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Il diritto di resistenza dell’individuo e della collettività

Tirannicidio, resistenza e guerra civile in Thomas Hobbes

2. Il diritto di resistenza dell’individuo e della collettività

Nelle opere politiche di Hobbes esiste una teoria della resistenza. Se ricono- scerne l’esistenza non è difficile, più complesso è delinearne i caratteri, eli- minando ambiguità e contraddizioni che caratterizzano questo argomento. Dall’istituzione di un sovrano assoluto e dall’eliminazione della distinzione tra monarchia e tirannia sembra seguire logicamente che Hobbes non am- metta alcun tipo di resistenza contro il sovrano. Anzi, negli Elementi di leg- ge Hobbes fonda il diritto di punire del sovrano proprio sulla negazione del diritto di resistenza dei sudditi307. E, tuttavia, la situazione muta significati- vamente soprattutto – ma non unicamente – alla luce del Leviatano. Almeno

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305 Cfr. Leviatano, II, cap. XXIX, p. 533, dove il veleno contenuto nei testi è paragonato al

morso di un cane rabbioso.

306 Ibidem. Su questo punto cfr. le considerazioni di M. DUCROCQ, La quête de la vérité

en politique chez Thomas Hobbes: lecture du Léviathan, «XVII-XVIII. Revue de la société

d’études anglo-américaines des XVIIe et XVIIIe siècles», LXVIII, 2011, 1, p. 91.

307 Cfr. Elementi, II, cap. I, § 19, pp. 175-176. Su questo insiste Y.C. ZARKA, Droit de

résistance et droit penal chez Hobbes, in Hobbes oggi, Convegno Internazionale (Milano-

Locarno 1988), a cura di A. Napoli e G. Canziani, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 184-85; su questo punto si veda anche D. BAUMGOLD, Hobbes’s Political Theory, CUP, Cam- bridge 1988, pp. 26-27.

due sono gli aspetti da tenere in considerazione in queste pagine: in primo luogo, il diritto di resistenza che Hobbes riconosce in ogni individuo; in se- condo luogo, il diritto di resistenza in forma collettiva, ammesso nei casi in cui il sovrano fallisce nel suo compito di mantenere pace e sicurezza all’interno dello stato.

§ 2.1. Il diritto di resistenza individuale

Cominciamo ad analizzare il diritto di resistenza individuale308. Dopo l’abbandono dello stato di natura e l’istituzione della società civile attraver- so la stipulazione del patto, ciascun individuo diviene suddito di un sovrano assoluto. Con l’obiettivo di vedersi garantite pace e sicurezza, ciascun indi- viduo trasferisce, mediante il patto, i suoi diritti al sovrano, ma – e questo è un punto assolutamente decisivo del ragionamento – non tutti i diritti sono alienabili. Il trasferimento di un diritto è un atto volontario e un uomo è di- sposto a trasferire un diritto nella speranza di ricevere un bene, non certo nell’ottica di auto-danneggiarsi:

Ci sono alcuni diritti che non si può comprendere che qualcuno abbia abban- donato o trasferito a parole o con altri segni. Come prima cosa, un uomo non può deporre il diritto di resistere a coloro che lo assalgono con la forza per privarlo della vita, perché è inconcepibile che egli miri con ciò a qualche be- ne per sé. La stessa cosa si può dire delle ferite, delle catene e della prigio- nia309. !

Un uomo non può rinunciare al diritto di autodifesa e di autoconservazione; tale rinuncia sarebbe impraticabile, poiché del tutto contraria alla natura

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308 Su questo tema cfr. il fondamentale saggio di Y.C. ZARKA, La mutazione del diritto di

resistenza in Grozio e Hobbes. Dal diritto collettivo del popolo al diritto dell’individuo,

«Rivista di storia della filosofia», L, 1995, 3, pp. 543-56.

