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Il processo a Carlo I nel giudizio di Milton e Hobbes

Milton e Hobbes a confronto

2. Il processo a Carlo I nel giudizio di Milton e Hobbes

§ 2.1. Il processo e la condanna del sovrano: la posizione di Milton

L’esecuzione di Carlo I Stuart dopo la sentenza di condanna da parte della High Court of Justice non presenta, a parere di Milton, elementi di illegitti- mità o di ingiustizia; lo stesso non si può dire per Hobbes. Su questo punto c’è una spaccatura profonda tra i due autori. In questo paragrafo analizzia- mo il processo e la condanna di Carlo I dai due opposti punti di vista degli osservatori prescelti, John Milton e Thomas Hobbes.

In primo luogo, concentriamoci sul giudizio di Milton in merito al processo e alla condanna nei confronti di Carlo I. Nella prefazione alla De- fensio Prima Milton sintetizza così la fine vissuta dal sovrano:

Dicam enim res neque parvas, neque vulgares; Regem potentissimum, oppressis legibus, religione afflicta, pro libidine regnantem, tandem a suo populo, qui servitutem longam servierat, bello victum; inde in custodiam traditum; et cum nullam omnino melius de se sperandi materiam vel dictis

vel factis præberet, a summo demum regni Concilio capite damnatum; et pro ipsis Regiæ foribus securi percussum513.

Per aver commesso crimini contro il suo stesso popolo il re viene arrestato e, non mostrando alcun segno di pentimento o di ravvedimento, viene con- dannato dalla Corte di Giustizia e decapitato sulla pubblica piazza. Il pro- cesso rappresenta il momento decisivo in cui è possibile tracciare un bilan- cio sull’effettivo operato del sovrano e valutare quanto il popolo abbia effet- tivamente beneficiato dal regno di Carlo I. La Corte di Giustizia intende giudicare con equità, per cui non è prevista alcuna agevolazione per i sovra- ni, tanto meno per chi si è reso apertamente avversario di Dio514.

Nella Prima Difesa, continuamente pungolato da Saumaise alla cui Defensio Regia sta replicando, Milton presenta la sua opinione in merito al processo contro il re. Il celebre e discusso King’s Trial è, a parer di Milton, una prova della trasparenza con cui ha agito il Parlamento inglese nei con- fronti del monarca. Il processo pubblico è da ritenersi la decisione più giusta e più umana rispetto alla ben più cupa prospettiva di uccidere il re in gran segreto515. Il re non è morto inascoltato, poiché in più occasioni la Corte lo ha invitato a difendersi, a discolparsi e ad esprimere la propria versione dei fatti:

Carolo certe cum per aliquot dies continuos amplissima loquendi facta copia esset, non ille quidem est ea usus ad objecta sibi crimina diluendum, sed ad judicium illud ac judices omnino rejiciendum. Qui autem reus aut tacet, aut

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513 Defensio Prima, prefazione, pp. 2-4; trad. it: «Dirò infatti cose né piccole né volgari: un

re potentissimo, oppresse le leggi, colpita la religione, regnando secondo il proprio piacere, è stato infine sconfitto in guerra dal suo popolo, che aveva patito una lunga schiavitù; quindi è stato arrestato; e dal momento che non offriva, né a parole né coi fatti, nessun motivo per poter meglio sperare sul suo conto, è stato condannato a morte dal sommo Consiglio del regno; e davanti alle porte della reggia è stato colpito con la scure».

514 Questo punto è messo in luce anche da S. BARBER, Belshazzar’s Feast: Regicide, Re-

publicanism and the Metaphor of Balance, in The Regicides and the Execution of Charles I,

a cura di J. Peacey, Palgrave Macmillan, Londra-New York 2001, p. 104. L’idea che il so- vrano abbia rivaleggiato con Dio viene introdotta nel dibattito dal parlamentare inglese Edmund Ludlow.

aliena semper respondet, eum non est injuria, si manifestus criminum sit, vel inauditum condemnari516.

Al re è stata accordata più volte la possibilità di parlare al processo. Eppure, Carlo I non soltanto non ha colto l’opportunità per far valere le sue ragioni e dare prova della sua innocenza, ma, al contrario, non ha perso occasione di disprezzare i giudici e di negare la loro autorità. Per di più, è evidente che quando l’imputato rimane muto, è da considerarsi colpevole, e non si com- mette alcuna ingiustizia nel condannarlo, anche se non sono state ascoltate le sue ragioni. L’atteggiamento di disprezzo del monarca nei confronti dei giudici non è tollerabile soprattutto alla luce dei soprusi e delle oppressioni che ha dovuto subire il popolo inglese per lungo tempo.

