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2. CONNESSIONI CON GLI STUDI CULTURALI DI ERNESTO DE

2.4. Il fenomeno culturale del tarantismo

Nel primo capitolo di questo studio ci siamo soffermati sulle caratteristiche del dominio sociale, così come lo teorizza Jan Slaby. La domanda del dominio e l’effetto che ha sulle persone modellano profondamente l’intera sfera della personalità. Secondo Slaby ciò che muta a causa delle disposizioni affettive relazionali del dominio è la capacità di modulare e cambiare le disposizioni individuali affettive, attuando modelli comportamentali. Il dominio sociale che in questo studio abbiamo provato a delineare è quello che struttura la vita delle persone appartenenti al mondo contadino del Mezzogiorno italiano, in un tempo non così lontano dal nostro ma allo stesso modo molto diverso, in cui attraverso il simbolismo mitico-rituale vengono plasmate e strutturate delle risposte. Una di queste risposte per noi importante è quella che plasma e dà vita al fenomeno culturale del tarantismo, specifico del territorio del Salento, per tentare di studiarlo come un fenomeno di invasione mentale, come lo teorizza Jan Slaby.

La terra del rimorso è un testo di Ernesto De Martino pubblicato nel 1961

che documenta e riporta impressioni e riflessioni della spedizione interdisciplinare avvenuta in Salento nel 1959.

Vediamo cosa tratta nello specifico La terra del rimorso:

La terra del rimorso è, in senso stretto, la Puglia in quanto area elettiva del tarantismo, cioè di un fenomeno storico-religioso nato nel medioevo protrattosi sino al ‘700 e oltre, sino agli attuali relitti ancora utilmente osservabili nella Penisola Salentina. Si tratta di una formazione religiosa <<minore>> prevalentemente contadina […]. In un senso più ampio la terra del rimorso, cioè la terra del cattivo passato che torna e rigurgita e opprime con il suo rigurgito, è l’Italia meridionale, o più esattamente le

campagne di quel che fu l’antico regno di Napoli […]131

.

Il fenomeno del tarantismo studiato da De Martino e la sua équipe, nonostante sia un fenomeno locale, non è isolato ma è studiato nella sua genesi e nel suo mantenersi in epoca cristiana. <<La terra del rimorso è il nostro stesso pianeta, o almeno quella parte di esso che è entrato nel cono d’ombra del suo cattivo passato>>132

.

Non si tratta dello studio fine a se stesso di una vicenda che aveva preso piede nel territorio circoscrivibile del Salento, ma si trattava di studiare il tarantismo come co-formazione di un sistema complesso, unico e integrato, strutturato in comportamenti mitico-rituali condivisi e sentiti dalla comunità. Questi comportamenti costituivano, almeno nella maggior parte dei casi osservati nel’59, il modo di dare orizzonte al malessere di coloro che durante i mesi della stagione estiva manifestavano i sintomi di chi ha subito il primo morso del ragno che avvelena, la taranta.

131

E. De Martino, La terra del rimorso, op., cit., p. 35 . 132 Ivi, p. 36.

Ogni anno la crisi del morso si ripete e si cerca di arginarla attraverso un esorcismo coreutico-musicale, fatto di danze, musiche e colori, che assume forme istituzionalizzate e condivise dall’intera collettività contadina. Il morso del ragno non è una situazione reale, ovvero non è un caso di latrodectismo133, non è un vero morso a far entrare in crisi tossica di avvelenamento la persona.

[…] così, nei casi in cui il latrodectismo non era sicuramente in atto, la crisi del tarantismo imitava più o meno grossolanamente la sindrome tossica del latrodectismo, proprio come se il modello culturale di colui che <<fa>> l’avvelenato fosse stato

ricalcato per quanto possibile su quello del latrodectismo reale134.

I sintomi che manifestavano si richiamavano a casi di avvelenamento reale. Le stesse persone che venivano intervistate dall’équipe, classificati come tarantati, parlavano di un primo morso subito molti anni prima in situazioni che avevano spesso come sfondo il mondo agricolo, quello del raccolto e di lavorazione dei campi: <<pizzicata nella vigna, pizzicata dopo aver visto uccidere una serpe, pizzicata mentre era seduta nell’aia, con un ramo di ceci in mano>>135.

