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Milton e Hobbes a confronto

1. Le cause della guerra civile inglese

Mettere a fuoco le cause che hanno condotto allo scoppio della cosiddetta prima rivoluzione inglese a metà Seicento non è compito facile nemmeno !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

482 Segnaliamo qui un saggio molto importante sullo statuto del ‘re’ in alcuni pamphlets

inglesi del periodo della guerra civile inglese, che contiene alcune interessanti indicazioni anche sul rapporto Hobbes-Milton: J. RAYMOND, The King is a Thing, in Milton and the

Terms of Liberty, cit., pp. 69-94. Su argomenti affini si veda anche R. ZALLER, Breaking the Vessels: the Desacralization of Monarchy in Early Modern England, «Sixteenth Centu-

per diretti osservatori come Milton e Hobbes. Certamente, come si è già avuto modo di ricordare, gli scontri civili compresi tra gli anni 1642 e 1649 non sono riconducibili ad un’unica causa, bensì piuttosto ad un concorso di cause. Né Hobbes né Milton, ad esempio, si sono accorti dell’importanza del ruolo giocato dai fattori economici, come la formazione di una nuova classe di commercianti, nel creare una situazione di instabilità e di frattura che ha condotto alla guerra civile483. Nelle loro riflessioni sulla guerra civi- le, un punto in comune, probabilmente il più significativo, è l’accusa nei confronti dei presbiteriani. Entrambi gli autori, seppur in diversa misura e per diverse motivazioni, identificano questo gruppo come colpevole di aver favorito, se non addirittura provocato, gli scontri all’interno del regno bri- tannico. Secondo Milton, come già ampiamente sviluppato nel Tenure of Kings and Magistrates, i presbiteriani sono colpevoli di aver tradito la rivo- luzione dopo aver abbracciato inizialmente la causa antimonarchica; Hob- bes, a sua volta, li considera colpevoli di aver fomentato la ribellione predi- cando a favore della disobbedienza. Una delle principali colpe dei presbite- riani, a parere di Milton, è quella di aver perseguito la via delle negoziazioni con un sovrano ormai incorreggibile piuttosto che occuparsi della sua puni- zione e riformare lo stato. Per i presbiteriani, la logica dell’opposizione alla politica regale non include assolutamente la condanna e l’esecuzione del re; essi mirano piuttosto a raggiungere un accordo con il Lungo Parlamento per restaurare Carlo I, anche se con poteri ridotti484. Per Milton, invece, il tiran- nicidio – non il regicidio, beninteso – costituisce l’esito logico dell’opposizione e della resistenza ad un monarca che si è mostrato inguari- bile nel suo malgoverno. Dal suo punto di vista, quindi, Milton considera inaccettabile l’incoerenza dei presbiteriani e li critica aspramente per aver sostenuto inizialmente la resistenza al sovrano, salvo poi retrocedere e di- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

483 Questo è auggerito da D. WOLFE, Hobbes and Milton: a Contrast in Social Temper,

«Studies in Philology», LXI, 1944, 3, p. 412.

484 Su questo punto cfr. J. SANDERSON, ‘But the People’s Creatures’. The Philosophical

fendere la causa monarchica. È vero che, almeno teoricamente, i presbite- riani inglesi sono vincolati dall’articolo III del Solemn League and Cove- nant485, accordo siglato con gli scozzesi nel 1643, a preservare la persona e l’autorità del re; tuttavia, Milton resta convinto che i presbiteriani, in realtà, siano sciolti da questo accordo per il fatto che il sovrano ha commesso nuo- vi crimini ai danni del popolo – crimini che invalidano il patto486. In un pas- so della Prima Difesa, in risposta a Saumaise, Milton affronta la questione della corretta interpretazione del Solemn League and Covenant:

Anglos et Scotos quod aïs solenni conventione promisisse, se regis majestatem conservaturos, omittis quibus id conditionibus promiserint; si

salva nimirum religione et libertate id fieri posset: quibus utrisque ad extremum usque spiritum iniquus adeo et insidiosus rex iste erat, ut, vivente illo, et religionem periclitaturam, et libertatem interituram esse facile appareret487.