Nel capitolo XI della Defensio Prima viene affrontato il problema spinoso dell’autorità della Corte Suprema. Si tratta di una questione che già ha rappresentato motivo di imbarazzo per i giudici durante il processo e che rappresenta un terreno scivoloso anche per lo stesso Milton. Per affrontare questo tema la strategia adottata da Milton è quella di mostrare come la condanna del re sia avvenuta secondo una procedura regolare e valida, no- nostante l’assenza in Tribunale di diversi membri della Camera dei Comuni. Agli occhi di Milton, i giudici presenti meritano particolare stima, poiché hanno eseguito il proprio incarico in modo eccellente, evitando che il pro- cesso subisse rallentamenti o rinvii, e continuando così nel costante e diffi- cile impegno di preservare lo stato e di tutelare il popolo517.

Nel capitolo XII della Prima Difesa Milton recupera le tre accuse ri- volte a Carlo I – assassinio, tradimento e tirannide – e le giustifica in modo da dare ragione della correttezza e della serietà dell’operato della Corte. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

516 Defensio Prima, cap. X, p. 484; trad. it: «Dopo che per alcuni giorni di seguito era stata

senz’altro ampiamente concessa a Carlo la possibilità di parlare, egli non l’ha impiegata per ammorbidire i crimini imputatigli, ma per rigettare completamente quel processo e quei giudici. Se i suoi crimini sono evidenti, non è scorretto né inaudito condannare quell’imputato che o tace o continua a dare risposte fuori luogo».

Milton giustifica la veridicità dell’accusa di tirannide nei confronti di Carlo I attraverso la ripresa della definizione aristotelica di tiranno come colui che governa soltanto per il proprio benessere e non per quello del popolo518. Milton spiega che il monarca ha oppresso il suo stesso popolo con tasse gravose e non necessarie, e ha sciolto il Parlamento – unico freno al suo po- tere – ogniqualvolta gli apparisse scomodo e ingombrante. Inoltre, pur di assicurarsi il mantenimento del potere, si è mostrato disposto ad allearsi con potenze straniere e si è lasciato sedurre dalla religione papista. Per tutti que- sti motivi Carlo I può essere giustamente considerato un tiranno.

Anche l’accusa di tradimento nei confronti di Carlo I è da considerarsi pertinente e fondata519. Secondo Milton, questa accusa appare facilmente giustificata se si analizza la condotta del sovrano su due livelli, vale a dire se si guardano il profilo pubblico e il comportamento privato. In altri termi- ni, il re affermava, attraverso promesse, giuramenti e dichiarazioni pubbli- che, di non avere alcuna malvagia intenzione contro il regno e contro il suo stesso popolo, mentre, nei fatti, reclutava soldati e recuperava armi per combattere contro il Parlamento520. Il re ha dato prova di un comportamento doppiogiochista anche nel momento in cui ha promesso vantaggi discordanti e incompatibili agli inglesi e agli scozzesi, entrambi suoi sudditi521. Per dare consistenza a questa accusa di tradimento, Milton sostiene che simili atteg- giamenti da parte del sovrano sono comprovati da documenti ufficiali e da lettere private.

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518 Per l’accusa di tirannide cfr. Defensio Prima, cap. XII, pp. 516-18.

519 Peraltro, trattando di ‘high treason’, Milton è costretto a liberare il campo dall’idea so-

stenuta da Saumaise secondo cui il tradimento può essere commesso soltanto contro il re e non contro il popolo o il Parlamento. Milton critica Saumaise giudicando la sua opinione ridicola e contraddittoria. Cfr. Defensio Prima, cap. XII, p. 528. Per una panoramica più completa su questo tema dell’accusa di tradimento si veda A. HAST, State Treason Trials

during the Puritan Revolution, 1640-1660, «The Historical Journal», XV, 1972, 1, pp. 37-

53.

520 Defensio Prima, cap. XII, pp. 518-20.

521 Cfr. Defensio Prima, cap. XII, p. 520 in cui Milton spiega che Carlo I promise agli in-

glesi il bottino della città di Londra, mentre agli scozzesi l’annessione di quattro contee del Nord.