133

In medicina, è il complesso dei fenomeni morbosi prodotti dalla puntura di alcuni ragni del genere latrodecte, i cui veleni possono provocare vari disturbi nervosi.

134

E. De Martino, La terra del rimorso, op., cit., p. 72. 135

Il morso poteva essere subito anche in situazioni significative della vita quotidiana, <<pizzicata dopo la morte del padre, pizzicata per aver recato offesa a San Paolo. >> 136.Inoltre, nel periodo estivo insetti e in particolar modo aracnidi convivevano insieme ai contadini nei campi di lavoro.

La caduta al suolo, il senso di spossatezza, l’angoscia, lo stato di agitazione

psicomotoria con obnubilamento del sensorio, la difficoltà di mantenersi in piedi, il mal di stomaco, la nausea e il vomito, le varie parestesie e i dolori muscolari, l’esaltazione dell’appetito venereo figuravano nel momento della crisi del tarantismo anche nei casi - ed erano la grande maggioranza - in cui per altri segni si poteva escludere con certezza che si trattasse di latrodectismo in atto: ne risultava un’immagine di avvelenato che

poteva trarre in inganno il non - medico137.

Il tarantismo non poteva essere ridotto ad un fenomeno di tipo biologico (latrodectismo). Nei casi documentati dall’équipe le situazioni di “primo morso” che aumentavano la credibilità della possibilità di un vero morso di ragno (escluso il caso di Pietro di Nardò, unico ad aver subito realmente un episodio di ladrodectismo) facevano riferimento ad un morso che era simbolico, vissuto in situazioni-limite. La taranta assume dunque un autonomia simbolica tale da permettere l’insorgenza della crisi tossica dell’avvelenato in determinati momenti critici << […] - come la fatica, in occasione del raccolto, la crisi della pubertà, la morte di qualche persona

136

E. De Martino, La terra del rimorso, op., cit., p. 398. 137 Ivi, p. 73.

cara, un amore infelice o un matrimonio sfortunato, la condizione di dipendenza della donna, i vari conflitti familiari, la miseria e la fame e le più svariate malattie organiche - […].>>138. La crisi si plasmava sul modello simbolico della taranta, che morde e avvelena , mediante l’orizzonte mitico-rituale che comporta l’esorcismo attraverso la musica, la danza e i colori, cercava così di farla defluire. La taranta configura e fa defluire la crisi di colui che subisce l’avvelenamento culturalmente modellato.

La causa di questi sintomi dovuti all’avvelenamento viene ricondotta al rischio che il passato che non è passato ritorni, innestandosi sul presente della persona, imprigionandola in un’immobilità che non dà possibilità di orizzonti futuri d’azione; la crisi della presenza. Per De Martino la reazione a questo rischio è il fenomeno culturale del tarantismo, che come dimostrato nei suoi studi non può essere semplicemente ridotto a malattia psichica.

Nella prospettiva dell’analisi culturale il tarantismo non si manifestava come disordine psichico, ma come ordine simbolico culturalmente condizionato (l’esorcismo della musica, della danza e dei colori) nel quale trovava soluzione una crisi nevrotica anch’essa culturalmente modellata (il comportamento dell’avvelenato).La crisi nevrotica poteva apparire legata all’occasione di reale episodio di latrodectismo o ad altre malattie organiche, ma ciò che costituiva il tarantismo era l’autonomia del suo simbolo che dava orizzonte a conflitti psichici irrisolti e latenti nell’inconscio. Molto più spesso la crisi cercava per così dire l’occasione approfittando magari di una

situazione di <<morso possibile>> (raccolto dei frutti estivi, dormire nel campo ect.) o addirittura non salvava neanche questa parvenza di credibilità tanto era il suo bisogno

prepotente di scatenarsi139.