umana. Per questo motivo, Hobbes spiega che non si deve considerare vali- do un patto in cui un uomo rinuncia a difendere se stesso310. Per quanto l’uomo possa dichiarare a parole di rinunciare a resistere, questo non si veri- ficherà in caso di estremo pericolo, perché l’uomo sarà indotto, per natura, a mettersi in salvo. L’uomo è portato naturalmente a scegliere il male mino- re311, per cui piuttosto che arrendersi ad una morte certa rinunciando a resi- stere, preferirà resistere per sfuggire alla morte. Per questo motivo, secondo Hobbes, un patto che ha ad oggetto la rinuncia all’autodifesa è di per sé inefficace e non può considerarsi un patto valido. Altrettanto inefficace è il patto con cui un uomo accetta di autoincriminarsi o di accusare i propri cari. Anche in questo caso vale un ragionamento simile: l’uomo, per sua costitu- zione naturale, non può incolparsi di un crimine, perché all’accusa segue necessariamente una punizione e un uomo non è naturalmente portato a cer- care di subire una punizione, bensì, piuttosto, a sfuggirla. Sarebbe contro il suo interesse autoaccusarsi e lo stesso discorso vale per le persone che gli sono care312. In generale, si può sostenere che l’uomo ha il diritto di resi- stenza in tutti i casi che mettono in pericolo direttamente o indirettamente la sua stessa vita313. La possibilità di difendere se stesso è un diritto, derivante dal diritto di natura, che ogni uomo trattiene per sé ed è, al fondo, un diritto di resistenza314.

Nel capitolo XXI del Leviatano Hobbes riflette sulla vera libertà dei sudditi, spiegando che ci sono dei casi in cui i sudditi possono rifiutarsi di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

310 Leviatano, I, cap. XIV, p. 231: «Il patto di non difendermi con la forza dalla forza è

sempre nullo. Infatti (come ho mostrato in precedenza), nessuno può trasferire o deporre il suo diritto a salvarsi dalla morte, dalle ferite e dalla prigionia (evitare queste cose è il solo scopo di ogni rinuncia a un diritto) e quindi la promessa di non ressitere alla forza non tra- sferisce in nessun patto nessun diritto e neppure è obbligante».

311 Scegliere il minore tra due mali è esercizio di ragione. Su questo tema cfr. B. GERT,

Hobbes on Reason, «Pacific Philosophical Quarterly», LXXXII, 2001, 3-4, p. 245.

312 Ibidem. Qui Hobbes include anche il rischio di ricevere una testimonianza corrotta. 313 Su questo insiste Y.C. ZARKA, Droit de résistance et droit penal chez Hobbes, cit., p.

180.

314 Su questo punto cfr. il ragionamento di S. SREEDHAR, Hobbes on Resistance. Defying

obbedire ai comandi del sovrano senza commettere ingiustizia315. Si può

notare che questi casi in cui la disobbedienza è ammessa corrispondono ai casi di invalidità del patto, che Hobbes espone nel capitolo XIV del Levia- tano. Ciascun individuo può disobbedire agli ordini di un sovrano quando i comandi siano contrari alla sopravvivenza personale. Come spiega Hobbes:

Se il sovrano ordina ad un uomo (anche se giustamente condannato) di ucci- dersi, di ferirsi o di mutilarsi o di non resistere a quelli che lo assalgono o di fare a meno del cibo, dell’aria, dei medicinali o di ogni altra cosa, senza la quale non può vivere, quest’uomo ha la libertà di disobbedirgli316.

Da questo passo si evince che un ordine del sovrano che è contrario all’autoconservazione individuale può non essere rispettato. Lo stesso prin- cipio vale quando si tratta di autoincriminarsi o di incolpare uno dei propri cari:

Se un uomo viene interrogato dal sovrano o da un’autorità a proposito di un crimine da lui stesso commesso, egli non è vincolato (senza la sicurezza del perdono) a confessarlo, perché nessuno [...] può essere obbligato con un pat- to ad accusare se stesso317.

Quindi, i sudditi hanno il diritto di disobbedire agli ordini del potere sovra- no nei casi di danno fisico o di imprigionamento; allo stesso modo non sono obbligati ad autoaccusarsi o ad accusare i propri cari. Oltre a questi casi, la disobbedienza si estende ad esempi più complessi e articolati, che includono la possibilità di disobbedire agli ordini del sovrano ritenuti particolarmente rischiosi o disonorevoli. Non intendiamo occuparci in queste pagine di que- sti casi particolari, che sono già stati affrontati in modo approfondito e con-

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315 Cfr. Leviatano, II, cap. XXI, p. 353 e sgg. Sui limiti dell’autorità sovrana ha ragionato

anche D. DYZENHAUS, Hobbes on the Authority of Law, in Hobbes and the Law, a cura di D. Dyzenhaus e T. Poole, CUP, Cambridge 2012, pp. 189-94.

316 Leviatano, II, cap. XXI, p. 355. 317 Ibidem.

vincente dagli interpreti318. Ciò che, invece, interessa qui esaminare è la

conciliabilità tra due tesi apparentemente contraddittorie del pensiero politi- co hobbesiano.