Da ultimo, Milton intende documentare anche l’accusa di assassinio. Su questo punto è impossibile che sorgano dei dubbi, se si considera che Carlo I è colui che ha ordinato agli irlandesi di attaccare gli inglesi. Colti di sorpresa, gli inglesi sono stati massacrati – Milton riferisce qui di cinque- centomila morti – e la colpa è del loro stesso sovrano, reo di essersi accor- dato segretamente con i ribelli irlandesi e di aver impartito l’ordine di attac- care gli inglesi, con l’intento di sopprimere la minaccia interna. Milton fa qui riferimento alla rivolta irlandese del 1641 che ha causato un massacro di protestanti da parte dei cattolici. In questo senso è impossibile scagionare dall’accusa di assassinio una persona che ha provocato una guerra civile agendo contro la collettiva esigenza di pace522.

Il fatto di aver condotto guerra contro il suo stesso popolo è certamen- te la principale colpa di Carlo I523, dal momento che evidenzia un atteggia- mento di aperta ostilità del sovrano nei confronti dei sudditi che è, invece, chiamato a proteggere. A ciò si aggiunge che il monarca ha provocato una guerra innaturale, poiché contraria all’interesse collettivo e al bene comune che, in quanto sovrano, ha l’obbligo di mantenere e salvaguardare. Portare guerra contro il proprio popolo significa sovvertire la legge fondamentale dello stato – salus populi suprema lex – ed è un crimine ancora più grave e scandaloso quando è compiuto per mano del sovrano e non di un qualsiasi cittadino. Anzi, da questa prospettiva, essendo il re il fautore degli scontri civili sorti all’interno del suo regno, risulta che la fazione parlamentare sta imbracciando le armi soltanto per difendersi dall’attacco del monarca524.

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522 Lo stesso meccanismo secondo cui il re agisce su due piani, rassicurando il popolo a

parole e ricorrendo ad accordi segreti, si ritrova illustrato da Milton nella Defensio Prima, cap. XII, p. 524.

523 Questo è suggerito anche da A. ORR, The Juristic Foundation of Regicide, in The Regi-

cides and the Execution of Charles I, a cura di J. Peacey, cit., p. 128.

524 A questo proposito si veda W. WALKER, Milton’s ‘Radicalism’ in the Tyrannicide

Tracts, cit., p. 292 in cui si evidenzia come Milton sottolinei l’atteggiamento difensivo dei

Nel testo della Seconda Difesa Milton commenta la figura del Presi- dente della Corte Suprema, John Bradshaw, e il suo operato. La Seconda Difesa viene pubblicata nel 1654 in risposta ad un testo apparso anonimo nell’agosto del 1652 intitolato Regii Sanguinis Clamor ad Cœlum (o, in in- glese, The Cry of the Royal Blood to the Sky). Si tratta di un testo redatto da un ecclesiastico filomonarchico, Peter Du Moulin, che prende le difese di Saumaise, ma erroneamente attribuito da Milton ad Alexander More, che ne è, invece, l’editore. Nella Seconda Difesa è contenuto un panegirico di John Bradshaw525. Proveniente da una famiglia nobile, Bradshaw dedica una par- te consistente della sua vita allo studio delle leggi del suo Paese526. Brad- shaw è descritto da Milton come avvocato capace, strenuo difensore della libertà e giudice incorrotto; designato dal Parlamento come Presidente della Corte Suprema di Giustizia, Bradshaw non rifiuta questo incarico, seppur gravoso e scomodo527. Nel presiedere le sedute processuali, Bradshaw com-

pie il suo dovere in maniera esemplare e ammirevole, lavorando con compe- tenza e serietà. La descrizione proposta da Milton corrisponde all’immagine di una persona estremamente virtuosa, equilibrata e affidabile. Nel raffigu- rarlo gentile, mite e umano, l’intento di Milton è probabilmente anche quel- lo di screditare i difensori del re che considerano i giudici del processo, i «regicidi» appunto, persone particolarmente feroci e disumane. Oltre ad es- sere apprezzato dagli amici per le sue virtù, Bradshaw non è disprezzato nemmeno dai suoi nemici. La celebrazione di John Bradshaw realizzata da Milton nella Seconda Difesa si sviluppa su due piani: sul piano dei meriti e delle qualità personali, ma anche a livello delle sue capacità e competenze al servizio dello stato – aspetto che risulta certamente più significativo.

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525 Su John Bradshaw nella Seconda Difesa si vedano in particolare le riflessioni di D.