Il tarantismo non era riducibile alla manifestazione di una patologia di tipo psichico, esso era una disposizione affettiva che modula nel suo svolgimento il rischio di perdere la propria presenza, creando sintonizzazione e abitudine a stili affettivi e modelli d’interazione presenti in quel dominio. Quando si riconosce il tarantismo come una struttura culturalmente coerente, accettata e condivisa dalla comunità, si scorge l’orizzonte mitico-rituale fatto di una tradizione culturale tipicamente contadina. In alcuni casi era possibile identificare il tarantato come un soggetto malato, ma non era il tarantismo la patologia. Il fenomeno del tarantismo aveva la funzione di plasmare una risposta alla malattia attraverso un suo proprio modellamento, con regole proprie e sistemi culturalmente condivisi. << […], una sua propria regola culturalmente funzionante dell’abnorme e del normale, del dannoso e dell’efficace, del critico e del risolutivo. >>140

Il dispositivo di evocazione e di deflusso, cioè l’esorcismo in azione, poteva non funzionare: ma il dispositivo come tale non era una <<malattia>>, ma uno strumento di reintegrazione, un ordine tradizionalizzato di possibili efficacie simboliche, che

139

E. De Martino, La terra del rimorso, op., cit., p. 77-78. 140

disciplinava la crisi, le assegnava luoghi, tempi e modi determinati e si sforzava di

ricondurla verso un nuovo equilibrio141.

Il tarantismo non è dunque riducibile ad un fenomeno né biologico, né psicopatologico. Esso risulta essere prettamente culturale, era un ordine simbolico culturalmente condizionato, fortemente pervasivo e funzionale nel configurare e far defluire la crisi.

Analizziamo ora nello specifico gli aspetti più importanti del tarantismo. Durante i primi periodi estivi si manifestava nella persona (appartenente alla classe contadina) un forte malessere: inappetenza, spossatezza, dolori forti agli arti, nausea. Spesso la famiglia o coloro che si occupavano del soggetto malato non giungevano subito alla diagnosi di tarantismo, ma si arrivava a questa conclusione quando il soggetto in questione non rispondendo a nessuna cura e non essendo nemmeno in grado di comunicare la propria sofferenza (uno stato molto simile alla catatonia e all’inerzia) era però reattivo allo stimolo di alcuni suoni. Veniva quindi incaricata sotto compenso economico un’orchestrina che si recava nella casa del malato in questione. Questa iniziava a suonare vari tipi di musica fino a quando non si vedeva una reazione fisica nel soggetto. Una volta ottenuta la prima reazione si poteva dire che quella persona era tarantata

141

poiché reagiva al ballo del piccolo ragno, la tarantella, che in passato l’aveva morsa.

Inizia un vero e proprio rituale di esorcismo coreutico-musicale.

Pertanto il piano tradizionale di comportamenti incluso quello del tarantismo prevede che un’orchestrina si porti presso il tarantato inerte e inizi un’esplorazione musicale per definire la musica <<giusta>>, cioè quella della taranta in causa; sarà giusta la musica che farà scazzicare, il tarantato, ma secondo i modi del rito, cioè abbandonando lo stato di inerzia e piegando l’agitazione psicomotoria nel ritmo della musica e nelle figure di danza, al tempo stesso si provvede a offrire al tarantato sotto forma di nastri colorati – i colori <<giusti>> cioè quelli della taranta che lo ha morso: e saranno giusti quei colori che faranno scazzicare, il tarantato in una vicenda di repulsioni e di attrazioni, di scariche aggressive e di idoleggiamenti ma ancora una volta nel quadro di un ordine

cerimoniale definito dell’esorcismo in azione142

.

Il verbo “scazzicare”, spiega De Martino ha un vario impiego semantico. Vuol dire sollevare, rimuovere un peso materiale ma <<nell’ordine psichico e psicosomatico denota una stimolazione abnorme e irresistibile degli affetti e dei bisogni corporei, un loro indomabile stuzzicamento e scatenamento>>143. Il soggetto definito tarantato inizia il ballo della tarantella con mosse nevrotiche e frenetiche, uscendo almeno per il momento da una situazione di catatonia per entrare in uno stato di frenesia di movimento. La stanza viene precedentemente allestita. Vi è di solito un

142

E. De Martino, La terra del rimorso, op., cit., p. 85. 143

lenzuolo steso a terra con degli oggetti colorati sparsi sopra, questo è il perimetro cerimoniale entro il quale la persona tarantata può muoversi, ballare o sdraiarsi.