Se, nella sua teoria politica, Hobbes prevede che al suddito sia conces- sa la possibilità di disobbedire ai comandi del sovrano, è difficile compren- dere come si possa opportunamente parlare di ‘sovrano assoluto’319. In altri termini, i casi in cui la disobbedienza del singolo individuo è ammessa sem- brano mettere in crisi il potere assoluto e illimitato del sovrano. Tuttavia, ciò è vero solo parzialmente. La disobbedienza, infatti, si giustifica proprio sul- la base del fatto che gli uomini intendono difendere e conservare la propria vita. È esattamente lo stesso fine – la garanzia di pace e sicurezza – che ha indotto gli uomini ad associarsi per abbandonare la precarietà dello stato di natura e che ha portato all’istituzione della società civile. Sia nello stato di natura sia nella società civile gli uomini tendono a mantenere salva la vita. In quest’ottica è perfettamente comprensibile che il suddito, sentendosi mi- nacciato da un ordine, preferisca disobbedire e difendere se stesso, pur avendo accettato l’istituzione della società civile e del potere sovrano. Non c’è contraddizione tra la sovranità assoluta e la vera libertà dei sudditi per il fatto che il suddito tende in ogni caso alla sua autoconservazione. Perciò, il sovrano non deve ritenersi danneggiato dall’esistenza del diritto di resisten- za individuale. Il riconoscimento del diritto di resistenza individuale come prolungamento del principio di autoconservazione individuale non indeboli- sce né limita il diritto di punire appartenente al sovrano. D’altro canto, nella costruzione hobbesiana è premessa logica che l’individuo si procuri anzitut- to la sicurezza personale. La questione di conciliare la disobbedienza dei sudditi, da un lato, e l’esistenza di un sovrano illimitato, dall’altro, può tro- vare una soluzione distinguendo tra obbedienza necessaria e obbedienza non !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

318 Più di tutti, S. SREEDHAR, Hobbes on Resistance, cit., pp. 75-88.

319 Per un saggio recente che discute questa apparente inconciliabilità tra le tesi hobbesiane

si veda E. WEBER, Rebels with a Cause: Self-Preservation and Absolute Sovereignty in

necessaria. Secondo Hobbes, ci sono dei casi in cui l’obbedienza è essenzia- le al governo dello stato e altri casi in cui non lo è. Qual è il discrimine? Hobbes lo individua in questo punto: «Quando il nostro rifiuto di obbedire vanifica il fine per cui la sovranità è stata stabilita, allora non c’è libertà di rifiutarsi, altrimenti c’è»320. Si tratta di un passo decisivo. Il suddito può ri- fiutarsi di prestare obbedienza al sovrano quando, con il suo atto di disob- bedienza, non mette in crisi l’esistenza e la continuità dello stato, mentre in tutti gli altri casi è costretto ad obbedire. Se la disobbedienza sopprime il fine per cui si è istituita la sovranità, cioè pace e sicurezza, allora l’atto di disobbedienza non può essere tollerato né concesso, perché farebbe crollare l’intero edificio statale321.! Certamente, il discrimine suggerito da Hobbes non libera il campo da ogni ambiguità, poiché rimane difficile valutare quando è possibile disobbedire e chi ha il diritto di giudicare in materia322. Tuttavia, mantenere il diritto di autodifesa, di fatto, implica anche mantene- re il diritto di giudicare quando la propria vita è in pericolo e, in quel caso specifico, agire contro il sovrano323. Hobbes sembra ammettere l’esistenza di casi in cui il sovrano già consideri probabile un atto di disobbedienza da parte del singolo. Questi atti di disobbedienza individuale non costituiscono una seria minaccia per la sovranità e, per questo motivo, sono concessi324.

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320 Leviatano, II, cap. XXI, p. 355.

321 È quanto Hobbes spiega in un passo del De Cive, VI, §13, p. 136: «Con il diritto assolu-

to di chi ha il potere è congiunta tanta obbedienza dei cittadini, quanta ne è richiesta di ne- cessità per il governo dello Stato, cioè quanta non rende inutile la concessione di quel dirit- to. […] L’obbligo di prestare tale obbedienza non nasce immediatamente dal patto con cui abbiamo trasferito ogni nostro diritto allo Stato; ma mediatamente, cioè dal fatto che senza obbedienza il diritto del potere sarebbe vano, e di conseguenza, lo Stato non sarebbe stato affatto costituito».