LOEWENSTEIN, Milton and the Poetics of Defence, in Politics, Poetics and Hermeneutics

in Milton’s Prose, a cura di D. Loewenstein e J. Turner, CUP, Cambridge 2007, p. 185.

526 Defensio Secunda, p. 156.

527 Sembra, invece, che Bradshaw non fosse entusiasta dell’incarico che gli era stato affida-

to. Probabilmente, temeva di esporsi eccessivamente data l’assoluta novità di condurre a processo il sovrano e la delicatezza del compito di Presidente di Corte.

Un altro punto estremamente rilevante che viene rimarcato nella Se- conda Difesa è l’importanza di condurre a processo un tiranno e di non pro- cedere alla sua uccisione senza prima ricorrere al giudizio528. Milton indivi- dua il processo come momento fondamentale, come atto che garantisce equità e che esclude il ricorso alle vendette private o segrete.

§ 2.2. Processare e condannare un sovrano: il commento di Hobbes

Passiamo ora al giudizio di Hobbes sul processo contro Carlo I e sui suoi protagonisti. È certo che Hobbes conosca il testo della Prima Difesa milto- niana, poiché la menziona, in coppia con la Defensio Regia di Saumaise, nel dialogo conclusivo del Behemoth. Hobbes etichetta, probabilmente in termi- ni semplicistici, Saumaise come presbiteriano e Milton come indipendente; poi critica entrambi i testi per i loro pessimi contenuti:

A. Nello stesso tempo vennero pubblicati due libri, uno scritto da un presbi- teriano, Salmasius, contro l’assassinio del re, e l’altro scritto, in risposta a Salmasius, da Milton, un indipendente inglese.

B. Li ho visti tutti e due. Entrambi sono scritti in ottimo latino, tanto che è difficile giudicare quale sia il migliore; ed entrambi contengono pessimi ra- gionamenti, tanto che è difficile giudicare quale sia il peggiore; come avver- rebbe per due declamazioni, pro e contro, fatte dalla stessa persona solo per esercizio, in una scuola di retorica. Tanto si somigliano un presbiteriano e un indipendente!529

Presbiteriani e indipendenti, normalmente ricordati per i motivi di contrasto, sono collocati da Hobbes esattamente sullo stesso piano. Per quanto dichia- ratamente avversari, presbiteriani e indipendenti sono più simili di quanto si

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528 Cfr. Defensio Secunda, p. 158.

529 Behemoth, IV, p. 189. Il fatto che la controversia tra Saumaise e Milton abbia impres-

sionato Hobbes è suggerito anche da Z. LUBIENSKI, Hobbes’s Philosophy and its Histori-

possa pensare in un primo momento. Milton e Saumaise sono criticati con- giuntamente da Hobbes, poiché entrambi hanno presentato, nelle loro opere, la pessima combinazione di eloquenza raffinata e di ragionamento scorretto. In fondo, dalla prospettiva hobbesiana, né Milton né Saumaise differiscono molto dai predicatori sediziosi che hanno condotto il regno britannico sull’orlo della rovina530.

Nel Behemoth, all’interno del suo resoconto sulla guerra civile ingle- se, Hobbes dedica alcune pagine interessanti al processo e alla condanna a morte del sovrano. Sfruttando la forma dialogica del testo Hobbes riesce a introdurre in maniera mediata la sua interpretazione di questo cruciale epi- sodio della storia del regno britannico. Hobbes difende Carlo I come ingiu- stamente perseguitato da una fazione sediziosa, quella dei presbiteriani, e frontalmente osteggiato da varie componenti del Parlamento531. Verso la conclusione del dialogo III, l’interlocutore A introduce il riferimento all’ordinanza in cui «i Lord e i Comuni d’Inghilterra, riuniti in parlamento, dichiarano che, in base alle leggi fondamentali del reame, un re d’Inghilterra che muova guerra contro il parlamento è colpevole di tradimento»532. Di fronte al rifiuto da parte dei Lord di firmare l’ordinanza, la Camera dei Co- muni procede a votare un’altra mozione con cui si pongono le basi per un nuovo modo di interpretare il ruolo e le funzioni della Camera stessa. Hob- bes riporta che i Comuni votano che:

Tutti i componenti di commissioni devono procedere e agire in qualsiasi or- dinanza, con o senza il concorso dei Lord; e, dopo Dio, il popolo è la fonte originaria di ogni potere legittimo; e la Camera dei Comuni ha il potere su- premo della nazione; e qualsiasi cosa essa decreti è legge533.