Per delineare lo scenario del rito, ovvero il perimetro cerimoniale della danza, un ampio lenzuolo disteso su coperte copriva il pavimento del vano, e sul lenzuolo, in un angolo, un cestino per la raccolta delle offerte, e immagini di san Paolo e san Pietro in

colori vistosi144.

Il tarantato balla fino a quando, stremato da quei movimenti, si accascia a terra come se si riposasse dopo aver provato a uccidere il ragno che lo ha morso. Questo schema formato da danze frenetiche e momenti di riposo si ripete fino a quando il tarantato sente di aver ricevuto la grazia da parte di San Paolo, il santo delle tarante. Solo il soggetto può udire le parole del Santo.

Infatti per far <<crepare>> o <<schiacciare>> la taranta occorre soprattutto mimare la danza del piccolo ragno, cioè la tarantella: occorre cioè danzare col ragno, essere anzi lo stesso ragno che danza, secondo un’irresistibile identificazione; ma al tempo stesso occorre far valere un momento più propriamente agonistico, cioè il sovrapporre e imporre il proprio ritmo coreutico a quello del ragno, costringere il ragno a danzare sino a stancarlo, inseguirlo fuggendo davanti al piede che incalza, o schiacciarlo o

calpestarlo col piede che percuote violentemente il suolo al ritmo della tarantella145.

144

E. De Martino, La terra del rimorso, op., cit., p. 87. 145

Per la festa di San Paolo il 28 e il 29 di giugno, coloro che hanno ricevuto la grazia si dovevano recare alla chiesa di Galatina per ripetere in forma ridotta il rito svolto nelle proprie case e versare le offerte raccolte durante le danze. Infine occorreva bere l’acqua del pozzo della chiesa di Galatina considerata miracolata, perché in grado di buttare fuori il male della taranta. Ogni anno tutto il procedimento si ripete dando orizzonti a chi versa in uno stato di crisi.

Scrive De Martino:

La taranta insinua nella vene un veleno che dura finché la taranta vive o è estinta la sua discendenza: morde nella stagione estiva, ma è possibile che il morso patito in un ‘estate << ri-morda>> nell’estate successiva, il che significa che la taranta non è ancora <<crepata>>, o che ha trasmesso la sua funesta eredità a sorelle, figli e nipoti. Ma il simbolo della taranta non esaurisce la sua funzione nel configurare; esso fa defluire e

risolve quanto viene configurato146.

Taranta, morso, veleno hanno dunque nel tarantismo un significato simbolico: danno orizzonte a pulsioni inconsce e alle reazioni che esse suscitano nella coscienza individuale. In questo orizzonte taranta, morso, veleno, entrano in una serie di rapporti tra di loro e con altre determinazioni, sino a comporsi in un quadro che possiede - sempre sul piano della logica simbolica - la sua propria coerenza. Innanzi tutto la taranta, per assolvere la sua funzione di simbolo, deve evocare e configurare, far

rivivere e far defluire la oscure sollecitazioni dell’inconscio che rischiano di

sommergere la coscienza con la loro cifrata indominabilità147.

L’intensa dinamica transpersonale dell’affettività (vedi cap.1) potrebbe essere utilizzata per fare luce su quel mondo culturale che si plasma reagendo al rischio di crisi della presenza. La dinamica affettiva che lega gli agenti fra loro ma li ancora anche al loro ambiente è costituita da tre momenti strettamente interconnessi. Uno di questi momenti è dato dagli episodi occasionali di situazioni che colpiscono e sono a loro volta colpite. L’altro momento è formato dalle disposizioni affettive individuali, intese come le capacità di una persona di risonanza affettiva in modi specifici. Infine la terza situazione ha a che fare con i modelli d’istituzione sociale e d’affettività inerente al dominio, ovvero il particolare clima affettivo o modalità predefinite di relazioni affettive che caratterizzano un determinato luogo. Le disposizioni affettive individuali plasmate su quelle del dominio sociale sono istituzionalizzate e assumono valore per l’intera collettività, che le ripete tramandandole e inserendole nella sua tradizione, creando sintonizzazione e abitudine agli stili affettivi e ai modelli di interazione presenti nel dominio sociale.