322 Su questo punto cfr. J. WALDRON, Hobbes and the Principle of Publicity, «Pacific

Philosophical Quarterly», LXXXII, 2001, 3-4, p. 456, che suggerisce che, per l’impianto hobbesiano, spetta al suddito decidere quando disobbedire. Tuttavia, nemmeno in un’interpretazione di questo tipo sono risolte tutte le difficoltà relative alla questione della disobbedienza.

323 Dello stesso parere S. SREEDHAR, Hobbes on Resistance, cit., p. 120.

324 Su questo punto insiste anche G. BURGESS, On Hobbesian Resistance Theory, «Politi-

§ 2.2. Il diritto di resistenza in forma collettiva

Passiamo ora ad esaminare il secondo aspetto, più complesso, della questio- ne e cioè il diritto di resistenza in forma collettiva. Per indicare la resistenza collettiva Hobbes spesso impiega il lemma ‘ribellione’. A questo proposito occorre fare qualche considerazione preliminare. L’uso del termine ‘ribel- lione’ pone qualche problema in più rispetto a quello di ‘resistenza’, poiché nella ribellione sembra sempre essere presente una sfumatura di illegittimi- tà. In diversi luoghi dei suoi scritti politici Hobbes critica duramente le ri- bellioni; basti ricordare la definizione data nel Leviatano secondo cui la ri- bellione non è altro che «un ricadere nella condizione di guerra», «una guer- ra rinnovata»325. La ribellione è un mezzo – forse il più spedito – per ritor- nare alla conflittualità permanente dello stato di natura. Nelle sue opere po- litiche, Hobbes precisa che gli uomini che disobbediscono nel tentativo di riformare lo stato, operano, in realtà, per distruggerlo326. Per tratteggiare la distruzione dello stato, fatto letteralmente a pezzetti, Hobbes riporta il mito delle figlie di Pelia che, nel tentativo di far ringiovanire il padre ormai an- ziano, lo tagliano a pezzetti e lo mettono a bollire, credendo ingenuamente nella sua rigenerazione. L’esito di questo folle procedimento non può che essere negativo allo stesso modo in cui la riforma dello stato che passa at- traverso la disobbedienza dei sudditi va a coincidere con la sua rovina e di- struzione:

Dunque la stoltezza e l’eloquenza concorrono a sovvertire lo Stato, nello stesso modo in cui un tempo (secondo la leggenda), le figlie di Pelia, re di Tessaglia, cospirarono con Medea contro il loro padre. Volendo infatti resti- tuire la giovinezza al vecchio decrepito, per consiglio di Medea lo tagliarono a pezzi e lo misero a cuocere sul fuoco, aspettando invano che rivivesse. Al-

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325 Leviatano, II, cap. XXVIII, p. 519. 326 Leviatano, II, cap. XXX, p. 551.

lo stesso modo il volgo, per la sua stoltezza, desiderando come le figlie di Pelia di rinnovare il vecchio Stato, trascinato dall’eloquenza di uomini am- biziosi, come dal sortilegio di Medea, distrugge nel fuoco lo Stato diviso in fazioni, ben più sovente di quel che lo riformi327.

La disobbedienza dei sudditi mette in moto un processo di disgregazione dello stato. Una volta spezzate le fondamenta, i ribelli non possono far altro che testimoniare l’inarrestabile crollo dello stato. Al contrario, la centralità dell’obbedienza è ribadita in più occasioni da Hobbes, che giunge a dire che se si rimuove l’obbedienza, lo stato sarà irrimediabilmente destinato a dis- solversi in breve tempo328.

Stando a quanto si è considerato finora, sostenere che nel pensiero di Hobbes si può rinvenire un diritto di ribellione sembra suonare piuttosto come una forzatura, quando non come un completo travisamento della teo- ria politica hobbesiana. Tuttavia, in alcuni luoghi degli scritti hobbesiani, che esamineremo a breve, il lemma ‘ribellione’ sembra essere, piuttosto, impiegato come sinonimo di ‘resistenza collettiva’. In alcuni casi, infatti, la ribellione è presentata da Hobbes non come una sventura da evitare a tutti i costi, ma come un’opzione possibile. In un passo del Leviatano Hobbes in- troduce un caso particolare:

Ma nel caso in cui un gran numero di uomini insieme abbia già resistito in- giustamente al potere sovrano oppure abbia commesso qualche crimine capi- tale per il quale ognuno dei suoi componenti si aspetta la morte, allora non hanno essi la libertà di riunirsi e di assistersi e difendersi l’un l’altro? Certa- mente ce l’hanno, perché non fanno che difendere la propria vita, cosa che può fare tanto l’uomo colpevole quanto quello innocente329.