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530 Per questo giudizio si tenga presente M. DZELZAINIS, Milton’s Classical Republica-

nism, cit., p. 7.

531 È questo il parere di D. WOLFE, Hobbes and Milton, cit., p. 416. 532 Behemoth, III, pp. 175-76.

In questo passaggio sono contenuti diversi elementi: primo, la Camera dei Comuni professa di poter agire e procedere anche senza l’assenso della Ca- mera dei Lord; secondo, viene esaltato il valore del popolo come fonte del potere legittimo; terzo, viene attributo il potere supremo della nazione alla Camera dei Comuni. Nell’ordinanza parlamentare citata da Hobbes, oltre all’istituzione della Corte Suprema di Giustizia, è presente anche un som- mario dell’accusa contro il re:

Non contento delle prevaricazioni dei suoi predecessori contro la libertà del popolo, egli [il re] aveva disegnato di erigere un governo tirannico; e a quel fine aveva provocato e mantenuto nel paese una guerra civile contro il par- lamento, una guerra da cui il paese era stato orribilmente devastato, il tesoro pubblico esaurito, migliaia di persone assassinate, ed erano stati provocati infiniti altri danni534.

Anche Hobbes riporta le diverse accuse indirizzate contro il re. Il rimprove- ro più grave ai danni del monarca è quello di aver progettato di stabilire un governo tirannico e di aver alimentato, per raggiungere questo fine, il fuoco della guerra civile contro il Parlamento. Stando al sommario dell’accusa, il monarca ha utilizzato la guerra come mezzo per raggiungere interessi per- sonali, senza preoccuparsi minimamente di aver devastato il paese ed esauri- to il denaro pubblico.

Dopo aver fatto riferimento all’ordinanza, Hobbes riassume breve- mente le sedute processuali, facendo attenzione a rappresentare la debole posizione del re di fronte alle insolenti pretese della Corte.

Sabato 20 gennaio 1649, nella prima seduta processuale, il re, dopo essere stato condotto in aula e aver ascoltato la lettura dell’accusa, chiede sulla base di quale legittima autorità sia stato condotto a processo. In quell’occasione l’imputato non si dichiara né colpevole né innocente e seb- bene il Lord President, John Bradshaw, asserisca con vigore che è stato il !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Parlamento a garantire l’autorità della Corte, Carlo I non cambia atteggia- mento e persevera nel suo secco rifiuto di rispondere alle accuse. Hobbes sintetizza poi la seduta processuale di lunedì 22 gennaio. Questa volta è il procuratore generale John Cook a prendere la parola sostenendo che, se l’imputato avesse continuato a negare l’autorità della Corte, questo atteg- giamento si sarebbe dovuto considerare, di fatto, un’ammissione di colpevo- lezza. Da parte sua, il monarca continua a negare l’autorità della Corte. La situazione non cambia durante la seduta processuale di martedì 23 gennaio. Il re, esortato a dichiarare la sua posizione, rifiuta deciso l’autorità della Corte. L’ultima seduta processuale riportata da Hobbes nel suo resoconto è quella del 27 gennaio 1649. Questa volta la situazione si rovescia, poiché è il sovrano a chiedere di essere ascoltato. I giudici si ritirano per discutere se accettare la richiesta o respingerla; tornati in aula, concedono al re di parlare soltanto nel caso in cui voglia esprimere un contenuto diverso dal suo solito rifiuto di riconoscere l’autorità della Corte. Messo ormai alle strette, Carlo I ammette di non avere nulla da aggiungere. Hobbes riporta poi il suo punto di vista sull’operato di John Bradshaw, non senza qualche intento polemico:

Il presidente cominciò un lungo discorso a giustificazione degli atti del par- lamento, adducendo gli esempi di molti re uccisi o deposti da parlamenti malvagi, antichi e moderni, in Inghilterra, Scozia, ed altre parti del mondo. Tutti questi esempi egli si sforzò di giustificarli sulla base di questo solo principio, che il popolo ha il potere supremo e il parlamento è il popolo535.

Secondo il giudizio di Hobbes, che traspare chiaramente dalle pagine del Behemoth, il Presidente avverte l’esigenza di giustificare gli atti della Corte di Giustizia con il ricorso ad esempi antichi e moderni. È, questo, un pas-