Se, da un lato, i presbiteriani hanno giurato, con la firma dell’accordo, di preservare l’autorità regale e la persona del re, dall’altro lato, sostiene Mil- ton, occorre valutare a quali condizioni la loro promessa sia da considerarsi valida e vincolante. Certamente, essi non possono rinunciare alla loro reli- gione né mettere a repentaglio la loro libertà; perciò, devono, a buon diritto, ritenersi svincolati dall’accordo, viste le azioni ostili e minacciose del re nei

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485 Il Solemn League and Covenant è un accordo siglato il 25 settembre 1643 tra il Parla-

mento inglese e i Covenanters scozzesi, il gruppo presbiteriano scozzese composto dagli aderenti al National Covenant del 1638. L’accordo è duplice: oltre ad essere un accordo religioso, esso costituisce anche una lega militare; il fine primario della sua istituzione è quello di contrastare e superare i monarchici, che nel 1643 sembrano avvantaggiati nella vittoria della guerra civile.

486 Si veda anche E. SIRLUCK, Milton’s Political Thought: the First Cycle, «Modern Phi-

lology», LXI, 1964, 3, p. 212.

487 Defensio Prima, cap. X, pp. 496-98; trad. it.: «Quando dici che gli inglesi e gli scozzesi

hanno promesso in solenne assemblea di preservare la maestà del re, tralasci a quali

condizioni l’hanno promesso; ovviamente, a patto che fosse possibile farlo mantenendo salve la religione e la libertà; ma questo re, fino all’ultimo respiro, era a tal punto iniquo e maldisposto verso entrambe che, se fosse vissuto, era piuttosto evidente che la religione sarebbe andata in rovina e la libertà sarebbe morta».

confronti di tutti i suoi sudditi. I parlamentari presbiteriani hanno, quindi, preferito rispettare un accordo che ormai era da ritenersi nullo, piuttosto che preoccuparsi della difesa dei cittadini dalle azioni scellerate del sovrano488. Anzi, il rifiuto, ancor più che l’incapacità, dei presbiteriani di riconoscere nella cattiva condotta di Carlo I i sintomi della sua tirannide nasconde, se- condo Milton, una preoccupante forma di schiavitù alla forma letterale e sterile della legge489.

Al pari di Milton, anche Hobbes critica i presbiteriani. Come è emerso dall’analisi del Behemoth, i presbiteriani sono annoverati tra le categorie dei seduttori del popolo. La prima critica ai presbiteriani riguarda la loro ripro- vevole condotta durante il periodo della guerra civile. La loro iniziale oppo- sizione alle politiche monarchiche, di per sé non contestata da Milton, viene interpretata da Hobbes come una probabile causa della guerra civile. Questo perché, agli occhi di Hobbes, un atto di opposizione al sovrano costituisce, di fatto, un tentativo di ribellione490. La vera colpa dei presbiteriani è, dun- que, il fatto di aver predicato la sedizione e di aver incitato il popolo alla ribellione. L’istigazione alla sedizione è un elemento che anche Milton sot- tolinea nel suo Tenure of Kings and Magistrates, dove i presbiteriani sono chiamati, senza mezzi termini, «ministri di sedizione»491. Nel Behemoth i presbiteriani, bollati come «empi ipocriti» e «crudeli»492, costituiscono il

bersaglio delle critiche hobbesiane per varie ragioni:

Per i presbiteriani, credere in Cristo non significa nulla, a meno che non si creda in ciò che essi vi ordinano di credere. Né significa nulla la carità, a meno che non si sia caritatevoli e generosi nei loro confronti, e non si par- teggi per la loro fazione. […] La sediziosa dottrina dei presbiteriani s’è im- pressa così profondamente nelle teste e nelle memorie del popolo (non posso

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488 Cfr. anche Defensio Prima, cap. XII, p. 524.

489 Questo è suggerito da M. NEUFELD, Doing without Precedent: Applied Typology and

the Execution of Charles I in Milton’s Tenure of Kings and Magistrates, cit., p. 337.

490 Si veda la voce «Presbyterians» contenuta in The Bloomsbury Companion to Hobbes, a

cura di S.A. Lloyd, Bloomsbury Academic, Londra 2012, p. 251.

491 TKM, p. 61.

dire nei cuori, perché l’unica cosa che capiscono di tale dottrina è che posso- no legittimamente ribellarsi), che – temo – mai lo stato potrà essere sana- to493.

Come si evince da questo passo, i presbiteriani desiderano imporre esclusi- vamente la loro visione. Predicano la carità e il sentimento religioso, ma so- no mossi unicamente dal desiderio di avere seguaci che rafforzino le loro fila. Sono opportunisti e scaltri nel nascondere le loro reali intenzioni di im- possessarsi del potere494; inoltre, sono particolarmente pericolosi perché

hanno contribuito a sdoganare l’idea che ci si possa legittimamente ribellare al potere sovrano.