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327 De Cive, cap. XII, §13, p. 192. Il riferimento a questo mito si ritrova negli Elementi di

legge, II, cap. XVIII, §15, p. 248 e nel Leviatano, II, cap. XXX, p. 551.

328 Leviatano, II, cap. XXX, p. 551: «Infatti, la prosperità di un popolo governato da

un’assemblea aristocratica o democratica non viene né dall’aristocrazia né dalla democra- zia, ma dall’obbedienza e dalla concordia dei sudditi e neppure in una monarchia il popolo prospera perché un uomo ha il diritto di governarlo, ma perché esso gli obbedisce. Togli l’obbedienza (e di conseguenza la concordia del popolo) in ogni genere di stato e non solo non prospererà, ma si dissolverà in breve tempo».

Hobbes esamina il caso di un gruppo di uomini che ha commesso un’ingiustizia o ha resistito ingiustamente al potere sovrano. Tuttavia, una volta che l’ingiustizia è stata commessa, gli uomini, collettivamente, posso- no provvedere alla propria sopravvivenza e cercare di evitare la morte. Se l’atto che ha dato origine alla resistenza al potere sovrano è ingiusto, la con- tinuazione della resistenza da parte della collettività non possiede, invece, i caratteri dell’ingiustizia. In questo caso, persistendo nella resistenza, gli uomini stanno provvedendo a difendere la loro vita, altrimenti in pericolo; ma questo è soltanto un caso limite in cui è prevista una forma collettiva di resistenza330. Compito ben più difficile è sostenere che il diritto di ribellione è ammesso ogni volta che il sovrano fallisce nei compiti per i quali è stato istituito, facendosi in prima persona promotore della dissoluzione dello sta- to. Nella teoria politica di Hobbes, il sovrano non può commettere ingiusti- zia ma iniquità. Ciò significa che non può trasgredire la legge civile – cosa che costituirebbe un’ingiustizia –, ma può violare la legge di natura, com- mettendo così un’iniquità331. La trasgressione della legge di natura da parte del sovrano, però, non giustifica direttamente la ribellione dei sudditi al po- tere sovrano. Come esplicita Hobbes:

È vero che un monarca sovrano o la maggioranza di un’assemblea sovrana possono ordinare di fare molte cose conformi alle loro passioni e contrarie alla loro coscienza, il che è una violazione della fiducia e della legge di natu- ra; ma questo non basta per autorizzare i sudditi a fare guerra al proprio so- vrano o ad accusarlo semplicemente di ingiustizia o a parlare in qualche mo- do male di lui, perché sono stati loro ad autorizzare tutte le sue azioni e a far- le proprie, accordandogli il potere sovrano332.

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330 Si tratta di un caso particolare, ma non per questo meno rilevante. Si veda anche G.

KAVKA, Hobbesian Moral and Political Theory, Princeton University Press, Princeton 1986, pp. 433-34.

331 Su questa distinzione cfr. Leviatano, II, cap. XVIII, p. 291. 332 Leviatano, II, cap. XXIV, p. 405.

La teoria dell’autorizzazione, che Hobbes introduce nel Leviatano, mette a tacere la possibilità di una reazione di uno o più sudditi contro la violazione operata dal sovrano. Un suddito, avendo autorizzato le azioni del sovrano proprio all’atto di istituzione dell’autorità, non può accusare il sovrano di ingiustizia, non può mettere in discussione la sua posizione e credibilità, né tantomeno prendere le armi contro di lui. Fin qui bisogna riconoscere che Hobbes non lascia spazio alla resistenza dei sudditi nei confronti del sovra- no. Tuttavia, in un altro luogo del Leviatano Hobbes insiste sul fatto che «il governo negligente dei principi» è punito «con la ribellione»333. Ciò che in- tendiamo mostrare ora è che la ribellione è ammessa nel momento in cui il sovrano fallisce nel suo fondamentale dovere di «procurare la sicurezza del popolo»334. Se il sovrano è manchevole anche soltanto in uno dei suoi com- piti e doveri, è da considerarsi colpevole della ribellione collettiva e della conseguente dissoluzione dello stato335. Partiamo dai doveri dell’autorità

sovrana. Il sovrano è responsabile del mantenimento della pace all’interno dello stato. È possibile raggiungere la pace attraverso l’istruzione del popo- lo, di cui il sovrano e i suoi funzionari devono farsi carico336. La salus popu-