147

Il tarantismo è dunque un fenomeno culturale, che può anche essere studiato come fenomeno di invasione mentale riprodotto e ripetuto negli anni e nelle generazioni. Esso modula e crea abitudine a determinati stili affettivi situati, creando sintonizzazione. Nel tarantismo l’esser colpiti da una situazione di cui non abbiamo una chiara consapevolezza, vuol dire essere morsi o meglio ri-morsi. L’esser dentro ad un dominio sociale e attuarne le regole vuol dire aderire e far proprio quel complesso sistema culturale condiviso fatto di orizzonti mitico-rituali e esorcismi coreutici- musicali che infine indurranno la persona, che li attua e che li vive, a essere incline a provare determinate disposizioni affettive. Queste nel tarantismo mirano a arginare e superare il rischio di una crisi della presenza. Lo stesso simbolismo stagionale può essere inteso come impalcatura affettiva situata dato che plasma e modella gli stili affettivi di chi la vive, inducendo solo in quel preciso periodo il rischio della crisi.

In virtù del simbolismo stagionale le crisi individuali potenzialmente disseminate in qualsiasi momento del tempo venivano tendenzialmente raccolte e concentrate in un’epoca elettiva di insorgenza, dove trovavano tutto un sistema simbolico che, col consenso e col soccorso della società, era pronto ad entrare in azione e a svolgere la sua

efficacia risolutiva148.

148

Le risposte a questa disposizione sono dinamiche che strutturano un sistema culturale situato e invasivo condiviso dall’intero dominio sociale e assunto a modalità di cura di questa crisi. Una volta compiuto il rituale coreutico-musicale il tarantato sarà incline a provare determinati stati affettivi, nello specifico a superare lo stato di crisi in cui la presenza versava. Essa torna padrona e consapevole del suo agire. La ripetizione annuale di tutto il fenomeno che ha luogo ogni estate tra il mese di maggio e quello di giugno può essere portato a riprova della potente pervasività di tutto il sistema culturale del tarantismo. In alcuni dei casi documentati dall’équipe ci sono donne tarantate da ben quarant’anni. Il primo morso ha di solito luogo in età adolescenziale o comunque giovanile dove si è più vulnerabili verso le sue situazioni esterne e si può essere gravemente colpiti da qualche evento senza rendersene conto. Questa inconsapevolezza non

permetteva una risoluzione al conflitto scatenato dalla situazione. Il momento di avvelenamento da primo morso sopraggiungerà anche nei

figli e nei nipoti.

Anche il tema simbolico del morso che torna in successive stagioni rituali acquista qui

il suo significato di ordine culturale chiamato a disciplinare un <<ritorno>> che altrimenti potrebbe esplodere in un qualsiasi momento del tempo, assumendo tutti

caratteri antisociali della crisi individuale senza orizzonte149.

149

Proponiamo adesso un confronto tra l’utilizzazione di dispositivi simbolici nel fenomeno del tarantismo e il fenomeno del “caso della borsetta” di Colombetti e kruger citato da Jan Slaby, in cui una persona riempie la propria borsa di oggetti atti a creare un nicchia ambientale affettiva che riproduce situazioni sicure e favorevoli nel tempo. Slaby ha dimostrato come il “caso della borsetta” abbia come sfondo il modello utente–risorsa, considerato inadatto per lo studio dell’affettività. Nel tarantismo i protagonisti di questi rituali usano dei dispositivi: l’allestimento della stanza, il lenzuolo per il perimetro cerimoniale, le immagini con i santi Pietro e Paolo, i nastri colorati, la musica, in alcuni casi anche degli aromi e tanti altri oggetti. Questo può dare l’idea che vi sia controllo da parte degli agenti, qualcosa di molto simile al “caso della borsetta”, dove i dispositivi d’induzione vengono scelti da chi riempie la borsa. Secondo il nostro studio la differenza consiste nel fatto che i dispositivi mitico-rituali utilizzati nel tarantismo avevano un riconoscimento collettivo ed erano condivisi dalla comunità. È questo che li rende culturali per De Martino. Nel “caso della borsetta” non è detto che gli oggetti con cui la si riempie