Oltre ai presbiteriani, Hobbes attacca anche gli indipendenti, l’altro gruppo forte e numericamente rilevante presente nel Lungo Parlamento495. Hobbes individua una differenza fondamentale tra le intenzioni dei presbite- riani e quelle degli indipendenti per quanto concerne il destino del monarca. Se i primi mirano alla subordinazione del re, i secondi puntano, invece, alla sua completa distruzione:

C’erano, infatti, nel Lungo Parlamento due fazioni, presbiteriani e indipen- denti: i primi cercavano solo di assoggettare il re, e non avevano come scopo diretto quello di distruggerlo; i secondi, invece, volevano proprio distrugger- lo, ed è quest’ultima parte del Lungo Parlamento che si chiama Rump496.

Dalla prospettiva di Hobbes, i presbiteriani, nella loro opposizione al re, si comportano in modo ingiusto e, tuttavia, è ancora più grave e oltraggioso l’obiettivo degli indipendenti, che, non paghi della subordinazione regale, intendono proseguire le ostilità fino alla messa a morte del sovrano. In que- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

493 Behemoth, I, p. 67.

494 Cfr. Behemoth, II, p. 80: «Il vero intendimento dei parlamentari era che non il re ma loro

stessi avessero il governo assoluto, non solo d’Inghilterra, ma d’Irlanda, e, come gli eventi finirono col dimostrare, anche di Scozia».

495 Su questo tema si veda il saggio di J. SOMMERVILLE, Hobbes and Independency,

«Rivista di storia della filosofia», LIX, 2004, 1, pp. 155-73.

sto senso, distruggere il re e abbattere la monarchia sono intenti decisamente più pericolosi e preoccupanti per la continuità dello stato.

Per quanto riguarda il giudizio sugli indipendenti, non può che essere diversa l’opinione di Milton, appartenente alla fazione degli indipendenti. In un passo della sua Defensio Prima è possibile ravvisare un’aperta difesa de- gli indipendenti. In questo luogo Milton spiega che, contrariamente alle altre fazioni, solamente nella condotta degli indipendenti si può rinvenire una certa coerenza di fondo:

Soli Independentes qui vocantur, et ad ultimum sibi constare, et sua uti victoria sciebant: qui ex rege hostem se fecerat, eum ex hoste regem esse amplius, sapienter, meo quidem judicio, nolebant: neque pacem idcirco non volebant, sed involutum pacis nomine aut bellum novum, aut æternam servitutem prudentes metuebant497.

Gli indipendenti sembrano essere gli unici ad aver mantenuto un atteggia- mento coerente prima e dopo lo scoppio della guerra civile. A differenza dei presbiteriani, rei di aver cambiato condotta, gli indipendenti hanno mante- nuto fede alle loro convinzioni. Anzi, dal punto di vista di Milton, il presup- posto che muove gli indipendenti è non soltanto condivisibile, ma anche saggio, poiché il sovrano, essendo divenuto nemico dello stato, non può più essere legittimamente considerato ‘re’ e, quindi, può essere giustamente osteggiato.

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Quando Hobbes ragiona delle cause della guerra civile inglese, si trova co- stretto anche a ricordare il pericolo effettivo costituito, indirettamente, dagli !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

497 Defensio Prima, cap. X, p. 496; trad. it.: «Soltanto i cosiddetti Indipendenti sapevano

mantenersi saldi fino all’ultimo e mettere a frutto la propria vittoria; essi non volevano più che colui che da re si era fatto nemico tornasse ad essere da nemico re – e giustamente, a mio giudizio; e non è che per questo non volessero la pace, ma saggiamente temevano una nuova guerra mascherata da pace o un’eterna schiavitù».

autori greci e latini e, più direttamente, da tutti i politici e parlamentari im- bevuti di cultura classica, che sui testi degli autori antichi si sono formati. In questo caso, si evidenzia una profonda distanza dalla posizione di Milton, per il quale i Greci e i Romani costituiscono un esempio positivo e un mo- dello da seguire. Hobbes critica gli autori antichi, poiché li considera colpe- voli di aver condizionato i lettori diffondendo una serie di opinioni false contro la monarchia. I Romani erano soliti parlare dei re come di bestie fe- roci, ma Hobbes ribalta la prospettiva, spiegando che le vere belve erano proprio i cittadini romani. Si legga l’incipit dell’epistola dedicatoria del De Cive a William Cavendish, conte del Devonshire:

Il popolo romano, ostile ai re per il ricordo dei Tarquini e per l’ordinamento dello Stato, teneva per massima (mio eccellentissimo signore), pronunciata per bocca di Marco Catone il Censore, che tutti i re appartenessero al genere delle belve feroci. Ma quale belva era lo stesso popolo romano, che aveva depredato quasi tutto il mondo?498

L’ostilità marcata nei confronti dei re tipica del popolo romano è dal punto di vista di Hobbes inaccettabile, poiché da essa derivano dottrine false e no- cive. Lo stesso tirannicidio è stato favorito dalla lettura delle opere greche e latine, che hanno veicolato anche una falsa idea di libertà. Contrariamente a Hobbes, Milton sostiene in più occasioni l’importanza degli esempi tratti dall’antichità greca e latina, che possono risultare profondamente stimolanti anche per i tempi moderni. Da questo punto di vista, i Greci e i Romani so- no da elogiare per numerose ragioni: in primo luogo, sono popoli liberi che non tollerano i governi tirannici; in secondo luogo, godono della possibilità di revocare il potere ad un cattivo governante; infine, preferiscono un go- verno aristocratico o popolare ad un governo monarchico.

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I Greci e i Romani reputano il tirannicidio non soltanto un atto legit- timo, ma un atto meritorio. Come afferma Milton nel Tenure of Kings and Magistrates:

I Greci e i Romani, come testimoniano i loro autori più rilevanti, considera- vano atto non solo legittimo ma glorioso ed eroico, pubblicamente ricom- pensato con statue e ghirlande, uccidere in qualsiasi momento, senza proces- so, un tiranno infame, ragionando che a chi calpestava ogni legge i benefici della legge non andavano concessi499.

In questo passo Milton spiega che gli antichi Greci e Romani non ritengono giusto né ammissibile concedere i benefici della legge ad un tiranno e, più in generale, ad un governante che si dimostra incurante del rispetto della legge. Essi considerano glorioso il tirannicidio, poiché comporta la liberazione dai soprusi di un cattivo governante. Per questo motivo, scrive Milton, «Livio loda i Romani che colsero contro Tarquinio, principe malvagio, l’occasione di conquistare la libertà»500. Nella Prima Difesa Milton, richiamandosi a Sozomeno, uno scrittore di storia ecclesiastica del V secolo d.C., elogia i greci per essere stati ‘tirannicidi’, uccisori di tiranni, e per aver procurato la libertà di tutti501. Attraverso l’uccisione del tiranno, essi hanno recuperato la libertà a vantaggio dell’intera nazione e per questo sono degni di elogio.

A proposito della possibilità appartenente al popolo di revocare il po- tere all’autorità sovrana, Milton si avvale ancora di un esempio tratto dall’antichità e nella Prima Difesa spiega che il popolo romano ha trasferito al magistrato il potere di governare secondo la legge e, qualora la legge non venga rispettata, il popolo ha previsto la possibilità di recuperare quello stesso potere:

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499TKM, p. 31. Su un tema affine si veda anche Defensio Prima, cap. V, p. 328.

500 TKM, p. 26. Nella fase monarchica della storia di Roma la riconquista della libertà da

parte del popolo avviene giustamente sotto il malgoverno di Tarquinio il Superbo e non piuttosto sotto il governo di Numa Pompilio o di altri re buoni.

501 Defensio Prima, cap. IV, p. 254. Sull’uso di Sozomeno e, più in generale, dei Padri della

Chiesa nelle opere miltoniane si veda il saggio di J.P. PRITCHARD, The Fathers of the

Quod igitur legitime, et volente populo concessum non est, id revocabile quin sit non dubitamus. Veruntamen rationi maxime consentaneum est, populum Romanum non aliam potestatem transtulisse in principem, atque prius concesserat suis magistratibus; id est imperium legitimum et revocabile, non tyrannicum et absurdum502.

Questo esempio è utile a mostrare che la cessione del diritto da parte dei sudditi ad un magistrato o ad un re deve servire per istituire un potere giusto e legittimo, non per instaurare un governo tirannico. Nel passo in esame Milton specifica che l’imperium istituito dal popolo romano è anche revoca- bile. Al pari di quanto emerge nel Tenure of Kings and Magistrates503, la possibilità di recuperare il potere da parte del popolo viene anche qui in primo piano e l’esempio dei Romani lo evidenzia in modo inequivocabile.

