l’ampiezza delle realizzazioni civili in tutti i domini e gli abitanti morali e le persuasioni razionali che ne abbiamo acquistato, ci fanno molto più preparati a superare i momenti critici dell’esistenza, patendo senza dubbio il rischio di non esserci ma non più nei modi così estremi che nella civiltà primitive e nel mondo antico minacciano di continuo la vita dei

singoli e quella della comunità120.

Noi uomini dell’età moderna viviamo momenti significativi per la nostra esistenza. La differenza sta nel fatto, per De Martino, che avendo conoscenze più sviluppate possiamo plasmare culturalmente altri modi per evitare il rischio di crisi, che non è elevato come quello delle comunità in questione.