Infine, nella sua Defensio Prima Milton consiglia di guardare alle na- zioni più sagge che hanno preferito un governo popolare o aristocratico ri- spetto ad uno monarchico504. In un passo della Difesa Milton elogia gli an- tenati inglesi per aver fondato lo stato sul modello degli antichi Greci e Ro- mani:

Neque possum hic non gratulari mihi de majoribus nostris, qui non minore prudentia ac libertate, quam Romani olim, aut Græcorum præstantissimi, hanc rempublicam instituerunt; neque poterunt illi, siquid nostrarum rerum sentiunt, non sibi etiam gratulari de posteris suis; qui tam sapienter institutam, tanta libertate fundatam ab impotenti regis dominatione, cum

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502 Defensio Prima, cap. VI, p. 364; trad. it.: «Ciò che, dunque, non è stato concesso

legittimamente e con il consenso del popolo non c’è dubbio che sia revocabile. Ma è tuttavia perfettamente logico che il popolo romano non abbia trasferito al principe un altro potere rispetto a quello che prima aveva concesso ai suoi magistrati, cioè il comando legittimo e revocabile, non tirannico e inopportuno».

503 TKM, pp. 23-24.

504 Defensio Prima, cap. V, p. 290: «Græci, Romani, Itali, Carthaginienses, multique alii suopte ingenio vel optimatium vel populi imperium regio prætulerunt»; trad. it: «I Greci, i Romani, gli Itali, i Cartaginesi e molti altri di propria iniziativa hanno preferito a quello regio il potere o degli ottimati o del popolo». Milton suggerisce, inoltre, che Roma abbia vissuto la sua fase più fiorente dopo aver bandito i re. Cfr. Defensio Prima, cap. V, p. 284.

redacti pene in servitutem essent, tam fortiter, tamque prudenter vindicarunt505.

I predecessori inglesi sono degni di lode, poiché hanno fondato lo stato con la stessa prudenza mostrata dagli antichi greci e romani. Di pari passo, se i predecessori potessero conoscere la situazione dei loro posteri, elogerebbero e approverebbero le loro mosse, perché il popolo inglese, praticamente ri- dotto in schiavitù, ha avuto il coraggio di recuperare lo stato e di salvarlo dai soprusi oltraggiosi e ingiustificati di un tiranno. Anche nella Seconda Difesa Milton fa riferimento al modello degli antichi in termini estremamen- te positivi:

Etenim fortitudo, cum non tota in bello atque armis eniteat, sed contra omnes æque formidines diffundat vim suam atque intrepida sit, Græci quidem illi, quos maxime admiramur, & Romani, ad tollendos ex civitatibus tyrannos nullam fere virtutem, præter studium libertatis, expedita arma, promptasque manus attulere506.

Come spiega Milton, siamo naturalmente portati ad ammirare i greci e i ro- mani perché rappresentano un esempio di conquista e di difesa della libertà. Essi sono stati in grado di espellere i tiranni dai loro stati, soprattutto grazie alla loro naturale propensione per la libertà.

Per comprendere a fondo l’interpretazione di Hobbes del conflitto ci- vile inglese, occorre condividere l’ottica hobbesiana secondo cui la sedizio- ne è una malattia e la guerra civile la morte dello stato. Si è già spiegato che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

505 Defensio Prima, cap. VIII, p. 450; trad. it.: «E a questo punto non posso non rallegrarmi dei nostri antenati che, con non minore saggezza rispetto ai Romani un tempo o ai migliori fra i Greci, hanno istituito questo Stato; e anche loro, se mai hanno percezione del nostro mondo, non potranno non rallegrarsi dei loro posteri, che con tanto coraggio e lungimiranza, dopo essere stati quasi ridotti in schiavitù, hanno sottratto alla tirannia di un re prepotente quello stesso Stato tanto sapientemente istituito e fondato su una libertà tanto grande».

506 Defensio Secunda, p. 6; trad. it.: «E dal momento che il coraggio non brilla tutto in

guerra e in battaglia, ma diffonde equamente la sua forza e si fa intrepido contro tutte le paure, i Greci, che noi ammiriamo al massimo grado, e i Romani, per estirpare i tiranni dalle loro città, non ricorrevano quasi a nessuna altra virtù se non all’amore per la libertà, ad armi agevoli e a mani pronte».

l’opinione di Hobbes sui Greci e sui Romani non sia affatto positiva; addi- rittura, Hobbes sostiene che lo studio del greco e del latino abbia danneggia-